Repechage anche su mansioni inferiori con il consenso del dipendente

Nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguente a soppressione del posto di lavoro a seguito di riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro ha l’onere di verificare la presenza di mansioni anche inferiori da assegnare al dipendente in esubero qualora sia presumibile una sua disponibilità al loro svolgimento.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13379 depositata il 26 maggio 2017. Il caso. La Corte d’appello di Venezia, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava l’impugnazione da parte di un lavoratore del licenziamento per motivo oggettivo irrogatogli. I Giudici di merito, in particolare, ritenevano effettivamente soppresse le mansioni da questi prevalentemente svolte poiché esternalizzate e, sotto altro profilo, escludevano la possibilità di un suo diverso impiego in mancanza di posti vacanti dello stesso livello di inquadramento nell’inesistenza di un obbligo della società di offrirgli mansioni inferiori, in difetto di una manifestazione di volontà del lavoratore ad accettare un patto di demansionamento . Sotto un ultimo profilo, la stessa Corte d’appello non riteneva di estendere la verifica sul corretto adempimento dell’onere di repechage anche ad altre società facenti parte del medesimo gruppo, in mancanza dei relativi presupposti. Contro tale pronuncia il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Non basta far parte di un gruppo perché si configuri un unico centro di imputazione del rapporto. Con un primo motivo, il ricorrente si doleva di come i Giudici di merito avessero in estrema sintesi errato a non estendere l’onere di repechage su tutte le società del gruppo cui apparteneva il proprio datore di lavoro. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, ribadendo un principio consolidato, chiarisce come l’unica ipotesi in cui soggetti giuridici - formalmente distinti - possano essere ricondotti ad un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro ricorre in presenza dei seguenti requisiti a unicità della struttura organizzativa e produttiva b integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune c coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo [] d utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori . Il consenso si può anche intuire”. Con un ulteriore motivo il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 2103 c.c., per avere i Giudici merito escluso la sussistenza di un obbligo datoriale di repechage anche con riferimento a mansioni inferiori, sull’erroneo presupposto della sua indisponibilità ad un patto di demansionamento, essendo invece egli ben disponibile come risultante dallo stabile svolgimento di mansioni anche inferiori nelle giornate di sabato . Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, pur consapevole del fatto che l’obbligatorietà del repechage su mansioni inferiori sia controversa , ritiene di applicare estensivamente quello che considera un fondamentale arresto di legittimità . In particolare, ad avviso della Corte, nelle ipotesi di sopravvenuta infermità permanente di un lavoratore, affinché si possa legittimamente procedere al recesso è necessario che risulti ineseguibile l’attività svolta in concreto dal prestatore e che non sia possibile assegnargli mansioni [] inferiori, in difetto di altre soluzioni, per la ravvisata prevalenza delle esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro su quelle di salvaguardia della professionalità [] . Muovendo da questo presupposto, la Cassazione ritiene di estendere tale principio all’ipotesi di recesso per giustificato motivo oggettivo conseguente a soppressione del posto di lavoro a seguito di riorganizzazione aziendale. In ragione di ciò, la Corte rileva come risultasse provato che il ricorrente accanto alle mansioni prevalenti di rilevatore dei prezzi dei prodotti delle società concorrenti, abbia negli anni sempre continuato, il sabato mattina, a svolgere anche quelle inferiori genericamente inerenti all’attività sul punto vendita cui era adibito , ragion per cui egli svolgeva mansioni promiscue, tutte da lui esigibili in quanto ordinariamente rese . Alla luce di ciò, con una motivazione nell’avviso di chi scrive non esente da censure, la Cassazione ritiene che l’ordinario seppur marginale svolgimento da parte del lavoratore di mansioni inferiori a quelle prevalentemente svolte poteva costituire una sua manifestazione di volontà ad un patto di demansionamento, con l’effetto che l’obbligo di repechage della società datrice doveva essere esteso anche alle suddette mansioni inferiori.