Nell’incertezza, l’assegno sociale va corrisposto

In presenza di una situazione incerta, quindi, non si può negare l’assegno sociale, soprattutto se non vi è prova di un eventuale intento elusivo.

A stabilirlo è il Tribunale di Alessandria nella sentenza n. 245/17, depositata il 31 maggio. Il fatto. Una donna lamentava la sospensione dell’assegno sociale che percepiva. Secondo l’INPS, in sede di separazione la donna si era dichiarata economicamente autosufficiente né aveva richiesto al coniuge l’assegno di mantenimento. La donna affermava che tale dichiarazione era stata fatta perché non il suo ex marito non aveva possibilità economiche di versarle un contributo un denaro e chiedeva, quindi, che fosse ripristinata a suo favore la prestazione. Assegno sociale presupposti. l’assegno sociale viene erogato in presenza di un effettivo stato di bisogno, ha natura sussidiaria e viene corrisposto se non ci sono altre fonti di reddito. Secondo l’INPS la donna, prima di richiedere l’assegno in questione, avrebbe dovuto fare affidamento sul marito che avrebbe ben potuto sostentarla. Il fatto che avesse rinunciato all’assegno di mantenimento in presenza di un figlio convivente disoccupato evidenziava un intento elusivo e la sicura presenza di redditi occulti. Nell’incertezza l’assegno va riconosciuto. Sicuramente è vero che non si può essere stato di bisogno se chi aspira all’assegno sociale abbia rinunciato ad altri redditi che potrebbero garantirgli un adeguato sostentamento. Ed è vero anche che in tale condotta possono facilmente ravvisarsi intenti elusivi. Tuttavia, secondo il Tribunale di Alessandria non è possibile, nel caso di specie, accertare se la richiesta di mantenimento a carico del coniuge avrebbe ridotto in modo significativo l’ammontare dell’assegno sociale. In presenza di una situazione così incerta, quindi, male ha fatto l’INPS a negare l’assegno alla donna che si trova, ad oggi, priva di reddito e in stato di indigenza, anche considerando che non c’è prova che la rinuncia all’assegno di mantenimento nasconda un intento elusivo. Alla luce di quanto detto il Tribunale di Alessandria dichiara il diritto alla conservazione dell’assegno sociale.

Tribunale di Alessandria, sez. Lavoro, sentenza 23 - 31 maggio 2017, n. 245 Giudice Demontis Motivi della decisione 1. La ricorrente rappresenta che - l’ 8 gennaio 2015 ha inoltrato domanda per l’ottenimento di assegno sociale - l’istanza è stata accolta il 19 gennaio 2015, con decorrenza dell’assegno dal 1 febbraio 2015 doc. n. 1 - dal mese di ottobre 2015 l’assegno sociale in oggetto è stato sospeso senza alcun preavviso, né motivazione - solo a fronte della richiesta dell’interessata, l’INPS ha comunicato che il pagamento dell’assegno in oggetto era stato sospeso a seguito di nuove disposizioni impartite con messaggio della Direzione Centrale Assistenza ed Invalidità civile del 29/05/2015 in merito allo stato di separazione legale e sui suoi effetti sulla misura delle prestazioni pensionistiche” doc. n 2 - con lettera in data 11.3.2016 prot. omissis l’I.N.P.S., sede di Roma, inoltrava la seguente comunicazione in relazione all’stanza trasmessa in data 16/02/2016 prot. 0017410P dal Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, si rappresenta quanto segue. Il riconoscimento dell’assegno sociale è subordinato alla sussistenza di uno stato di bisogno economico cfr. articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 che deve essere adeguatamente comprovato. Deve altresì rilevarsi la natura meramente sussidiaria della prestazione, che spetta solo in mancanza di altre concrete e possibili fonti di reddito. Nel Suo caso, la prestazione è stata sospesa in quanto risulta dichiarata, nella sentenza di separazione consensuale omologata il 0970972014, l’autosufficienza economica” doc. n. 5 - anche il ricorso amministrativo è stato respinto con delibera n. 161531 del 20.04.2016 il Comitato Provinciale dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale così motivata doc. n. 7 considerato che la prestazione liquidata il 19/01/2015 con decorrenza febbraio 2015 è stata sospesa a partire da ottobre 2015 a seguito delle direttive impartite a agosto 2015 sia dalla Direzione Generale che dalla Direzione Regionale sulla valutazione della concessione della prestazione assistenziale quando, con la cessazione degli effetti civili del matrimonio, i coniugi si dichiarano autosufficienti la ricorrente rientra nella casistica richiamata dalla norma e agli atti non risulta che abbia in qualche modo provveduto a far variare la sentenza di separazione per richiedere eventuale assegno di mantenimento al coniuge titolare di pensione di vecchiaia in convenzione visto che attualmente l’ISEE non è, da normativa, elemento valutabile per la concessione dell’Assegno Sociale e qualora fosse valutabile l’indicatore della situazione economica Euro 4315,00 con l’eventuale assegno di mantenimento da parte del coniuge, escluderebbe il diritto alla prestazione assistenziale per superamento dei limiti consentiti”. 2. Deduce quindi l’illegittimità del suddetto provvedimento per i seguenti motivi - il provvedimento impugnato, in quanto atto amministrativo, dovrebbe rispettare l’obbligo di motivazione previsto all’articolo 3 della l. 241/1990, con l’indicazione specifica delle ragioni su cui viene fondata una specifica deliberazione, mentre è invece motivato in modo del tutto generico e con il rinvio a direttive impartite a agosto 2015” - il provvedimento appare ispirato ad una logica assurda ed insostenibile” in quanto l’articolo 3, comma 6 della L. 335/1995, subordinata l’erogazione dell’assegno sociale al possesso, entro i limiti massimi annualmente previsti, di redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile , e in ciò fa riferimento ai redditi effettivi del cittadino, non a mere ed astratte possibilità e potenzialità di diversi cespiti, che non sono nella disponibilità attuale del cittadino ed, a maggior ragione, allorquando la loro acquisizione è del tutto ipotetica e potenziale e sfugge alla mera volontà del medesimo” - infatti, il diritto all’assegno di mantenimento entra a far parte del patrimonio del cittadino solo allorquando sia sancito, a sensi dell’articolo 156 c.c. dalla sentenza che dispone la separazione dei coniugi o dall’ordinanza emessa all’esito dell’udienza di cui all’articolo 708 c.p.c. , in caso di separazione giudiziale, oppure ad un accordo tra i coniugi omologato dal Tribunale, ex artt. 158 c.c. e 711 c.p.c. non è quindi in alcun modo possibile prendere in considerazione l’assegno di mantenimento, se non quando sia determinato, anche nel quantum, all’esito degli atti, giudiziali o negoziali, sopra indicati, i quali sfuggono del tutto dalla mera volontà del coniuge” - non è sostenibile neppure la tesi che la percezione dell’assegno di mantenimento da parte del coniuge avrebbe escluso il diritto all’assegno sociale, atteso che nel caso in esame non vi sarebbe alcuna certezza ne sull’an né sul quantum dell’assegno spettante alla ricorrente, atteso che l’assegno determinato, consensualmente o giudizialmente, in sede di separazione, non è governato da automatismi, ma è frutto della valutazione di molteplici elementi che riguardano le rispettive posizioni economiche dei coniugi, le attitudini lavorative, l’età e le condizioni fisio-psichiche, il tenore di vita goduto durante il matrimonio, le concrete possibilità, per ciascun coniuge, di far fronte ai bisogni dell’altro. Si tratta di indici di valutazione che escludono ogni possibilità di predeterminazione sia dell’an, che del quantum dell’assegno, nonché di surrogazione di terzi, e meno che mai dell’I.N.P.S. nelle valutazione rimesse al Giudice o alla determinazione delle parti” - la dichiarazione di autosufficienza delle parti in sede di separazione consensuale non riveste quindi alcun rilievo ai fini delle effettiva consistenza reddituale, ma deve essere interpretata nell’ottica delle valutazioni di cui sopra, ai fini dell’equilibrio tra le posizioni economiche e reddituali delle parti, nonché delle concrete possibilità di determinare un assegno di mantenimento a carico dell’una ed a favore dell’altra si tratta di una mera presa d’atto dell’insussistenza di condizioni per stabilire tale assegno da entrambe le parti”. - nel caso concreto, la ricorrente ed il marito, Co. Sa., hanno dichiarato in sede di separazione consensuale di essere autosufficienti allo scopo di prendere vicendevolmente atto dell’inesistenza di possibilità economiche che consentano il concorso al mantenimento di uno dei coniugi in favore dell’altro” - di fatto, tra le parti non vi sono le condizioni per la disposizione di un assegno di mantenimento a carico del marito della ricorrente, sig. Co. Da., il quale è titolare di una modesta pensione di Euro. 920,00 ca. mensili ed è proprietario di un alloggio di tipo popolare sito a Strevi doc. n. 10 , sul quale grava peraltro un ipoteca volontaria per Euro 75.000,00 doc. n. 11 , con una rata mensile di Euro. 286,00 mensili, ed è quindi in grado di far fronte con la propria pensione alle esigenze minime di vita e non può quindi sostenere il mantenimento a favore della moglie l’importo residuo della pensione di Euro. 634,00, al netto della rata del mutuo, non è di poco superiore all’importo dell’assegno sociale e comunque non consente al sig. Co. di concorrere al mantenimento della moglie”. - la ricorrente, per parte sua, ha 67 anni ed priva di capacità lavorativa, e di ogni forma di sostentamento, costretta a richiedere aiuti economici a conoscenti al fine di poter provvedere alle esigenze primarie proprie e del figlio convivente, peraltro disoccupato, tanto che ella ha ottenuto dal Comune di Acqui Terme in data 15 marzo 2016 l’Agevolazione TARI-TASI anno 2016 doc. n. 12 , nonché la Carta Acquisti in data 30.03.2016 doc. n. 13 . 3. L’INPS si costituisce chiedendo il rigetto del ricorso sulla base della seguente motivazione L’erogazione di tale prestazione è collegata alla sussistenza di un effettivo stato bisogno di cui l’entità dei redditi previsti nel menzionato articolo 3 comma 6, costituisce un mero elemento indicativo. Infatti, secondo la giurisprudenza più recente per tutte Cass. 13577/2013 l’assegno sociale è subordinato alla sussistenza di uno stato di bisogno economico , ha natura sussidiaria e spetta solo in mancanza di altre concrete e possibili fonti di reddito, per cui è consentita, da parte dell’Ente erogatore, un’indagine sul complesso delle entrate patrimoniali consentita dalla norma di legge la quale prevede che alla formazione del reddito complessivo contribuiscono i redditi di qualsiasi natura”. Orbene, nell’ambito di detta indagine, espletata dalla sede INPS attraverso richiesta di informazioni anche presso enti pubblici locali, è emerso in particolare che la ricorrente, in occasione della causa di separazione consensuale dal coniuge Co. Sa., definita con provvedimento di omologa del 9.9.2014, aveva dichiarato di essere economicamente autosufficiente e di non necessitare, pertanto, di alcun sostentamento da parte del coniuge, sebbene lo stesso fosse titolare di trattamento pensionistico ammontante ad oltre Euro 900,00 mensili, e quindi materialmente, oltre che giuridicamente e moralmente, in grado di sostenere il coniuge nell’eventualità di situazioni di bisogno. Occorre infatti considerare che il cittadino che versa in stato di bisogno è tenuto, ancor prima di chiedere sostegno alla solidarietà generale, a rivolgersi in primo luogo nei confronti di quei soggetti specificamente obbligati a prestare sostegno in ragione di specifici obblighi giuridici, tra cui rientrano le persone legate da vincolo coniugale che può continuare ad avere effetto anche dopo lo scioglimento del matrimonio e dopo la morte, attraverso