L’imprenditore può scegliere di cedere l’attività, ma deve restituire gli sgravi contributivi ricevuti

La scelta dell’imprenditore di non continuare nell’esercizio dell’impresa per cui aveva ottenuto il benefico degli sgravi contributivi sulle assunzioni dei dipendenti, prima del decorso del triennio dalle medesime, rende privi di presupposti gli sgravi medesimi con il conseguente onere di restituzione.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15961/17 depositata il 27 giugno. La vicenda. Il legale rappresentante di una s.a.s. ormai cessata riceveva dall’INPS l’ingiunzione di pagamento per gli sgravi contributivi ex l. n. 448/1998 di cui aveva illegittimamente fruito in relazione ad alcuni dipendenti licenziati prima del decorso di un triennio dall’assunzione. Il Tribunale accoglieva l’opposizione all’ingiunzione ma la decisione veniva ribaltata in Appello, motivo per cui l’ingiunto ricorre ora in Cassazione sostenendo di essere stato costretto da circostanze imprevedibili a cedere il relativo ramo d’azienda. Libere scelte imprenditoriali. L’art. 3, comma 6, lett. c , l. n. 448/1998 riconosce il beneficio delle sgravio contributivo a condizione che il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni rimanga inalterato nel corso del periodo agevolato fa riferimento ad un factum principis o ad altra circostanza eccezionale che sopraggiunga ad alterare il normale andamento del mercato pregiudicando la possibilità per l’imprenditore di mantenere il livello occupazionale raggiunto. Tale eccezionalità non può però essere riscontrata nella scelta datoriale di non continuare nell’esercizio dell’impresa che, per quanto insindacabile, contrasta con la ratio dello sgravio contributivo che consiste nell’assunzione da parte dello Stato di una parte dell’onere economico dell’attività di impresa per favorire l’incremento occupazionale nelle zone depresse. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 8 marzo – 27 giugno 2017, n. 15961 Presidente D’Antonio – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 26.9.2011, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da M.L. , in proprio e n.q. di legale rapp.te della cessata società Ò Scugnizzo di M.L. & amp C. s.a.s. , avverso la cartella esattoriale con cui gli era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per sgravi indebitamente fruiti ex l. n. 448/1998 in relazione a taluni dipendenti licenziati anteriormente al compimento del triennio dalla data di assunzione che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.L. , deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 6, lett. c , l. n. 448/1998, 12 prel. c.c., 41 Cost. e 113, comma 1, c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che il beneficio degli sgravi non spettasse per non avere l’impresa provato che i licenziamenti per cessazione dell’attività dovuta alla cessione del relativo ramo di azienda fossero stati motivati da circostanze non prevedibili quali improvvise fluttuazioni del mercato o altri eventi di natura economica tali da non consentire la prosecuzione del rapporto e dunque non fossero riferibili alla mera volontà di cessare l’attività d’impresa che l’INPS ha resistito con controricorso e il Pubblico ministero ha concluso per il rigetto dell’impugnazione. Considerato in diritto che, con riguardo all’unico motivo di censura, questa Corte ha già fissato il principio secondo cui l’art. 3, comma 6, lett. c , L. n. 448/1998, nel prevedere che il beneficio dello sgravio compete a condizione che il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non subisca riduzioni nel corso del periodo agevolato , si riferisce ad un factum principis o ad altra circostanza eccezionale che, alterando il normale funzionamento del mercato, pregiudichi le concrete possibilità dell’impresa di mantenere quell’incremento occupazionale cui è causalmente collegato il diritto agli sgravi cfr. Cass. nn. 8240 del 2015 e 14316 del 2013 , onde è da escludere che esso possa ricondursi alla mera ed in quanto tale insindacabile scelta datoriale di non esercitare ulteriormente l’attività d’impresa oggetto del ramo d’azienda ceduto, derivandone in caso contrario lo sviamento dello sgravio dalla sua causa tipica, che consiste nell’assunzione da parte dello Stato di una parte dell’onere economico proprio dell’attività d’impresa allo scopo di favorire l’incremento dell’occupazione stabile nelle zone depresse del Paese ritenuta pertanto l’infondatezza del ricorso, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4,100,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.