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio – 26 maggio 2017, n. 13379 Presidente Di Cerbo – Relatore Patti Fatti di causa Con sentenza 16 gennaio 2014, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto da B.M. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’impugnazione del licenziamento intimatogli il 17 maggio 2007 da Maxi Di s.r.l. per giustificato motivo oggettivo. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, come già il Tribunale, l’effettiva ricorrenza del giustificato motivo oggettivo per la soppressione delle mansioni di rilevatore dei prezzi dei prodotti delle società concorrenti svolte in maniera praticamente esclusiva dal lavoratore, in quanto esternalizzate. Essa escludeva pure la possibilità di un suo diverso reimpiego in altri punti vendita della società, in mancanza di posti vacanti del suo stesso livello di inquadramento nell’inesistenza di un obbligo della società all’offerta di mansioni inferiori, in difetto dal predetto di manifestazione di volontà ad un patto di demansionamento senza, infine, alcuna estensione della possibilità di repechage alle altre società del gruppo, per omessa censura dell’esclusione dalla sentenza di primo grado della configurabilità, nel gruppo societario di appartenenza della datrice, di un unico soggetto cui imputare il rapporto di lavoro di B. . Con atto notificato il 15 - 21 luglio 2014 egli ricorre per cassazione con cinque motivi, cui resiste la società datrice con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sulla deduzione dell’obbligo datoriale di repechage su tutte le società del gruppo, sull’erroneo assunto di mancata censura del capo della sentenza di primo grado di esclusione di configurabilità in esso di un unico soggetto cui imputare il proprio rapporto di lavoro, invece oggetto di specifica confutazione a pgg. da 33 a 37 dell’atto di appello, trascritte o, in subordine, omesso esame della stessa circostanza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c 2. Con il secondo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sull’eccezione di tardività, soltanto con memoria difensiva in grado di appello, della produzione documentale sub A , relativa alla prova di effettiva esistenza della società cui esternalizzata la mansione del lavoratore soppressa o, in subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per inammissibilità della produzione. 3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 L. 604/1966 e 2697 c.c. ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per difetto di prova, alla luce delle scrutinate risultanze istruttorie, dell’effettiva soppressione della propria mansione per sua esternalizzazione e dell’impossibilità di repechage. 4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 L. 604/1966 e 2697 c.c., anche in riferimento agli artt. 18 L. 300/1970, 2103 c.c. e CCNL del commercio, distribuzione e servizi, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per difetto di prova, neppure adeguatamente valutata, di assoluzione dell’obbligo datoriale di repechage. 5. Con il quinto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, c.c., 3 I. 300/1970 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per esclusione dell’obbligo di repechage anche in riferimento a mansioni inferiori, sull’erroneo assunto dell’indisponibilità propria ad un patto di dequalificazione, la cui proposta nell’onere probatorio datoriale e comunque essendo egli stato ben disponibile, come risultante dallo stabile svolgimento di mansioni anche inferiori nelle giornate di sabato. 6. Il primo motivo, relativo a nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla deduzione dell’obbligo datoriale di repechage su tutte le società del gruppo della società datrice o, in subordine, omesso esame della stessa circostanza, è infondato. 6.1. La denuncia di omessa pronuncia non sussiste. Ed infatti, la Corte territoriale ha negato correttamente al secondo capoverso di pg. 10 della sentenza l’impugnazione dal lavoratore appellante della sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso la possibilità di configurare nel gruppo societario il rapporto di lavoro con il ricorrente cfr. pagina 5 della sentenza , trascritta dalla società datrice dal quart’ultimo alinea di pg. 8 al decimo di pg. 9 del controricorso . La censura del predetto così come trascritta dal secondo capoverso di pg. 15 al sesto alinea di pg. 17 del ricorso si è piuttosto incentrata sulla sussistenza di un obbligo di ricollocazione presso una delle altre società del gruppo, illustratane la configurazione per l’accentramento della loro gestione e controllo nella famiglia Br. , pacifica e provata per tabulas sulla base degli elementi indicati. Al riguardo, è noto come la sola ricorrenza di un collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società appartenenti a un medesimo gruppo non comporti il venir meno dell’autonomia delle singole società, dotate di personalità giuridica distinta e alle quali, quindi, continuano a far capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le diverse imprese con la conseguente esclusione della configurabilità di un unico centro d’imputazione di rapporti diverso dalle singole società Cass. 24 settembre 2010, n. 20231, in tema di demansionamento . Sicché, un tale collegamento non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare - anche all’eventuale fine della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato - un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico - funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l’esistenza dei seguenti requisiti a unicità della struttura organizzativa e produttiva b integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune c coordinamento tecnico e amministrativo - finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune d utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. Trattasi di valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione Cass. 20 dicembre 2016, n. 26346 Cass. 11 novembre 2014, n. 23995 Cass. 16 gennaio 2014, n. 798 Cass. 12 febbraio 2013, n. 3482 Cass. 7 settembre 2007, n. 18843 Cass. 15 maggio 2006, n. 11107 . Ma il lavoratore non ha confutato sotto questo profilo la sentenza di primo grado. 7. Il secondo motivo, relativo a nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di tardività della produzione documentale sub A o, in subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma c.p.c. per inammissibilità della produzione, è infondato. 7.1. Perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione con l’indicazione specifica altresì dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne la ritualità e la tempestività e quindi la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale , detto vizio, non rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dell’onere di indicare compiutamente gli atti della fase di merito Cass. 19 marzo 2007, n. 6361 Cass. 14 ottobre 2010, n. 21226 Cass. 4 luglio 2014, n. 15367 . Poiché il lavoratore ricorrente non ha adempiuto al suddetto onere, la Corte non può compiere il sollecitato esame del vizio di attività denunciato. 7.2. Quanto alla subordinata denuncia di violazione di legge per tardività della produzione documentale per la prima volta in grado di appello, essa è infondata in quanto ben ammissibile, per essere giustificata dall’evoluzione della vicenda processuale successiva al ricorso ed alla memoria di costituzione Cass. s.u. 20 aprile 2005, n. 8202 Cass. 22 maggio 2006, n. 11922 Cass. 5 luglio 2007, n. 15228 Cass. 7 marzo 2014, n. 5336 sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti, emersi nel loro contraddittorio processuale Cass. 6 marzo 2012, n. 3506 e per contemperamento con l’esigenza della ricerca della verità materiale, cui è orientato il rito del lavoro per la garanzia di una tutela differenziata, in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento Cass. 2 ottobre 2009, n. 21124 . La produzione compiuta con la memoria di costituzione in appello è stata, infatti, necessitata dalla manifestazione da controparte del dubbio della stessa esistenza della società, presso cui esternalizzate le mansioni del lavoratore circostanza già provata dalle risultanze istruttorie penultimo capoverso di pg. 9 della sentenza , soltanto in atto di appello ultimo capoverso di pg. 9 della sentenza . 8. Il terzo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 L. 604/1966 e 2697 c.c. ed omesso esame di fatto decisivo per difetto di prova dell’effettiva soppressione della mansione per esternalizzazione e di impossibilità di repechage può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di connessione, con il quarto violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 L. 604/1966 e 2697 c.c., anche in riferimento agli artt. 18 L. 300/1970, 2103 c.c. e CCNL del settore per difetto di prova di assoluzione dell’obbligo di repechage . Essi sono inammissibili. 8.1. La violazione delle norme di legge denunciate non sussiste, in difetto dei requisiti propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruirne la portata precettiva, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina Cass. 26 giugno 2013, n. 16038 Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010 Cass. 28 novembre 2007, n. 24756 Cass. 31 maggio 2006, n. 12984 . 