Per la Cassa, il giudice onorario rimane avvocato

La nomina di giudice onorario aggregato comporta la cancellazione solo dall’albo degli avvocati, ma non dalla Cassa Nazionale di Previdenza, con conseguente permanenza di tutti gli obblighi previdenziali e contributivi connessi, compreso il dovere di comunicare i redditi professionali alla Cassa.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14659/2017, depositata il 13 giugno 2017. L’avvocato che assume la carica di Giudice Onorario Aggregato La sentenza in commento scaturisce da un’annosa controversia tra la Cassa di Previdenza Forense e un avvocato, ormai pensionato, che nella sua carriera aveva assunto la carica di giudice onorario aggregato. L’istituto previdenziale pretendeva che il professionista, anche nel periodo in cui svolgeva l’attività di giudice, continuasse a comunicare i redditi professionali percepiti in virtù dell’incarico e, in mancanza di tali comunicazioni, comminava la relativa sanzione pecuniaria, che, ritenuta illegittima dal professionista, veniva da quest’ultimo impugnata. La Corte di Cassazione fissa 3 principi. In primo luogo, ai sensi della lettera dell’art. 9 l. n. 276/1997, la nomina a giudice onorario aggregato comporta, sì, la cancellazione dall’albo degli avvocati, ma fa permanere l’iscrizione alla Cassa. Inoltre, sempre ai sensi della citata norma, il periodo di attività quale giudice onorario aggregato è considerato come periodo di esercizio dell’attività professionale di avvocato ai fini del trattamento previdenziale. Ne consegue che l’indennità corrisposta ai giudici onorari aggregati è considerata a tutti gli effetti reddito professionale così dispone anche l’art. 8, comma 5, l. n. 276/2017 . Pertanto, nel caso di specie, il professionista rimaneva iscritto alla Cassa per tutta la sua carriera anche nel periodo in cui ha esercitato come giudice onorario aggregato e , percependo per tale attività un’indennità paragonabile in tutto e per tutto al reddito professionale dell’avvocato, permaneva per lui l’obbligo di effettuare le comunicazioni annuali sul reddito alla Cassa. Mancando tali comunicazioni, la sanzione irrogata dall’Istituto previdenziale è legittima. A nulla sono valse le eccezioni preliminari mosse dal professionista ricorrente, ossia l’intervenuta prescrizione del credito della Cassa e comunque l’acquiescenza della Cassa al provvedimento giudiziale a sé sfavorevole. Secondo il professionista, infatti, il credito vantato dalla Cassa era prescritto per mancanza di idoneo atto interruttivo, essendo l’intimazione di pagamento della Cassa inviata in un luogo diverso dal domicilio fiscale. Poiché nel corso dei giudizi, il professionista aveva comunque ammesso di aver ricevuto il provvedimento sanzionatorio con annessa intimazione di pagamento, la prescrizione può considerarsi interrotta. Infine, il fatto che la Cassa, soccombente nel primo grado di giudizio, avesse pagato le spese liquidate in giudizio non può in alcun modo rappresentare acquiescenza della sentenza, non costituendo né accettazione della decisione, né manifestazione della volontà di non impugnare la stessa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 febbraio – 13 giugno 2017, numero 14659 Presidente D’Antonio – Relatore Riverso Fatti di causa La Corte d’Appello di Genova con sentenza numero 66/2011, accoglieva l’appello proposto dalla CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE CNPAF avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione svolta da L.I. contro la cartella esattoriale avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 676,44 dovuta alla CNPAF a titolo di sanzioni per l’omesso invio delle comunicazioni reddituali per gli anni 2000 e 2001. A sostegno della pronuncia la Corte d’Appello affermava in via preliminare che non costituisse acquiescenza l’adeguamento prestato dalla CNPAF alla sentenza esecutiva di primo grado e nel merito che L. , essendo rimasto iscritto alla Cassa ai sensi dell’articolo 9, 1 comma della legge 276/1997 pur dopo la cancellazione dall’Albo degli avvocati e pur dopo il pensionamento, fosse tenuto al versamento dei contributi sui redditi professionali ed assimilati che da tale premessa discendesse l’obbligo di rispettare la disposizione dell’articolo 17 della l. 576/1980 in materia di comunicazioni obbligatorie alla Cassa dell’ammontare del reddito annuale da egli percepito come GOA in mancanza della quale era dovuta la sanzione richiesta né il credito si era prescritto in quanto la prescrizione era stata interrotta con comunicazione del novembre 2006 che il L. aveva riconosciuto di aver ricevuto. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre L.I. con tre motivi di impugnazione. La CNPAF ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1.