I lavoratori occupati part-time maturano la stessa anzianità contributiva dei lavoratori full-time

Nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico non possono essere esclusi, dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, i periodi non lavorati nell'ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro, in tal senso dovendosi intendere, in conformità alla normativa euro unitaria come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C-395/08 e C-396/08 , l'art. 7, comma 1, della l. n. 638 del 1983 ratione temporis applicabile.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16677/17, pubblicata il 6 luglio. La vicenda. Una lavoratrice dipendente di società aerea in regime di part-time verticale ciclico, domandava il riconoscimento dell'anzianità contributiva per 52 settimane, anche per i periodi dell'anno in cui non vi è stata alcuna prestazione di attività lavorativa, né versamento di retribuzione e di contributi previdenziali. Il Tribunale adito accoglieva la domanda. Proponeva appello l’INPS, ma la Corte d’Appello lo rigettava. Ricorreva così in Cassazione l’ente previdenziale. La normativa nazionale. Secondo l’istituto ricorrente, le modalità di computo dell’anzianità contributiva ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione, in caso di lavoro a tempo parziale verticale” ciclico, deve necessariamente tener conto unicamente dei periodi in cui vi è stato effettivo svolgimento di attività lavorativa. A tal proposito viene richiamata una pronuncia della Corte di legittimità ove il Supremo Collegio affermava sentenza n. 9039/12 che in tema di anzianità contributiva utile per il conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori a tempo parziale il tenore letterale del d.l. n. 338/1989, art. 1, comma 4, conv. in l. n. 389/1989, e la sua stessa riproposizione in termini immutati nel d.lgs. n. 61/2000, art. 9, escludono, con la puntuale indicazione che l'ambito disciplinato attiene alla retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale , la possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo di adeguamento ivi previsto all'ipotesi del sistema di calcolo dell'anzianità contributiva utile per il conseguimento del diritto alla prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale del tutto diversa e disciplinata dal d.l. n. 463/1987, art. 7, conv. nella l. n. 638/1983, la cui legittimità è stata valutata positivamente dalla Corte Cost. con la sentenza n. 36/12 non essendo configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato . Il coordinamento con la giurisprudenza comunitaria. La materia ha visto una diversa interpretazione da parte della giurisprudenza comunitaria, al fine di eliminare discriminazioni tra lavoratori a tempo pieno e part-time. Per l’appunto la Corte di Cassazione afferma che il problema interpretativo deve essere necessariamente affrontato tenendo in considerazione la disciplina comunitaria del sistema contributivo e pensionistico, dettata dalle direttiva CE 97/81, recepita con d.lgs. n. 61/2000. Tale disciplina è stata oggetto di importante intervento della Corte di Giustizia dell'unione Europea con la sentenza del 10.6.201 C-395/08 e C-396/08 . I giudici del Lussemburgo hanno affermato con forza che la ratio della disciplina quadro comunitaria è eliminare le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e, quindi, migliorare la qualità del lavoro part-time. La direttiva comunitaria chiarisce che l'anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se quest'ultimo fosse occupato a tempo pieno e, quindi, prendendo in considerazione anche i tempi non lavorati. Un'ipotesi diversa è, invece, quella in cui la prestazione lavorativa sia stata interrotta o sospesa per impedimento. Solo in questo caso, infatti, i periodi di tempo non lavorati non vengono in rilievo ai fini del calcolo dell'anzianità contributiva. Nel lavoro part-time non vi è un'interruzione della prestazione lavorativa, ma una mera riduzione dell'orario di lavoro che trova la sua ragione nella normale esecuzione del contratto di lavoro, ne consegue che il lavoro part-time non configura in alcun modo un'interruzione dell'impiego. Se l'impiego è continuativo così dev'essere l'anzianità contributiva. Pertanto l'art. 7, comma 1, l. n. 63871983, interpretato alla luce della giurisprudenza comunitaria, prevede che, al di là della misura della pensione che deve essere proporzionata , i lavoratori occupati part-time maturano la stessa anzianità contributiva dei lavoratori full-time. In altri termini, per il calcolo dell'anzianità contributiva dei lavoratori part-time vanno considerati anche i periodi di tempo non lavorati, poiché questi rientrano nella normale esecuzione del contratto di lavoro e non sono temporanea interruzioni dello stesso. A parere dei giudici di legittimità dunque, in tema di anzianità contributiva dei lavoratori a tempo parziale, l'art 7, comma 1, d.l. n. 463/1983, conv. con modif. dalla l. n. 638/1983, in conformità al principio di non discriminazione di cui all'art. 4 della direttiva n. 97/81/CE, come applicato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 10 giugno 2010 C-395/08 e C-396/08, va interpretato nel senso che, ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione, i