8.2. In realtà, i due mezzi si risolvono in una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, cui solo spetta la valutazione probatoria e la scelta dei vari elementi raccolti, nella formazione del suo convincimento, posto che tali aspetti del giudizio, interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e all’apprezzamento dei fatti, riguardano il libero convincimento del giudice e non i possibili vizi del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto sicché, la valutazione delle risultanze delle prove e la scelta, tra le varie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, libero di attingere il proprio convincimento dalle prove che gli paiano più attendibili, senza alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti con insindacabilità in sede di legittimità, in presenza di una congrua e corretta motivazione Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass. 7 gennaio 2009, n. 42 Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412 , come nel caso di specie per le ragioni esposte da pg. 9 al primo capoverso di pg. 10 della sentenza . 9. Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, c.c., 3 L. 300/1970 e 2697 c.c. per esclusione dell’obbligo di repechage anche in riferimento a mansioni inferiori, è invece fondato. 9.1. Questa Corte è ben consapevole di come la verifica della possibilità, indubbia, del repechage con riferimento a mansioni equivalenti sia stata progressivamente dilatata alla più controversa possibilità di adibizione anche a mansioni inferiori, per l’inderogabilità della norma contenuta nell’art. 2103, secondo comma c.c. nel testo applicabile ratione temporis precedente la riformulazione introdotta dall’art. 3 d.lg. 81/2015 . E ciò in estensione di un fondamentale arresto di legittimità, secondo cui la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa possono giustificare oggettivamente il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato, ai sensi degli artt. 1 e 3 L. 604/1966 a condizione che risulti ineseguibile l’attività svolta in concreto dal prestatore e che non sia possibile assegnargli mansioni equivalenti ai sensi dell’art. 2103 c.c. ed eventualmente inferiori, in difetto di altre soluzioni, per la ravvisata prevalenza delle esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro su quelle di salvaguardia della professionalità del prestatore Cass. s.u. 7 agosto 1998, n. 7755 . Sicché, analogamente è stato ritenuto anche per l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguente a soppressione del posto di lavoro a seguito di riorganizzazione aziendale, pure comportante una nuova situazione di fatto inerente al nuovo assetto dell’impresa anziché alla sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore legittimante il consequenziale adeguamento del contratto con identità delle esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro prevalenti su quelle di salvaguardia della professionalità del lavoratore e analogia dei limiti alla rilevanza della utilizzabilità del lavoratore in mansioni inferiori, individuabili nel rispetto dell’assetto organizzativo dell’impresa insindacabilmente stabilito dall’imprenditore e nel consenso del lavoratore all’adibizione a tali mansioni Cass. 9 novembre 2016, n. 22798 Cass. 8 marzo 2016, n. 4509 Cass. 13 agosto 2008, n. 21579 . 9.2. Tuttavia, osserva la Corte come, nel caso di specie, da quanto accertato in fatto dalla Corte territoriale secondo le deposizioni dei testi menzionati al primo capoverso di pg. 9 della sentenza risulti che B.M. , accanto alle mansioni prevalenti di rilevatore dei prezzi dei prodotti delle società concorrenti, abbia negli anni sempre continuato, il sabato mattina, a svolgere anche quelle inferiori, genericamente inerenti all’attività del punto vendita cui era adibito. Si deve pertanto ritenere che egli di fatto svolgesse mansioni promiscue, tutte da lui esigibili, in quanto ordinariamente rese. E allora, non pare corretto l’assunto della Corte territoriale di esenzione della società datrice da un obbligo di repechage anche in ordine a quelle mansioni inferiori, siccome promiscuamente esercitate con le altre soppresse, sul rilievo assertivo e in contrasto con la superiore circostanza accertata, dell’assenza di ogni disponibilità, in riferimento ad esse, ad un patto di dequalificazione così al secondo capoverso di pg. 11 della sentenza . Per tale ragione, l’obbligo di repechage della società datrice doveva essere esteso anche alle suddette mansioni. 10. Sicché, in accoglimento del quinto motivo e respinti i primi quattro, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, per il superiore accertamento dell’obbligo datoriale di repechage come rimodulato su tutte le mansioni promiscuamente esercitate dal lavoratore e per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, respinti i primi quattro cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.