Lavoratori in Call center? Sono veri e propri dipendenti subordinati

Elemento indispensabile per la connotazione di un rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione del lavoratore subordinato al potere direttivo, organizzatore e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici e da un’attività di controllo e vigilanza dell’esecuzione della prestazione lavorativa.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 18018/17, depositata il 21 luglio. Il caso. La Corte d’Appello riformava la sentenza del Tribunale che aveva respinto le domande dei lavoratori di una società, i quali chiedevano che venisse accertata la natura subordinata del rapporto intercorso con la società attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa o contratti a progetto per attività di operatore di call center e che venisse condannata alla reintegrazione ed al risarcimento del danno ex art. 18 l. n. 300/70. Avverso tale pronuncia la società ricorreva in Cassazione. La subordinazione. Nel caso di specie, la Cassazione richiama il principio secondo il quale elemento indispensabile per la connotazione di un rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione del lavoratore subordinato al potere direttivo, organizzatore e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici e da un’attività di controllo e vigilanza dell’esecuzione della prestazione lavorativa, attività che va valutata con riguardo alla situazione concreta quindi alla specificità dell’incarico affidato al lavoratore ed alla sua modalità di attuazione. Elemento indefettibile, secondo la Corte, al fine di compiere un discrimine tra rapporto di autonomia e dipendenza del lavatore è il vincolo di soggezione personale al potere direttivo e disciplinare di quest’ultimo. Nel Caso in esame, la Corte territoriale ha evidenziato in modo idoneo come il potere direttivo e di controllo della società sul lavoratore, fosse ricavabile dall’utilizzo di un sistema informatico che consentiva alla società di predeterminare il contenuto della prestazione, in ogni suo aspetto, e di accertare il rispetto delle direttive impartire, direttive che erano ben fissate anche nella clausole contrattuali, che determinavano con puntualità le modalità di svolgimento delle prestazioni. Per questi motivi la Cassazione respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 febbraio – 21 luglio 2017, numero 18018 Presidente Napoletano – relatore Curcio Svolgimento del processo Con sentenza del 17.7.2013 la Corte d’appello di Roma ha riformato la senza del Tribunale della stessa città del 23.4.2009 che aveva respinto quasi totalmente le domande degli attuali contro ricorrenti, lavoratori presso la società Atesia s.p.a., poi incorporata nell’Almaviva spa, i quali avevano chiesto che venisse accertata la natura subordinata del rapporto intercorso con la società attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa o contratti a progetto per attività di operatore di cali center e che la società venisse condannata alla reintegrazione ed al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 18 legge numero 300/70. Il Tribunale aveva ritenuto non raggiunta la prova della subordinazione dei rapporti di lavoro, con conseguente infondatezza anche della domanda diretta ad accertare l’illegittimità del licenziamento ed il diritto alla reintegrazione, solo accertando l’assenza di giusta causa del recesso dall’ultimo contratto, con conseguente risarcimento danni sino alla naturale scadenza dello stesso. La Corte d’appello, dopo aver ritenuto ammissibile anche un successivo ricorso presentato dai lavoratori diretto sempre all’accertamento della subordinazione e della illegittimità del licenziamento operato nei loro confronti, non ha considerato rilevante ai fini dell’esclusione della subordinazione la circostanza della possibilità di scelta dei lavoratori di rendere la prestazione, in quanto non esistenti altri margini di autonomia nell’espletamento dell’attività lavorativa, avendo invece ritenuto che fosse emerso sia dalle testimonianze raccolte che dalla documentazione in atti i contratti di collaborazione stipulati tra le parti , che la società disciplinava compiutamente le modalità di utilizzo delle postazioni, imponendo le procedure da rispettare in caso di malfunzionamento dei terminali, richiedendo obbligatoriamente il rispetto di uno schema predeterminato nella modalità di condurre le interviste, di rispondere alle chiamate ricevute, con un sistema predeterminato anche di annotazione degli esiti delle telefonate, senza che vi potesse essere una gestione autonoma dei contatti. La Corte territoriale ha anche rilevato che dalle testimonianze era emerso altresì uno stringente controllo da parte degli assistenti di sala del rispetto delle procedure, non solo il loro supporto tecnico agli operatori. A seguito dell’accertata subordinazione, è stato poi valutato come espressione della volontà di licenziamento per mancanze, il recesso dai contratti comunicato dalla società ai lavoratori a seguito della sospensione della prestazione posta in essere il 22.7.2005, licenziamento ritenuto nullo per violazione della procedura di cui all’articolo 7 legge numero 300/70, con ordine di reintegrazione. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Almaviva affidato a quattro motivi. Hanno resistito T. e gli altri due litisconsorti con controricorso, depositando altresì questi ultimi memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1 Con il primo motivo di ricorso la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2094 c.comma ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3. Secondo la ricorrente gli elementi evidenziati nella gravata sentenza sarebbero tutti riconducibili ad una forma di coordinamento che connota tipicamente í rapporti di lavoro autonomo, mentre la Corte territoriale avrebbe del tutto pretermesso di considerare gli elementi essenziali che connotano la subordinazione e cioè l’assoggettamento al potere disciplinare, direttivo ed organizzativo del datore di lavoro, che non si esplica con direttive di carattere generale. Gli elementi considerati sarebbero invece solo espressione della necessità della società di garantire determinati ed indispensabili standard di servizio. Per la ricorrente sarebbe evidente quindi la violazione dell’articolo 2094 c.comma difettando gli elementi tipici dell’assoggettamento al potere disciplinare e direttivo dell’imprenditore, non avendo la Corte in alcun modo considerato che i lavoratori potevano liberamente decidere se eseguire o meno la prestazione di lavoro, non avendo obbligo di lavorare ogni giorno necessariamente. 2 Con il secondo motivo di gravame la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione articolo 360 comma 1 numero 3 con riferimento all’articolo 67 comma 2 Dlgs 276/2003 per non avere la Corte considerato che detta norma prevede la possibilità che entrambe le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa, così come recepito anche dal contratto individuale e che pertanto apparirebbero incongrue le affermazioni della sentenza che hanno ricondotto all’esercizio di un potere disciplinare espulsivo la comunicazione di recesso, presa a seguito dell’inadempimento di non scarsa importanza dei collaboratori, i quali avevano sospeso la prestazione nonostante la richiesta degli assistenti di riprenderla. Non avrebbe quindi valutato la Corte che tale condotta costituiva un inadempimento contrattuale sopraggiunto che legittimava il recesso in ragione dell’elemento fiduciario diretto con il committente. 3 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione articolo 360 comma 1 numero 5 c.p.comma in termini di omessa valutazione circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e comunque di violazione dell’articolo 360 numero 3 c.p.comma in relazione agli articolo 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente un potere direttivo del datore di lavoro, sebbene non siano stati acquisiti elementi univoci e convergenti a riguardo. La stessa Corte infatti nonostante avesse riconosciuto che le dichiarazioni dei testi indicati dai ricorrenti e di quelli indicati dalla parte convenuta non erano convergenti, ha poi ritenuto provata la subordinazione, non considerando quanto emergeva dal contenuto delle testimonianze, riportate in ricorso, sia con riferimento alle giornate di lavoro ed alle fasce orarie, che venivano prescelte dai collaboratori e non imposte dalla società, sia con riferimento al ruolo degli assistenti di sala che non avrebbero controllato strettamente i lavoratori. 4 con il quarto motivo di gravame la ricorrente lamenta la violazione degli articolo 414 e 420 c.p.comma in relazione articolo 360 numero 3 per avere errato la Corte nel ritenere ammissibile il successivo ricorso ex articolo 414 c.p.comma proposto da tre lavoratori, in quanto le domande sarebbero connesse a quelle già svolte nei precedenti giudizi riuniti in primo grado e costituirebbero soltanto una eterointegrazione della prima domanda mediante l’introduzione di nuovi elementi di fatto e di nuove prospettazioni di diritto, quali l’illegittimità delle proroghe di cui all’articolo 86 del Dlgs numero 276/2003 o la nullità del contratto a progetto del ricorrente G. . La decisione della Corte d’appello romana sarebbe pertanto in contrasto con il regime delle preclusioni tipiche del rito differenziato. 5 I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente essendo connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati, trattandosi di censure che pur denunciando un’ errata sussunzione dei rapporti di lavoro in esame nella fattispecie del contratto di lavoro subordinato e non in quelle di collaboratori coordinati e continuativi oppure a progetto, in realtà si risolvono in una diversa valutazione degli elementi di fatto presi in considerazione dalla Corte, anche attraverso il riesame delle testimonianze. 6 Va premesso che l’elemento indispensabile che connota il lavoro subordinato distinguendolo da quello autonomo è il vincolo di soggezione del lavoratore subordinato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici e da un’attività di controllo e di vigilanza dell’esecuzione della prestazione lavorativa, attività che va valutata con riguardo alla situazione concreta, quindi alla specificità dell’incarico affidato al lavoratore ed alla sua modalità di attuazione, fermo restando che ogni attività economicamente rilevante può essere oggetto di un rapporto sia di natura subordinata che di natura autonoma. Conseguentemente elemento indefettibile della subordinazione è il vincolo di soggezione personale al potere direttivo e disciplinare, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto quali l’inserimento nell’organizzazione aziendale, il rispetto dell’orario, l’assenza di rischio cfr per tutte Cass. numero 4500/2007 . 7 Inoltre va ricordato che in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - incensurabile in tale sede, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici - la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale cfr Cass. numero 825472002, richiamata in particolare da Cass. numero 4476/2012, che ha esaminato una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio . 8 Così che, secondo ulteriore indirizzo consolidato di questa Corte la valutazione delle prove testimoniali e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che altri, come la scelta tra le varie risultanze probatorie, involgono apprezzamenti di fatto che sono riservati al giudice di merito, il quale deve indicare le ragioni poste a fondamento del proprio convincimento, senza dover confutare ogni singola deduzione difensiva v. tra le altre Cass. 21412/2006 . 9 Sulla base di tali premesse deve rilevarsi che la sentenza della Corte d’Appello, che ha posto in luce le specifiche modalità con cui si svolgeva la prestazione degli attuali contro ricorrenti, assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, prorogati nel tempo e la T. e il G. anche con contratti a progetto ai sensi dell’articolo 61 del Dlgs numero 276/2003, è esente da censure, perché l’accertamento di fatto è conforme ai principi di diritto prima richiamati e la motivazione immune da vizi logici. Ed infatti la Corte territoriale, richiamandosi in particolare proprio ai criteri interpretativi espressi, con riferimento ad identiche fattispecie, dalla decisione di questa Corte numero 4476/2012, ha analizzato non solo le risultanze testimoniali, ma anche i documenti prodotti i contratti individuali di ciascun lavoratore , giungendo ai convincimento della sussistenza della subordinazione. 10 Nello specifico la Corte territoriale ha evidenziato come il potere direttivo e di controllo, declinato con riferimento alla peculiarità della prestazione richiesta e del contesto aziendale dato, fosse ricavabile da l’utilizzo di un sistema informatico che consentiva alla società di predeterminare, in ogni suo aspetto, il contenuto della prestazione e di accertare il rispetto delle puntuali direttive impartite direttive cristallizzate anche nelle clausole contrattuali che determinavano con particolare precisione le modalità della prestazione, come ad esempio l’uso di un linguaggio appropriato ai contenuti dell’attività professionale, la padronanza del dialogo, la capacità di persuadere, la massima cortesia nei confronti dell’utenza , il divieto di qualsiasi modifica delle impostazioni standard relativamente a tipo colori monitor, sfondi di personal computer , modalità della prestazione che poi venivano controllate dagli assistenti di sala, come riferito dai testi indicati in sentenza C. , B.A. . 11 La Corte infatti ha riportato le testimonianze che hanno riferito circa il rispetto da parte degli operatori di frasi di apertura e chiusura delle telefonate inbound, l’impossibilità di gestire i contatti telefonici in modo autonomo, perché ulteriori eventuali appuntamenti telefonici presi dagli operatori con clienti intervistati venivano controllati dall’azienda, magari anche riprogrammati. 12 in presenza quindi di una motivazione del tutto priva di vizi logici, deve ritenersi inammissibile la censura della ricorrente laddove ripropone, attraverso l’esame di testimonianze altre e diverse rispetto a quelle esaminate nella sentenza oggetto di gravame, una diversa valutazione dei fatti diretti ad accertare la natura subordinata del rapporto. 13 Allo stesso modo deve ritenersi infondata la censura riguardante la violazione dell’articolo 67 del dlgs numero 276/2003, atteso che coerentemente e correttamente la Corte, sul presupposto dell’accertata natura subordinata del rapporto, desumibile anche in base allo specifico comportamento tenuto dagli assistenti di sala nei confronti degli attuali lavoratori controricorrenti in occasione delle proteste e della sospensione temporanea della prestazione e consistito nell’invitare ripetutamente i lavoratori a desistere dall’iniziativa, ha qualificato come licenziamento la comunicazione del recesso, avvenuta a distanza di un giorno dai fatti, riconducendo tale atto all’esercizio del potere disciplinare. 14 Infine deve ritenersi infondato anche il quarto motivo di ricorso. Correttamente ha rilevato dalla Corte di merito che, nel rito del lavoro non è precluso alla parte che ha già presentato un ricorso con determinate domande, di riproporre un successivo e separato ricorso, per ulteriori domande nei confronti del medesimo convenuto, come precisato da Cass. 2010 numero 24339, secondo cui le preclusioni previste nel rito del lavoro, dagli articolo 414,416 c.p.comma e 420 c.p.comma c.1, essendo volte a garantire le esigenze di contraddittorio e del diritto di difesa, non impediscono che una nuova domanda, la cui proposta sia dalle stesse inibita, possa essere separatamente introdotta con un autonomo atto, destinato ad essere riunito a quello originario . Nel caso in esame infatti non vi era assoluta identità di oggetto, perché nel primo ricorso il petitum consisteva nella richiesta di condanna alla reintegrazione e la causa petendi faceva riferimento alla natura ritorsiva del licenziamento ed alla violazione dell’articolo 7 legge numero 300/70, mentre nella causa successiva i ricorrenti avevano richiesto l’accertamento dell’illegittimità delle proroghe dei rapporti di collaborazione come co.co. co, intervenuti successivamente all’entrata in vigore del Dlgs numero 276/2003. 15 Il ricorso deve,pertanto essere respinto e la a società ricorrente, soccombente, va condannata alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed oneri di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater DPR numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13.