Dichiara di non avere parenti in azienda, ma è coniugato con un collaboratore… ma parente e coniuge non sono la stessa cosa

Nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o come nella specie regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mediante l'esame complessivo del testo, della mens legis , specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore o dalle parti. Consegue che non può ritenersi violata la norma regolamentare aziendale che imponga al lavoratore di dichiarare la sussistenza di rapporti di parentela o affinità con persone che lavorano presso l’azienda, laddove il lavoratore sia viceversa in rapporto di coniugio con soggetto collaboratore autonomo dell’azienda.

Così affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10831/17, pubblicata il 4 maggio 2017. Il caso. Un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli quale conseguenza per aver sottoscritto un modulo aziendale con cui veniva dichiarata l’assenza di rapporto di parentela o affinità con altri dipendenti dell’azienda. Mentre sussisteva un rapporto di coniugio peraltro in separazione personale con un collaboratore autonomo esterno dell’azienda stessa. Il Tribunale del lavoro accoglieva la domanda, pronunciando ordinanza declaratoria di illegittimità del licenziamento. L’azienda proponeva dapprima opposizione, respinta con sentenza dal Tribunale e poi appello, anche’esso rigettato dalla Corte d’appello. Ricorreva così in Cassazione l’azienda. La comparazione tra rapporto di parentela e rapporto di coniugio. L’azienda ricorrente si duole della interpretazione resa dai giudici di merito circa le motivazioni del licenziamento intimato, in relazione alla sottoscrizione del modulo aziendale da parte del lavoratore. Si sostiene in particolare che la Corte territoriale abbia violato le norme riguardanti l’esatta definizione delle nozioni di parentela, affinità e coniugio, applicando un’interpretazione eccessivamente formalistica, contraria al senso comune, anche secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata e di buona fede, tenuto conto della qualità di giornalista del lavoratore e non di fine giurista”. La Suprema Corte non condivide l’assunto. Le nozioni di parentela, affinità e coniugio sono state individuate correttamente dalla Corte territoriale, secondo una definizione giuridicamente corretta. Nello stesso documento esaminato ai fini della valutazione circa la legittimità o meno del licenziamento viene nettamente distinto il rapporto di parentela o affinità con persone che lavorano presso l’azienda con il rapporto di coniugio, parentela o affinità entro il quarto grado, di stabile convivenza, di interessi di natura economica con soggetti con funzioni dirigenziali, gestorie o di partecipazioni nell’ambito di società iscritte all’albo dei fornitori aziendali . I criteri ermeneutici di interpretazione Dunque, affermano gli Ermellini, nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o come nella specie regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mediante l'esame complessivo del testo, della mens legis , specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario , l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa. giudizio di merito, incensurabile in sede di legittimità. Nel caso in decisione, le regole ermeneutiche di interpretazione del regolamento aziendale appaiono correttamente applicate, sulla base di una motivazione logica e corretta. Peraltro, come costantemente affermato dal Supremo Collegio, in tema di interpretazione del contratto il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati. In conclusione, il ricorso proposto è stato ritenuto infondato e così rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 gennaio – 4 maggio 2017, n. 10831 Presidente Napoletano – Relatore Patti Fatto Con sentenza 6 luglio 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da Rai s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato con lettera 5 novembre 2013 al caporedattore L.L. e di reintegrazione nel posto di lavoro, con la condanna della società datrice al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle mensilità retributive maturate fino alla data di riammissione entro il limite massimo di dodici. A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore con lettera 17 ottobre 2013, consistente nell’aver sottoscritto un documento aziendale in cui ha negato il rapporto di parentela oltretutto con una persona di cui ha richiesto l’impegno in azienda , per essere questa ingaggiata, con contratto di lavoro autonomo, come invitata intervistata al programma Paese che vai nel periodo dal 20 settembre al 31 ottobre 2013 sua coniuge dal 28 luglio 2007 ed avendo