Legittimo il licenziamento dell’azienda in attivo se ne aumenta l’efficienza

Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è ravvisabile anche solo in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, all’esito del quale una o più posizioni lavorative risultino in esubero e non riassorbili in via di repêchage.

A stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 13015/17, depositata il 24 maggio. Il fatto. La Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata l’impugnativa proposta da un uomo contro il suo licenziamento da parte di una s.p.a L’uomo, pertanto, ricorre in Cassazione. Una diversa ripartizione delle mansioni può giustificare il licenziamento. Secondo il ricorrente, i Giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che, al momento del recesso, la spa presentasse utili in bilancio, avesse fatto cospicui investimenti e, nonostante ciò, avesse lo avesse licenziato. La Suprema Corte non condivide questa tesi e, anzi, sostiene che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è ravvisabile anche solo in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, per una gestione aziendale più efficiente e produttiva. Pertanto, determinate mansioni possono essere accorpate a quelle di un altro dipendente o suddivise fra più lavoratori e, all’esito, una o più posizioni lavorative possono risultare in esubero e non riassorbili in via di repêchage . Licenziamento legittimo anche se l’azienda è in attivo. Né conta che la società avesse utili in bilancio al momento del licenziamento, proprio perché il datore di lavoro può ricercare il profitto mediante la riduzione del costo del lavoro e di altri fattori produttivi, a patto che non lo faccia solo in questo modo un dipendente, cioè, non può essere licenziato unicamente con l’obiettivo di sostituirlo con uno pagato di meno, pur essendo addetto alle stesse mansioni. Se non si ragionasse in questi termini, il licenziamento sarebbe legittimo soltanto se mirato a prevenire il rischio di fallimento dell’impresa e non anche se servisse a migliorarne la produttività. Alla luce di quanto detto, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio – 24 maggio 2017, n. 13015 Presidente Di Cerbo – Relatore Manna Fatti di causa Con sentenza pubblicata il 21.3.14 la Corte d’appello di Brescia rigettava il gravame di C.G. contro la sentenza n. 729/13 con cui il Tribunale della stessa sede aveva rigettato la sua impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli con lettera del 14.9.11 dalla S.A. Eredi Gnutti Metalli S.p.A Per la cassazione della sentenza ricorre C.G. affidandosi a due motivi. S.A. Eredi Gnutti Metalli S.p.A. resiste con controricorso. Le parti depositano memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1.1. Il primo motivo denuncia omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, consistente nella mera assegnazione delle mansioni del lavoratore licenziato ad altro dipendente e non già in una soppressione delle mansioni medesime, senza che la Corte territoriale abbia dato conto delle ragioni per le quali avrebbe rigettato la domanda, così impedendo la ricostruzione del procedimento logico seguito. 1.2. Il motivo va disatteso perché sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze istruttorie affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento. Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri il nuovo testo dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. applicabile, ai sensi del cit. art. 54, co. 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata in esso il vizio consiste, come statuito da Cass. S.U. 7.4.14 n. 8053 e dalle successive pronunce conformi, nell’omesso esame d’un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo o il suo apprezzamento e non nella diversa ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini del decidere o in un difforme apprezzamento di determinati elementi probatori. E non può dirsi che la sentenza impugnata abbia omesso di prendere in esame il fatto della mera assegnazione ad altro dipendente delle mansioni originariamente svolte dal ricorrente la circostanza, anzi, è stata espressamente esaminata e considerata giuridicamente irrilevante ai fini dell’invocata esclusione del giustificato motivo oggettivo, conformemente alla giurisprudenza di questa S.C. su ciò v. meglio infra . 2.1. Con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604 del 1966 nella parte in cui la sentenza impugnata, nel valutare la necessità dell’esistenza di sfavorevoli e non contingenti situazioni tali da imporre una riduzione dei costi mediante licenziamento del ricorrente, ha dichiarato irrilevante il fatto che al momento del recesso la società presentasse utili di bilancio ed avesse appena fatto investimenti per milioni di Euro. 2.2. Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte Suprema cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 19185/16 secondo cui il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ex art. 3 legge n. 604 del 1966, è ravvisabile anche soltanto in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, attuata a fini di una più efficiente e produttiva gestione aziendale, nel senso che certe mansioni possono essere accorpate a quelle di altro dipendente o suddivise fra più lavoratori, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate, con il risultato finale di far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo o prevalente, purché tale diversa distribuzione dei compiti sia causalmente all’origine del licenziamento anziché costituirne mero effetto di risulta. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha accertato la genuinità del riassetto organizzativo che ha portato ad assegnare ad altro lavoratore già da tempo in servizio e con maggiori carichi di famiglia le mansioni di responsabile Movimentazione AGV Ballotti in precedenza espletate dall’odierno ricorrente. Né rileva l’eventuale esistenza di utili di bilancio, atteso che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro, nel procedere al riassetto della sua impresa, può ricercare il profitto mediante la riduzione del costo del lavoro o di altri fattori produttivi, fermo il limite che il suo obiettivo non può essere perseguito soltanto con l’abbattimento del costo del lavoro, ossia con il puro e semplice licenziamento di un dipendente non giustificato da un effettivo mutamento dell’organizzazione tecnico-produttiva, ma solo dal fine di sostituirlo con un altro meno retribuito, ancorché addetto alle medesime mansioni. Ne consegue che, in caso di riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro - al quale l’art. 41 Cost., nei limiti di cui al comma 2, lascia la scelta della migliore combinazione dei fattori produttivi ai fini dell’incremento della produttività aziendale - non è tenuto a dimostrare l’esistenza di sfavorevoli situazioni di mercato, trattandosi di necessità non richiesta dall’art. 3 della citata legge n. 604 del 1966. Diversamente, si dovrebbe ammettere la legittimità del licenziamento soltanto ove esso tenda ad evitare perdite di esercizio e quindi, in prospettiva, a prevenire il rischio di fallimento dell’impresa e non anche a migliorarne la produttività. Ma una conclusione del genere non si ricava dall’art. 3 cit. legge n. 604 del 1966 né dall’art. 41 Cost. infatti, la libertà di iniziativa economica privata non può ridursi ad un’attività improduttiva di redditi e, perciò, mirante ad una mera economicità di gestione. Ciò sarebbe in astratto concepibile per un ente pubblico economico che agisse in condizioni di monopolio e non per un’impresa privata attiva all’interno d’un regime di concorrenza, nel quale, in termini microeconomici e nel lungo periodo, se operante con il maggior costo unitario di produzione essa sarebbe destinata ad essere espulsa dal mercato cfr., per tutte e da ultimo, Cass. n. 13516/16 Cass. n. 25201/16 . Né, da ultimo, può supporsi che il contemperamento fra gli opposti interessi possa risolversi bilanciando tra loro da un lato quello imprenditoriale ad un incremento di produttività e, potenzialmente, di redditività e, dall’altro, quello del dipendente a mantenere una data occupazione un bilanciamento del genere presupporrebbe - a monte la risposta all’interrogativo su quale sia il limite consentito del saggio di profitto e come se ne determini l’andamento, tema su cui si sono cimentati economisti e filosofi, ma che poco si presta a ricevere un responso giudiziario in assenza di precisi parametri normativi. In conclusione, va ribadito che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento previsto dall’art. 3 legge n. 604 del 1966 è ravvisabile anche soltanto in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, all’esito della quale una o più posizioni lavorative risultino in esubero e non riassorbibili in via di c.d. repèchage. Ciò - è appena il caso di ricordare - ovviamente non esime il giudice dal controllare che tale riorganizzazione, pur non sindacabile nel merito, nondimeno sia genuina ossia effettiva e non meramente apparente o pretestuosa , preceda logicamente e/o cronologicamente il licenziamento stesso altrimenti sarebbe mero effetto di risulta d’una scelta diversa da quelle tecnico-organizzative o produttive consentite dall’art. 3 cit. e derivi da necessità non meramente contingenti e transeunti cioè non destinate ad essere certamente riassorbite in un breve arco di tempo . 3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.