Ritira il libretto di lavoro e riceve il TFR: non è consenso tacito alla risoluzione del contratto

Al fine di accertare la nullità del termine apposto al contratto di lavoro per mutuo consenso va individuata una chiara e certa volontà comune alle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8594/2017 depositata il 3 aprile. Il caso. Una lavoratrice, più di sei anni dopo aver ritirato il libretto di lavoro e ricevuto le spettanze di fine rapporto, proponeva domanda nei confronti del datore di lavoro per accertare la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato. La Corte d’appello rigettava la domanda, ritenendo intervenuta la risoluzione del contratto per mutuo consenso. La lavoratrice ricorreva in Cassazione. La chiara e comune volontà delle parti. La ricorrente censurava la decisione della Corte territoriale sulla base di tre diversi motivi, connessi tra loro l’aver ritenuto risolto il contratto di lavoro senza aver accertato una chiara e comune volontà delle parti l’aver deciso ciò sulla base del semplice decorrere di un lungo periodo temporale – la lavoratrice, infatti, aveva contestato la legittimità del termine apposto al contratto oltre sei anni e mezzo dopo la sua scadenza e, infine, l’ aver considerato la restituzione del libretto, l’accettazione senza riserve del TFR e la durata di tre mesi dell’attività lavorativa come elementi certi ed univoci del mutuo consenso. I motivi, secondo la Corte di Cassazione, sono fondati. Va accertata una chiara e certa volontà comune alle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto . Il decorso del tempo e l’inerzia della lavoratrice sono semplici fatti, estranei alle ipotesi tipiche fissate dalla legge, e di per sé irrilevanti, ai fini della risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Inoltre, la ricezione del TFR non è comportamento incompatibile con la volontà di impugnare il contratto, ben potendo rispondere – piuttosto – all’esigenza di mantenimento del lavoratore nel momento in cui è venuto meno il reddito da lavoro . Per questi motivi la sentenza impugnava va cassata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 dicembre 2016 – 3 aprile 2017, n. 8594 Presidente Nobile – Relatore Spena Fatti del processo Con sentenza del 30 giugno 2010 27 luglio 2010 la Corte d’Appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da S.M.G. avverso la sentenza emessa in data 17 aprile-16 maggio 2009 dal Tribunale di Oristano, con la quale veniva respinta la domanda formulata dalla appellante nei confronti della s.p.a. Poste Italiane per l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti di causa dall’11.11.2000 all’8.2.2001, ai sensi dell’articolo 8 CCNL 1994. La Corte territoriale riteneva essere intervenuta, come già statuito dal giudice del primo grado, la risoluzione del contratto per mutuo consenso. Nella fattispecie di causa la lavoratrice aveva prestato attività per poco meno di tre mesi, aveva ritirato il libretto di lavoro e ricevuto le spettanze di fine rapporto senza alcuna riserva, aveva contestato la legittimità del termine apposto al contratto oltre sei anni e mezzo dopo la sua scadenza. La condotta posta in essere dall’appellante era non solo incompatibile sotto il profilo obiettivo con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro ma anche con la esistenza, sotto il profilo psicologico, di un suo interesse a tale ripresa. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.M.G. , affidando l’impugnazione a tre motivi di censura. Ha resistito con controricorso Poste Italiane. Le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’articolo 1372 cc. Ha esposto che la Corte di merito aveva disatteso il principio di diritto secondo cui per potersi configurare la risoluzione del rapporto per mutuo consenso era necessario accertare una chiara e comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. 2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunziato violazione degli articoli 1321, 1362 e 1372 cc. Ha dedotto che il mero decorso del tempo non valeva a configurare una volontà tacita di risoluzione specie a fronte di una azione imprescrittibile, quale era quella per la dichiarazione della nullità del termine. 3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’articolo 1372 cc. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio. La ricorrente ha dedotto che la Corte di merito non aveva individuato elementi certi ed univoci che attestassero la volontà di risolvere il rapporto di lavoro, tali non essendo né il decorso del tempo né la restituzione del libretto di lavoro né la accettazione senza riserve del TFR e neppure la durata di soli tre mesi della attività lavorativa. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, sono fondati. Come ripetutamente affermato da questa Corte, nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo ex plurimis Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932, da ultimo, Cass. n.ri 3924, 4181, 7282, 7630, 7772, 7773, 13538, 14818/2015, nonché Cass. 14809/2015 . Va ulteriormente confermato tale indirizzo consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il piano oggettivo nel quadro di una presupposta valutazione sociale tipica v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209 , prescinde del tutto dal presupposto che come è stato chiarito da Cass. 28-1-2014 n. 1780 la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo. D’altra parte, il mero decorso del tempo e la mera inerzia del lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla legge, di per sé è irrilevante. Né può essere sufficiente al fine della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito la mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto stesso, tanto più che nel rapporto di lavoro possono anche intervenire numerose ipotesi di sospensione, previste dalla legge o derivanti dalla volontà delle parti v. fra le altre Cass. 7-7-1998 n. 6615 . La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione dei rapporto per mutuo consenso v. Cass. 15 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887 , mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. Cass. 2-122002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1 2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887 . Nella fattispecie di causa la Corte di merito ha valorizzato circostanze di fatto, quali il decorso del tempo, la restituzione del libretto di lavoro e la percezione del TFR che non sono idonee alla prova del mutuo consenso sullo scioglimento del contratto. Non possono invece esaminarsi ulteriori indici dedotti in controricorso da Poste Italiane ma non rinvenibili nella statuizione impugnata l’avere stipulato altri rapporti di lavoro . Va in questa sede ribadito che il decorso del tempo è indice presuntivo di una volontà negoziale di risoluzione del rapporto di lavoro soltanto in presenza di altre circostanze di fatto univoche e convergenti in tal senso. Né la restituzione del libretto di lavoro né la percezione del TFR sono elementi significativi e concludenti tali condotte non esprimono il consenso alla cessazione del rapporto di lavoro ma piuttosto l’adeguamento delle parti alla formale scadenza del termine apposto la ricezione del TFR, poi, non è comportamento incompatibile con la volontà di impugnare il contratto, ben potendo rispondere piuttosto alla esigenza di mantenimento del lavoratore nel momento in cui è venuto meno il reddito da lavoro. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in accoglimento del ricorso e gli atti rinviati ad altro giudice che si individua nella Corte di appello di Cagliari in diversa composizione affinché provveda a rinnovare il giudizio, emendandolo dal vizio rilevato ed ad applicare il principio di diritto sopra esposto. Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione.