Se il datore di lavoro vuole tirar fuori lo scheletro dall’armadio…

Laddove il rapporto di lavoro sia stato risolto con una transazione, ogni successiva questione connessa allo stesso può essere affrontata con l’impugnazione per l’annullamento dell’accordo transattivo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7342/17 depositata il 22 marzo. Il caso. In seguito ad un infortunio sul lavoro, il datore di lavoro una s.p.a. chiedeva all’INAIL l’erogazione della somma anticipata al lavoratore per inabilità temporanea ma l’Istituto dichiarava di aver corrisposto al lavoratore tale somma. La s.p.a. conveniva quindi in giudizio il lavoratore per la restituzione dell’intero ammontare o, in via subordinata, la condanna per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede o quantomeno per arricchimento senza causa. Il convenuto deduceva che il rapporto di lavoro si era concluso con una transazione e dunque nulla era da lui dovuto alla società. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, condividevano l’assunto del lavoratore ritenendo che la transazione sottoscritta dalle parti facesse emergere la volontà di chiudere ogni rapporto pendente, e anche potenziale, e che la stessa non era stata impugnata con azione di annullamento. Transazione. La società ricorre per la cassazione di tale pronuncia sostenendo la non impugnabilità della transazione, oltre che la sopravvenuta conoscenza della questione in oggetto rispetto alla sottoscrizione dell’accordo con il convenuto. La doglianza risulta infondata in quanto, oltre a non aver la ricorrente prodotto in giudizio la transazione stessa né il relativo contenuto, dalla sentenza impugnata emerge che le parti hanno inteso definite ogni rapporto, anche di natura potenziale” connesso con il rapporto di lavoro, rientrando in tale definizione anche quello in discussione, a nulla rilevando la sua natura triangolare” ed il coinvolgimento dell’INAIL. Il datore di lavoro doveva dunque contestare l’avvenuta definizione di ogni pendenza tra le parti impugnando l’atto transattivo con domanda di annullamento. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 dicembre 2016 – 22 marzo 2017, n. 7342 Presidente Nobile – Relatore Bronzini Fatti di causa 1. Con la sentenza dell’8.11.2013 la Corte di appello di Trento respingeva l’appello proposto da ICS B. s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto del 18.12.2012 che aveva rigettato la domanda della detta società diretta alla condanna di C.L. alla restituzione della somma di Euro 6.319,26 versata allo stesso C. dall’Inail o in via subordinata alla condanna del C. al pagamento della medesima somma per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede o quanto meno per arricchimento senza causa. La ICS B. aveva dedotto in primo grado di aver richiesto all’Inail che in relazione all’infortunio occorso al C.L. le venisse erogata la somma già anticipata al lavoratore per inabilità temporanea e che il rapporto di lavoro era stato risolto con una transazione con la quale era stato corrisposta la somma di 30.000,00 a titolo di incentivo all’esodo l’INAIL le aveva poi comunicato poi che la somma di Euro 6.319,26 era già stata corrisposta al lavoratore. Chiedeva pertanto la restituzione della somma. Il C. resisteva deducendo di non dover restituire nulla in quanto i rapporti tra le parti erano stati definiti con transazione. 2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale osservava che dalla transazione effettuata dalle parti emergeva la volontà di chiudere ogni rapporto pendente anche di ordine potenziale connesso al rapporto di lavoro e che la transazione non era stata impugnata non essendo mai stata proposta un’azione di annullamento della stessa. Anche la domanda per illecito arricchimento era infondata posto che l’azione di cui all’art. 2041 mira a sopperire la mancanza di un’azione tipica che nella specie invece sussisteva ed era rappresentata dall’azione di annullamento della citata transazione mai proposta. Anche le censure in ordine alla non correttezza e buona fede del lavoratore apparivano infondate perché in realtà riferite al momento della stipula della transazione e non in sede di esecuzione e quindi inconferenti posto che non vi era una domanda di annullamento della stessa. Non vi era interesse ad accertare la legittimazione attiva e passiva della società eccezione sollevata dal C. essendo il lavoratore vittorioso. 3. Per la cassazione propone ricorso la ICS B. spa con tre motivi resiste con controricorso il C. che ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si allega la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare con riferimento agli artt. 1965 e 1975 cod. civ Non impugnabilità della transazione. La transazione non doveva essere impugnata dalla società in quanto idonea a regolare tutti i rapporti tra le parti. La società era venuta a conoscenza della percezione da parte del lavoratore della somma spettante per infortunio solo dopo la sottoscrizione della transazione ed il rapporto di cui si discute a carattere triangolare tra INAIL, lavoratore e società non era relativo al rapporto di lavoro. 2. Con il secondo motivo si allega la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare con riferimento agli artt. 1965 e 1975 cod. civ Non impugnabilità della transazione e conseguente esperibilità dell’azione residuale di cui all’art. 2041 cod. civ. La transazione non poteva e doveva essere impugnata e non avrebbe costituito un’azione diretta allo scopo di ottenere la somma percepita dal lavoratore da parte dell’Inail. 3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo tra loro collegati ed appaiono infondati. Infatti, a parte i profili di inammissibilità degli stessi in quanto si deduce che la transazione non poteva e doveva essere impugnata ma senza né la produzione né la riproduzione del contenuto del detto atto, emerge dalla sentenza impugnata che le parti abbiano in effetti definito ogni rapporto, anche di natura potenziale in relazione al pregresso rapporto di lavoro in relazione alla corresponsione della somma di denaro ricordate in premessa. Non può negarsi che la vicenda relativa all’indennità temporanea spettante al lavoratore in dipendenza da infortunio sul lavoro sia riconducibile al rapporto di lavoro trattandosi di un evento occorso durante il rapporto ed in occasione dello svolgimento di attività lavorativa per conto della società pertanto il datore di lavoro poteva contestare l’avvenuta definizione di ogni pendenza tra le parti anche di natura potenziale sottolinea la sentenza impugnata solo impugnando l’atto transattivo con il quale ogni reciproca pretesa si dava per risolta con una domanda di annullamento della stessa, il che non è avvenuto. Viene quindi a mancare il presupposto stesso di una ridiscussione dei rapporti tra le parti essendovi - come già sottolineato dalla sentenza impugnata - un’azione specifica che non è stata esperita non è possibile nemmeno il ricorso a quella meramente sussidiaria. 4. Con il terzo motivo si allega l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Mancata valutazione della volontà delle parti. Non conoscendo l’avvenuta percezione della somma da parte dell’INAIL la società non era nelle condizioni di esprimere alcuna valida volontà transattiva. 5. Il motivo appare inammissibile in quanto la sentenza impugnata ha già valutato il profilo il fatto del rispetto o meno dei principi di correttezza e buona fede nelle fase precedenti la stipula della transazione rilevando che, comunque, per valutare questo profilo occorreva però chiedere l’annullamento della stessa, come già detto mai richiesto. La motivazione sul punto pertanto è stata offerta ed appare condivisibile e non vi è stata alcuna omissione motivazionale le censure peraltro non sono coerenti con la nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. prov. civ., applicabile ratione temporis. 6. Si deve quindi rigettare il ricorso le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza. 7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.