L.L. formalmente comunicato all’azienda il matrimonio e pertanto a lui legata da un rapporto diverso da quello di parentela o affinità, giuridicamente distinto anche dalla modulistica aziendale utilizzata da Rai s.p.a Ma quand’anche ritenuto il contrario, la Corte capitolina escludeva comunque la legittimità del licenziamento intimato per l’ascrivibilità della condotta all’ipotesi di utilizzazione, al fine di trarre comunque profitto a proprio vantaggio o di terzi, di quanto forma oggetto del disimpegno delle proprie mansioni , sanzionata dal regolamento di disciplina Rai con la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione da sette a dieci giorni e pertanto in ogni caso rientrante nella previsione del novellato testo dell’art. 18, quarto comma L. 300/1970. Con atto notificato il 4 8 settembre 2015, Rai s.p.a. s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste L.L. con controricorso entrambe le parti hanno comunicato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 1371, 2104, 2106 c.c. e 7 L. 300/1970, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per non corretta interpretazione della lettera di contestazione di addebito, non soltanto di sottoscrizione di un modulo aziendale nella negazione di un rapporto di parentela con la persona di cui è stato richiesto l’impegno in azienda, ma anche di reticenza sulla sua qualità di coniuge all’atto della richiesta di un contratto di lavoro autonomo in suo favore e di compilazione del predetto modulo senza la barratura della casella condizioni ostative tra le quali anche quella di coniugio , in violazione dei canoni interpretativi in materia contrattuale e segnatamente dell’art. 1362 c.c., di esatta verifica dell’intenzione delle parti, dell’art. 1363 c.c., di lettura delle varie parti le une per mezzo delle altre, dell’art. 1367 c.c., di conservazione di un loro effetto, dell’art. 1371 c.c., di equo contemperamento degli interessi delle parti senza alcuna immutazione di una specifica contestazione contenente tutti i suddetti elementi, erroneamente ritenuti il secondo e il terzo irrilevanti dalla Corte territoriale, in quanto non contestati. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 78, 82 c.c., 12 prel., 1362 ss. c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la formalistica distinzione dei rapporti di parentela, di affinità e di coniugio, contraria al senso comune, anche secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata e di buona fede, tenuto conto della qualità di giornalista e non di fine giurista del lavoratore, perfettamente edotto delle numerose disposizioni interne Circolare DG/0334 del 27 ottobre 1988, Comunicazione n. 2386 del 2 agosto 1999, Nota di chiarimenti RU/RSn. 3510 del 17 luglio 2002 di divieto di contrattualizzazione di parenti, affini e coniugi, se non previa autorizzazione e in taluni casi eccettuati. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2104, 2106, 2119, 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione della gravità della condotta del lavoratore nel non segnalare il rapporto di coniugio con la professionista esterna ingaggiata per il suo programma con contratto di lavoro autonomo, comprovante il suo intento fraudolento, in realtà neppure necessario, per la sufficienza a fini disciplinari dell’allegazione del solo inadempimento contrattuale suddetto in presenza di fonti aziendali, a lui note, prescrittive di adeguata segnalazione e in effetti non contestato. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della legge 92/2012, degli artt. 2119 c.c., 1, 3 L. 604/1966, 30, terzo comma L. 183/2010, delle Disposizioni interne Rai sul divieto di contrattualizzazione di coniugi, parenti e affini, del Regolamento di disciplina Rai, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la ricorrenza nella condotta contestata al lavoratore della giusta causa di licenziamento, siccome irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario tra le parti, tenuto conto della natura direttiva della sua mansione di responsabile apicale di struttura, titolare di potere decisionale sugli incarichi a collaboratori esterni nell’insussistenza della sanzione conservativa erroneamente ritenuta dalla Corte territoriale. Il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 - 1371, 2104, 2106 c.c. e 7 L. 300/1970, per non corretta interpretazione della lettera di contestazione di addebito può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il secondo violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 78, 82 c.c., 12 prel., 1362 ss. c.c., per la formalistica distinzione dei rapporti di parentela, affinità e coniugio, contraria al senso comune, anche secondo interpretazione