la pensione di reversibilità che si innesta nel principio del diritto agli alimenti. Pertanto, la scelta da parte del coniuge più debole di rinunciare all’assegno di mantenimento, benché di irrisorio importo, tra l’altro in presenza di un figlio convivente, dichiarato anch’egli autosufficiente in sede di procedura di separazione lettera C del ricorso e, invece, risultato disoccupato all’atto della presentazione del ricorso giudiziale afferente la presente controversia, optando per una separazione consensuale senza obbligo di alimenti a carico dell’altro coniuge che sia titolare di un reddito seppur minimo, evidenzia un potenziale intento elusivo nonché una presunzione di possesso di redditi occulti. Peraltro, va pure evidenziato che, qualora successivamente alla separazione conclusasi con dichiarazione di autosufficienza reddituale, si siano verificate condizioni di bisogno, il soggetto potrà sempre richiedere una modifica degli accordi e rivendicare un assegno a carico del coniuge in ragione di detta sopravvenienza. E’ parimenti evidente che una seppur minima contribuzione a carico del coniuge titolare di redditi determinerebbe, comunque, una riduzione dell’assegno sociale nella misura relativa, con conseguente minore aggravio di costi a carico della fiscalità comune”. 4. Le considerazioni svolte dall’INPS appaiono senz’altro condivisibili in linea di principio, ma non paiono correttamente applicabili al caso di specie. 5. Una prima considerazione da farsi è l’assoluta irrilevanza della dichiarazione di autosufficienza economica” resa dalla Mi. in sede di separazione, trattandosi di dichiarazione che esplica i suoi effetti all’interno e ai meri fini della procedura in cui è stata resa, nel cui ambito ha lo scopo di suggellare la reciproca rinuncia di ciascun coniuge al mantenimento da parte dell’altro, e il cui significato non può essere esteso fino a considerarla prova dell’insussistenza dei requisiti di accesso a forme di sussidio e sostegno al reddito. 6. Ciò posto, è sicuramente condivisibile la tesi che non possa riconoscersi lo stato di bisogno quando chi aspira all’assegno sociale abbia rinunciato o non coltivi la percezione di altri redditi che potrebbero garantirgli adeguato sostentamento, connotati da una certa consistenza, determinabili nell’ammontare e soprattutto di cui sia certa o quantomeno altamente probabile la percezione, perché in quel caso non vi è un vero e proprio stato di indigenza ma una situazione in cui l’interessato si colloca volontariamente e nella quale possono facilmente ravvisarsi intenti elusivi e condotte simulatorie adottate in frode all’ente previdenziale. 7. Rispetto al caso di specie, la giurisprudenza citata dalla ricorrente non appare perfettamente in termini, perché si riferisce a un caso in cui la ricorrente si era vista rifiutare la prestazione dall'I.N.P.S. perché titolare di un assegno di mantenimento riconosciutole in sede di separazione coniugale, ancorché i relativi importi non le fossero mai stati corrisposti a causa dell'accertata incapienza del coniuge, documentata dall'infruttuosa attivazione delle procedure di riscossione. Ciò non di meno, il principio generale affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in questione è il seguente il reddito incompatibile al riconoscimento della prestazione sociale assume rilievo solo se effettivamente percepito, atteso che anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, in mancanza di tale percezione l'interessato versa nella stessa situazione reddituale degli aventi diritto all'assegno sociale cfr. Cass. 18.3.2010 n. 6570 . Si tratta quindi di una affermazione che può essere utile anche nel caso in esame, perché se il principio è che si devono considerare solo i redditi effettivamente percepiti, laddove si voglia attribuire rilievo anche ai redditi percepibili”, dovrà quanto meno trattarsi di redditi corredati da una qualche certezza. 8. Nella fattispecie, invece, è pacifico e non contestato tra le parti che il marito della ricorrente percepisca una pensione di 900 Euro netti al mese, su cui grava una rata mensile di Euro 286 a estinzione di una ipoteca sull’alloggio popolare. Le possibilità quindi per la ricorrente di ottenere in sede di separazione un assegno di mantenimento di qualche consistenza e di riscuoterlo con certezza paiono del tutto eventuali e incerte, essendo rimesse in primo luogo agli accordi tra le parti, poi alla valutazione del giudice della separazione, e infine alle concrete possibilità di riscossione anche alla luce dei limiti di pignorabilità della pensione . In termini più espliciti a si può ipotizzare con ragionevole certezza che la Mi., se non vi avesse rinunciato, in sede di separazione avrebbe ottenuto un qualche assegno di mantenimento a carico del coniuge b l’importo di tale assegno non è determinabile essendo la sua liquidazione rimessa alla valutazione del giudice della separazione e governata da una serie di elementi fattuali che in questa sede non sono noti e che l’INPS non ha neppure allegato c in ogni caso, atteso il reddito del coniuge, è altrettanto ragionevole la certezza che l’assegno riconosciuto alla ricorrente non le avrebbe assicurato un reddito sufficiente e che essa avrebbe avuto diritto all’assegno sociale integrativo d per le ragioni anzidette, non è possibile accertare in quale misura l’assegno di mantenimento avrebbe ridotto gli oneri a carico dell’INPS, ma è facile ipotizzare che l’importo dell’assegno di mantenimento sarebbe stato esiguo e del tutto aleatorio sarebbe infine il giudizio prognostico sulla effettiva percezione di tale assegno. 9. In questa situazione, quindi, si assiste a incertezze plurime e di intensità crescente, con la conseguenza che non è possibile accertare se la richiesta di mantenimento a carico del coniuge avrebbe ridotto in modo significativo l’importo dell’assegno sociale. In una situazione dai contorni così indefiniti, non pare possibile e ragionevole disconoscere il diritto all’assegno sociale a chi, come la ricorrente, si trova ad oggi effettivamente priva di qualsiasi reddito effettivo e in stato di indigenza non contestata tra le parti. In realtà, in casi come quello in esame, unico criterio certo a cui ancorare il disconoscimento del diritto all’assistenza sociale appare essere quello in cui sia provato che la rinuncia all’assegno di mantenimento nasconda intenti elusivi e fraudolenti. 10. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso deve essere accolto. 12. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e devono essere determinate secondo i criteri di cui all’articolo 13 c.p.c. sulla base del valore di due annualità del beneficio richiesto, quindi all’interno della scaglione compreso tra 5.200 e 26.000 Euro cfr. Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 24319 del 29/11/2016, Ai fini della liquidazione delle spese di giudizio nelle controversie relative a prestazioni assistenziali, il valore della causa si stabilisce con il criterio previsto dall'articolo 13, comma 1, c.p.c., tenuto conto della dichiarazione di valore della controversia, che costituisce il limite massimo, nonché della durata della prestazione, come riconosciuta, se inferiore alle due annualità” . P.Q.M. Visto l'articolo 442 c.p.c., definitivamente pronunciando, Accerta il diritto di Mi. An. Ma. alla conservazione e al ripristino dell’assegno sociale, e per l’effetto condanna l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere a favore di Mi. An. Ma. l’assegno sociale a decorrere dal mese di ottobre 2015, oltre al pagamento degli interessi legali dalla maturazione delle singole mensilità arretrate fino al saldo. Condanna l’INPS al pagamento in favore dello Stato delle spese di lite, che liquida in Euro 3000, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA. Riserva il deposito della motivazione in giorni 15.