- Col primo motivo di ricorso si deduce in via preliminare la violazione dell’articolo 329 c.p.c. in relazione alla violazione dell’articolo 360, numero 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione alla violazione dell’articolo 360 numero 5 c.p.c., la nullità e ciò per avere la Corte territoriale respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello ritenendo che l’adeguamento alla statuizione di una sentenza esecutiva non costituisce acquiescenza. Il primo motivo è infondato nella fattispecie la CNPAF si era limitata a pagare le spese processuali liquidate nella prima sentenza, tenendo quindi un comportamento che, pur effettuato senza riserve, non costituisce di per sé accettazione della sentenza e manifestazione della volontà di non impugnare la stessa decisione, giusta la giurisprudenza consolidata di questa Corte Sez. L, Sentenza numero 14368 del 25/06/2014 Il pagamento, anche senza riserve, delle spese processuali liquidate nella sentenza d’appello, o comunque esecutiva, non comporta acquiescenza alla stessa, neppure quando sia antecedente alla minaccia di esecuzione o all’intimazione del precetto . 2.- Col secondo motivo il ricorso deduce la violazione degli articoli 8 e 9 della legge 22 luglio 1997 numero 276 e degli articoli 2, 3,10, 11 e 17 della legge 20 settembre 1980 numero 576 in relazione alla violazione dell’articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. inoltre la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio. Travisamento/ in quanto il ricorrente, non essendo iscritto alla Cassa ed avendo già definito la propria posizione previdenziale e professionale essendo in pensione, non poteva essere tenuto ad alcuna comunicazione obbligatoria ed alla relative sanzioni in caso di omissione. 2.1. Il motivo è infondato. L’articolo 9, della legge 276/1997 intitolato Cancellazione dall’albo, cessazione dagli incarichi giudiziari e collocamento fuori ruolo stabilisce che La nomina a giudice onorario aggregato comporta la cancellazione dall’albo degli avvocati ai sensi dell’articolo 37, primo comma, numero 1^, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, numero 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, numero 36. Permane tuttavia l’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati e procuratori ed il periodo di attività quale giudice onorario aggregato è considerato quale periodo di esercizio professionale ai fini del diritto al trattamento previdenziale previsto dalla legge 20 settembre 1980, numero 576, e successive modificazioni. Inoltre l’articolo 8 della stessa legge prevede al comma 5 che L’indennità di cui al comma 2 corrisposta ai giudici onorari aggregati nominati tra gli avvocati iscritti al relativo albo è considerata a tutti gli effetti della legge 20 settembre 1980, numero 576, quale reddito professionale . 2.2. Da questi primi riferimenti normativi si evince dunque, in modo chiaro, che la nomina a giudice onorario aggregato comporti soltanto la cancellazione dall’albo degli avvocati, mentre permane l’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza. Si desume inoltre che l’indennità corrisposta ai giudici onorari aggregati è considerata a tutti gli effetti della legge 20 settembre 1980, numero 576, quale reddito professionale ed è pertanto, in quanto tale, soggetta all’obbligo di comunicazione annuale obbligatoria alla Cassa stabilito dall’articolo 17 della medesima legge appena citata, per gli stessi redditi professionali conseguiti dagli avvocati. 2.3.- Neppure può costituire motivo di incompatibilità dell’iscrizione alla Cassa e del correlato obbligo di comunicazione, il fatto che il ricorrente avesse già conseguito il pensionamento, in quanto dall’articolo 10, 2 comma della legge 576/1980 relativo al contributo soggettivo si evince che esso sia dovuto anche dai pensionati Il contributo di cui ai commi precedenti è dovuto anche dai pensionati che restano iscritti all’albo degli avvocati o all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori ma l’obbligo del contributo minimo è escluso dall’anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione, e il contributo è dovuto in misura pari al 3 per cento del reddito dell’anno solare successivo al compimento dei cinque anni dalla maturazione del diritto a pensione . 2.3. In definitiva essendo il ricorrente iscritto alla Cassa e percependo indennità parificate a tutti gli effetti ai redditi professionali, sussisteva l’obbligo di darne comunicazione alla Cassa, la cui omissione è stata quindi legittimamente sanzionata dalla CNAPD. 3.- Col terzo motivo il ricorso si deduce la violazione dell’articolo 139 c.p.c. in relazione alla violazione dell’articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio perché il credito della CNPAF era prescritto per mancanza di idoneo atto interruttivo in quanto la comunicazione della Cassa del 27 novembre 2006 era stata effettuata in un luogo diverso dal domicilio fiscale. Il motivo è privo di fondamento in quanto come correttamente argomentato dalla sentenza impugnata, con statuizione non specificamente impugnata sotto il profilo fattuale, la prescrizione è stata interrotta dalla Cassa con la comunicazione del novembre 2006 che lo stesso ricorrente affermava di aver ricevuto in data 27 novembre 2006 onde a nulla può valere la doglianza circa il luogo dove sarebbe stata indirizzata la comunicazione interruttiva della prescrizione, che il ricorrente ha comunque riconosciuto di aver ricevuto. 4.- In conclusione l’infondatezza dei motivi di impugnazione comporta il rigetto del ricorso. L’alternanza dei giudizi di merito, unitamente alla peculiarità della fattispecie ed alla mancanza di precedenti in termini, costituisce motivo giustificato per disporre la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.