Il termine di 270 giorni per impugnare il licenziamento si applica retroattivamente

L’impugnazione del licenziamento è inefficace se non è eseguita entro il termine di 270 giorni decorrenti dal deposito del ricorso o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato .

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7175/17 depositata il 21 marzo. Il caso. Un lavoratore presso un ospedale veniva licenziato senza preavviso per motivi disciplinari. La Corte d’appello di Milano respingeva il reclamo da lui effettuato sulla base della decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento, ai sensi dell’art. 32, comma 1- bis, l. n. 10/2011. Il termine di decadenza dal diritto di impugnazione. Il lavoratore ricorreva in Cassazione, dolendosi dell’errata interpretazione del principio di diritto affermato dalle sentenze n. 9203 e 15434 del 2014, laddove si affermava la natura processuale del termine di 270 giorni di cui sopra. Come tale, secondo la tesi difensiva, quest’ultimo sarebbe idoneo a produrre i suoi effetti dal momento dell’entrata in vigore anche in relazione ai licenziamento intimati in epoca anteriore. In realtà la Corte di Cassazione si rifà al principio di diritto stabilito, ex plurimis , dalla sentenza n. 13598/16 , con la quale si precisa che la legge n. 10/2011, nel prevedere il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine per l’impugnazione del licenziamento, riguarda non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa prevista dal medesimo art. 6, comma 2, anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato . Pertanto il motivo va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 gennaio – 21 marzo 2017, n. 7175 Presidente Macioce – Relatore Torrice Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Milano respinse l’opposizione proposta da C.G. nei confronti dell’ordinanza ex art. 1 comma 49 della L. n. 92 del 2012 di rigetto della domanda volta alla dichiarazione di nullità ovvero di illegittimità del licenziamento senza preavviso intimato dalla Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico per motivi disciplinari e delle domande restitutorie economiche e reali formulate ai sensi dell’art. 18 L. 300 n. 1970. 2. La Corte di Appello di Milano ha respinto il reclamo proposto dal lavoratore. 3. La Corte territoriale ha ritenuto che il lavoratore era decaduto dall’impugnativa del licenziamento ai sensi dell’art. 32 comma 1 della L. n. 183 del 2010 in quanto questa era stata proposta con ricorso giudiziale depositato oltre il termine di 270 giorni previsti dalla richiamata disposizione, che dovevano farsi decorrere dal 31.12.2011, in applicazione del comma 1 bis dello stesso art. 32 introdotto dall’art. 2 comma 54 del D.L. 29.12.2010 n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26.2.2011 n. 10. 4. Avverso detta sentenza C.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo al quale ha resistito con controricorso la Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico. Motivi della decisione Sintesi del motivo di ricorso. 5. Con l’unico motivo il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1 e 2 della L. n. 604 del 1966 in relazione all’art. 32 comma 1 bis della L. n. 183 del 2010. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe travisato il principio di diritto affermato da questa Corte nelle sentenze nn. 9203 e 15434 del 2014, laddove ha affermato la natura processuale del termine di decadenza di 270 giorni cui all’art. 6 comma 2 della L. n. 604 del 1966 e come tale idoneo a produrre i suoi effetti dal momento della entrata in vigore anche in relazione ai licenziamenti intimati in epoca anteriore. 6. Preliminarmente va osservato, che diversamente da quanto eccepito dal controricorrente, il ricorso si sottrae alla critica di inammissibilità formulata sul rilievo della mancata ricostruzione della vicenda dedotta in giudizio. Esso è costruito con chiara esposizione delle ragioni per le quali la censura è stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta Cass. SSUU 17931/2013 Cass. 18579/2016, 23675/2013 . Esame del motivo. 7. Tanto precisato il ricorso è infondato. 8. Il comma 1 dell’art. 32 della L. 183 del 2010 ha così sostituito i primi due commi dell’art. 6 della L. n. 604 del 1966 il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo . 9. Il D.L. n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, ha poi disposto, con l’art. 2, comma 54, l’introduzione del comma 1-bis, che prevede che In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011 . 10. Tale differimento, come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento al contratto di lavoro a tempo determinato sentenza n. 4913/2016 è stato introdotto per evitare che l’immediata decorrenza del termine decadenziale, prima non previsto, possa pregiudicare chi si trovi ad incorrervi inconsapevolmente. 11. La L. n. 92 del 2012, con l’art. 1, commi 38 e 39, ha poi ulteriormente modificato l’art. 6, comma 2, sostituendo, per i licenziamenti intimati dopo la sua entrata in vigore, il termine di 270 giorni con quello di 180 giorni. 12. E oramai consolidato l’indirizzo di questa Corte Cass. 74/2017, 26163/2016, 24568/2016, 24121/2016, 22490/2016 22498/2016, 13598/2016, 13598/2016 cfr. anche SS.UU. 4913/ 2016 che ha espresso il seguente principio di diritto la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 1- bis, introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in L. 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere in sede di prima applicazione il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 e dunque non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa, prevista dal medesimo art. 6, comma 2 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato . A tale indirizzo il Collegio ritiene di dare continuità e adesso si è attenuta la Corte territoriale. 13. Il ricorso va, pertanto, rigettato. 14. Le spese seguono la soccombenza. 15. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M . La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione in favore della Fondazione controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00, per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.