lavoratori con orario part-time verticale ciclico hanno diritto all'inclusione anche dei periodi non lavorati, incidendo la contribuzione ridotta sulla misura della pensione e non sulla durata del rapporto di lavoro. Consegue pertanto che ai fini dell'anzianità contributiva, non vi deve essere discriminazione tra i lavoratori part-time e full-time. Diversamente dalla determinazione dell'ammontare del trattamento pensionistico fattispecie diversa , che deve necessariamente essere proporzionato al tempo dell'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa e quindi, all'effettiva contribuzione versata. Il ricorso è stato così rigettato dal Supremo Collegio, in quanto infondato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 marzo – 6 luglio 2017, numero 16677 Presidente Mammone – Relatore Riverso Fatti di causa La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza numero 894/2010, rigettava l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del tribunale che aveva accolto la domanda avanzata da P.I. , dipendente della società di trasporto aereo Alitalia SPA, allo scopo di vedersi riconosciuta l’anzianità contributiva per 52 settimane per tutti gli anni durante i quali aveva lavorato in regime di part time verticale. La Corte d’Appello, a fondamento della decisione, sosteneva che nel rapporto di lavoro a part time verticale ciclico va riconosciuta l’anzianità contributiva annuale correlata e richiamava la pronuncia della CGUE 10.6.2010, resa nei procedimenti riuniti C-395396/08, Bruno et al., e riguardante una fattispecie sovrapponibile a quella per cui è causa in base alla quale la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive . Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Inps con un unico motivo di impugnazione. P.I. ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1.- L’Istituto ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 d.lgs. 25.2.2000 numero 61 dell’art 5, comma 11, del d.l numero 726/1984 e dell’articolo 7, comma 1, del d.l. numero 463/1983, convertito con modificazioni in L. 11.11.1983 numero 638 nonché della sentenza del CGUE 10.6.2010 resa nei procedimenti riuniti C-395-396/08, Bruno et al. Vizio di motivazione articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c. . Lamenta che le modalità di computo dell’anzianità contributiva ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, con riguardo ai periodi di lavoro a tempo parziale verticale ciclico, non possono che essere considerati se non con riguardo ai periodi in cui vi è stato effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, con corresponsione della retribuzione e del versamento della contribuzione previdenziale, senza possibilità di distribuire su tutto l’anno anche per i periodi non lavorati i contributi versati per i periodi lavorati, ciò in base all’articolo 7 d.l. 463/1983 conv. in l. 638/83. 2.- Il ricorso è infondato alla stregua dell’univoco orientamento espresso da questa Corte di Cassazione sulla medesima questione in fattispecie identiche da ultimo con sentenze nnumero 21207/2016 e 21376/2016 . 3. Va premesso che il rilievo dell’INPS secondo cui la Corte territoriale avrebbe basato la decisione sull’interpretazione del d.lgs numero 61 del 2000, obliterando la circostanza che una parte del rapporto ricadesse sotto la precedente disciplina, non è rilevante in quanto il comma 4 dell’articolo 9 del d.lgs. numero 61 del 2000 ed il previgente articolo 5 comma 11 del d.l. 726 del 1984, convertito con modificazioni dalla L. 19 dicembre 1984, numero 863, sono di identico tenore, entrambe prevedendo che Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l’anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all’orario effettivamente svolto l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale . La disposizione più recente è stata poi abrogata dal d.lgs. 15 giugno 2015, numero 81, articolo 51, comma 1, lettera a detto d.lgs. contiene tuttavia unti ulteriore disposizione, anch’essa di contenuto identico alle previgenti, all’articolo 11, comma 4 . 4. Nel merito l’opzione interpretativa adottata dai giudici di merito è coerente con la giurisprudenza di questa Corte confermata in numerosi arresti, v. Cass. numero 8565 del 2016, numero 24647 del 2015, numero 24535 e 24532 del 2015 , alla quale va data continuità in particolare per le ragioni evidenziate nelle più recenti sentenze nnumero 21207/2016 e 21376/2016, già citata. 5.- È stato ivi evidenziato, al riguardo, che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di anzianità contributiva utile per il conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori part-time, il tenore letterale del D.L. numero 338 del 1989, articolo 1, comma 4 conv. con L. numero 389 del 1989 , e la sua riproposizione in termini immutati nel D.Lgs. numero 61 del 2000, articolo 9, escludono, con la puntuale indicazione che l’ambito disciplinato attiene alla retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale , la possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo adeguativo ivi previsto all’ipotesi, del tutto diversa e disciplinata dal D.L. numero 463 del 1983, articolo 7 conv. con L. numero 638 del 1983 , del sistema di calcolo dell’anzianità contributiva utile per il conseguimento del diritto alla prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale, la cui legittimità costituzionale è stata valutata positivamente da Corte Cost. numero 36 del 2012 sul rilievo che non è configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale v. in termini Cass. numero 9039 del 2012 . 