costituzionalmente orientata e di buona fede . Essi sono infondati. Non sussiste la denunciata violazione delle norme di legge riguardanti l’esatta definizione delle nozioni di parentela, di affinità e di coniugio. Esse sono state individuate secondo un’accezione non già formalistica, ma giuridicamente corretta e pertanto valevole per tutti i cittadini e non soltanto per i giurisperiti , sicché non può essere adottato il canone, invocato a norma dell’art. 12 disp. prel. c.c., piuttosto che in senso costituzionalmente orientato, di accoglienza di un atecnico comune sentire . Ed infatti, nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne in modo chiaro ed univoco il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non può ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario della ricerca della mens legis , specialmente se, attraverso siffatto procedimento, si possa pervenire al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore Cass. 6 aprile 2001, n. 5128 . Le scrutinate locuzioni normative sono state pure correttamente interpretate, sotto lo specifico profilo della negata possibile inclusione nelle nozioni di parentela e affinità di quella di coniugio, in più specifico riferimento al rigoroso rispetto della volontà delle parti, in applicazione del richiamato canone ermeneutico dell’art. 1362, primo e secondo comma c.c Come noto, nella gerarchia dei criteri interpretativi, esso è il principale e deve pertanto prevalere, quando riveli con chiarezza ed univocità la comune volontà delle parti, sicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti Cass. 15 luglio 2016, n. 14432 Cass. 21 agosto 2013, n. 19357 Cass. 28 agosto 2007, n. 18180 , anche alla luce della stessa modulistica adottata, quale parte unilateralmente predisponente, da Rai s.p.a E ciò in particolare riferimento, nello stesso documento sottoscritto esattamente dal coniuge separato del lavoratore, alla distinzione tra rapporti di parentela o affinità con persone che lavorano presso la Rai e tra rapporti di coniugio, parentela o affinità entro il quarto grado, di stabile convivenza, di interessenza di natura economica con soggetti in funzioni dirigenziali, gestorie, o di partecipazione nell’ambito di società iscritte all’Albo dei fornitori Rai così, con testuale richiamo documentale, negli ultimi tre capoversi di pg. 4 della sentenza . In proposito, ben possono essere richiamati pure, in via integrativa, gli ulteriori canoni ermeneutici degli artt. 1366 di interpretazione secondo buona fede, innanzi tutto dal redigente il testo e 1370 di interpretazione, in caso di eventuale dubbio, a favore della parte non predisponente c.c Si comprende allora come la censura di esegesi erronea della lettera di contestazione del 17 ottobre 2013 si risolva in una sua diversa interpretazione della parte e quindi del risultato interpretativo in sé, insindacabile dalla Corte di cassazione, per la sua riserva esclusiva al giudice di merito, in quanto appartenente all’ambito dei giudizi di fatto. Il controllo di legittimità afferisce alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta non invece in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice di merito, con la conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale da questo operata, che in essa si traduca Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465 Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168 Cass. 31 maggio 2010, n. 13242 Cass. 18 novembre 2005, n. 24461 . Nel caso di specie, le regole ermeneutiche contrattuali sono state esattamente applicate sulla base di una motivazione congrua, non viziata né logicamente né giuridicamente per le ragioni illustrate dal primo periodo di pg. 4 al primo capoverso di pg. 5 della sentenza . Né infine si può accedere, in presenza di un’interpretazione ben plausibile del giudice di merito neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178 , ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass. 19 marzo 2009, n. 6694 . Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l’esame del terzo violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2104, 2106, 2119, 2697 c.c., per erronea esclusione della gravità della condotta del lavoratore e del quarto motivo violazione e falsa applicazione della legge 92/2012, degli artt. 2119 c.c., 1, 3 L. 604/1966, 30, terzo comma L. 183/2010, delle Disposizioni interne Rai sul divieto di contrattualizzazione di coniugi, parenti e affini, del Regolamento di disciplina Rai, per la ricorrenza nella condotta contestata al lavoratore della giusta causa di licenziamento , discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna Rai s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.