6. Ha però precisato questa Corte, sempre con riferimento ai lavoratori part-time, che la questione del minimale contributivo e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti è questione distinta dall’anzianità previdenziale tout court e dunque dalla relativa durata, anche ai fini previdenziali, dell’attività lavorativa, che peraltro il nostro ordinamento svincola in più occasioni dall’effettiva prestazione lavorativa ed anche dalla misura dei contributi versati Cass. nnumero 23948 del 2015 e 8565 del 2016 a venire in rilievo, infatti, non è già la questione relativa al numero dei contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time, ma la possibilità che essi, quale che ne sia l’ammontare determinato D.L. numero 463 del 1983, ex articolo 7, siano riproporzionati sull’intero anno cui si riferiscono, ancorché siano stati versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso. 7. Tale ultima questione, già decisa da Cass. nnumero 23948 e 24647 del 2015 e 8565 del 2016 sulla scorta di CGUE, 10.6.2010, C-395-396/08, Bruno et al., appare in realtà risolvibile - e va risolta - sulla scorta dei principi immanenti nel nostro ordinamento in tema di rapporto di lavoro a tempo parziale. Il canone secondo cui, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, non si possono escludere i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, costituisce infatti una logica conseguenza del principio per cui, nel contratto a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta cfr. in termini Corte Cost. numero 121 del 2006 prova ne sia che ai lavoratori impiegati secondo tale regime orario non spettano per i periodi di inattività né l’indennità di disoccupazione Cass. S.U. numero 1732 del 2003 , né l’indennità di malattia Cass. numero 12087 del 2003 , essendo quest’ultima correlata ad una perdita di retribuzione che, nel periodo di inattività, non è dovuta per definizione. In altri termini, se è vero che il rapporto di lavoro a tempo parziale verticale assicura al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione così ancora Corte Cost. numero 121 del 2006, cit. , non è meno vero che ciò è logicamente possibile a condizione di interpretare il cit. D.L. numero 726 del 1984, articolo 5, comma 11 secondo il quale, com’è noto, ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale va calcolata proporzionalmente all’orario effettivamente svolto , nel senso di ritenere che l’ammontare dei contributi cit. D.L. numero 463 del 1983, determinato ex articolo 7, debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi si riferiscono diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell’anzianità contributiva. E non v’ha dubbio che codesta possibile disparità di trattamento genererebbe sospetti di illegittimità costituzionale ex articolo 3 Cost., comma 1, dal momento che, pur potendo concedersi che l’esclusione delle indennità di carattere previdenziale potesse in passato parzialmente giustificarsi in ragione della volontarietà della scelta del tempo parziale e della consequenziale impossibilità di considerare i periodi di pausa come disoccupazione involontaria così Cass. S.U. numero 1732 del 2003, cit., sulla scorta del D.L. numero 726 del 1984, articolo 5, comma 1 ma appunto parzialmente, visto che la medesima volontarietà della scelta del tempo parziale non aveva impedito a Corte Cost. numero 160 del 1974 di dichiarare l’illegittimità costituzionale del R.D.L. numero 1827 del 1935, articolo 76, che negava l’indennità di disoccupazione ai lavoratori stagionali , l’assenza di tutela previdenziale trova in realtà ben più solido fondamento oggettivo nella natura continuativa del rapporto instaurato inter partes, ciò che adesso risulta confermato dalla sopravvenuta abrogazione della possibilità già prevista dal cit. D.L. numero 726 del 1984, articolo 5 che il lavoratore a tempo parziale si iscriva nelle liste di collocamento durante i periodi di pausa della prestazione cfr., D.Lgs. numero 61 del 2000, articolo 11, lett. a . 8. In questo quadro, reputa il Collegio che il richiamo alla giurisprudenza comunitaria da parte di Cass. nnumero 23948 e 24647 del 2015 e 8565 del 2016 debba intendersi non già nel senso di considerare la materia de qua direttamente assoggettata alla disciplina di cui alla direttiva numero 97/81/CE che anzi la Corte di Giustizia non manca di chiarire che quest’ultima concerne esclusivamente le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale cfr. CGUE, 10.6.2010, Bruno et al., p. 42 , bensì nel senso di ricavare anche dalla disciplina comunitaria una conferma di quel principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale che, come s’è visto supra, risulta già immanente nell’ordinamento interno ai fini previdenziali. 9.- Pertanto il ricorso va respinto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 2700 di cui Euro 2500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge.