Non si può presumere la risoluzione per mutuo consenso

Nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, è necessario che sia accertata una chiara, certa e comune volontà delle parti di porre fine a ogni rapporto lavorativo, tenendo conto del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, del comportamento delle parti e di altre circostanze significative. Non basta, quindi, la mera inerzia del lavoratore e, dal conto suo, il datore di lavoro deve provare le circostanze sulla cui base si possa dire che le parti abbiano voluto risolvere il rapporto di lavoro.

A stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione a nella sentenza n. 5279/17, depositata il 1° marzo. La fattispecie. La Corte d’Appello di Cagliari, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da una donna volta ad accertare la nullità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane s.p.a La dipendente ricorre per cassazione, respingendo la tesi della risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Risoluzione contratto per mutuo consenso l’inerzia del lavoratore non basta. I Giudici di legittimità ritengono fondato il ricorso e, riprendendo precedenti conformi a quello in esame, ribadiscono che nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto è necessario che sia accertata una chiara, certa e comune volontà delle parti di porre fine a ogni rapporto lavorativo. Tale accertamento deve essere condotto tenendo conto del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, del comportamento delle parti e di altre circostanze significative non basta, quindi, la mera inerzia del lavoratore e, dal conto suo, il datore di lavoro deve provare le circostanze sulla cui base si possa dire che le parti abbiano voluto risolvere il rapporto di lavoro. Risoluzione per mutuo consenso non si può presumere. Non è tutto gli Ermellini sostengono, inoltre, che l’azione diretta a far valere l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro è imprescrittibile, configurandosi come un’azione di nullità parziale del contratto. Ecco perché, per poter parlare di risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, il decorso del tempo deve essere accompagnato da altre circostanze oggettive che indichino, perché incompatibili con la volontà di voler proseguire il rapporto di lavoro, l’intenzione delle parti di porre fine allo stesso. Non può, dunque, operare la prova presuntiva, come, invece, sostenuto dai giudici di primo grado, che hanno ritenuto sussistere una risoluzione per mutuo consenso solo considerando la breve durata del contratto, la restituzione del libretto lavoro, la percezione del TFR senza alcuna riserva, ecc Tali argomentazioni sono sufficienti a ritenere meritevole di accoglimento il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 dicembre 2016 – 1 marzo 2017, n. 5279 Presidente Nobile – Relatore Cinque Svolgimento del processo 1. Con la sentenza n. 644/2010 la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda proposta da B.I. volta all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane spa, dal 18.2.2000 al 30.6.2000, ai sensi dell’art. 8 CCNL 26.11.1994 per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi in attesa della attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane , ritenendo risolto il rapporto per mutuo consenso. 2. La Corte territoriale, a fondamento della propria decisione, ha affermato che l’attività lavorativa era stata prestata per pochi mesi, era stato ritirato il libretto di lavoro e ricevute le spettanze di fine rapporto senza alcuna riserva e la legittimità del termine era stata contestata quasi cinque anni dopo la scadenza con la diffida notificata nel febbraio 2005. 3. Ricorre per la cassazione B.I. con tre motivi. 4. Resiste con controricorso Poste Italiane spa. 5. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc. Motivi della decisione 6. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14.9.2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. 7. Con il primo motivo la ricorrente denunzia l’insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione sul fatto decisivo e controverso della esistenza o meno, nel caso di specie, di una risoluzione per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 cc. Deduce, in particolare, che i fatti, posti a base della pronuncia, di per sé non avevano alcuna rilevanza e non erano idonei a costituire - per semplice sommatoria - la prova dell’incontro della volontà delle parti finalizzata alla risoluzione consensuale del rapporto, ma occorrevano ulteriori comportamenti positivi in grado di escludere l’interesse a quel posto di lavoro. 8. Con il secondo motivo B.I. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cc, anche con riferimento a quanto previsto dall’art. 1422 cc nonché dagli artt. 2946 e 2948 cc e dagli artt. 2113 cc e 6 legge n. 604 del 1966 per non avere considerato i giudici di merito che, se il mero decorso del tempo avesse comportato la perdita del diritto, sarebbe stato vanificato il principio della imprescrittibilità dell’azione di nullità ex art. 1422 cc e la disciplina sulla prescrizione ordinaria. Richiama, poi, una circolare dove Poste Italiane spa ha disposto che non andavano in nessun caso stipulati contratto a tempo determinato con soggetti che avessero un contenzioso giudiziale o extragiudiziale nei confronti di Poste Italiane e l’esistenza di un facsimile di domanda di assunzione che rappresenta un atto unilaterale di volontà senza limiti temporali che scardinava l’impostazione di un reciproco consenso alla risoluzione contrattuale. 9. Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero l’interpretazione degli effetti della inclusione nella graduatoria dei cd. trimestrali e della circolare del 14.2.2000 anche con riferimento a quanto disciplinato dall’art. 428 cc, nonché la falsa applicazione degli artt. 2113 cc e 6 della legge n. 604 del 1966, e la violazione dell’art. 116 cpc. Sostiene che la richiesta di inserimento nella graduatoria, con la compilazione del facsimile predisposto dalla società, non era stata esaminata dai giudici di merito unitamente al contenuto della già richiamata circolare. 10. I motivi, che per la loro connessione logico-giuridica possono essere trattati congiuntamente, sono fondati. 11. Come questa Corte ha più volte affermato nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessaria che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo tra le altre Cass. n. 23319/2010 Cass. n. 5887/2011 Cass. n. 16932/2011 Cass. n. 3536/2015 ord. n. 6932/2011 n. 17150/2008 . 12. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso Cass. n. 2305/2010 n. 5887/2011 mentre grava sul datore di lavoro che eccepisca tale risoluzione l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro Cass. n. 2279/2010 Cass. n. 17070/2002 Cass. n. 16303/2010 n. 15624/2007 . 13. D’altra parte, l’azione diretta a fare valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano la ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 e 1419 comma 2 cc. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 cc è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Consentendo, quindi, l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio della imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti vedi anche Cass. n. 713/2016 . 14. Per tali ragioni appare necessario, come detto, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo con loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo vedi anche Cass. n. 15043/2000 e Cass. n. 4003/1998 . 15. La valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto compete al giudice del merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, se non sussistono vizi logici o errori di diritto Cass. n. 16287/2011 Cass. n. 5887/2011 Cass. n. 23319/2010 . 16. Con riferimento, poi, alla prova presuntiva, questa Corte ha più volte affermato che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni tra le altre Cass. n. 10958/2015 n. 16728/2006 n. 1216/2006 Cass. n. 21876/2015 . 17. Tali principi, del tutto conformi a quanto disposto dagli artt. 1372 e 1321 cod. civ., vanno ribaditi anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo ormai prevalente, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. 18. Orbene, nella fattispecie in esame la Corte di merito ha, in contrasto con i suddetti principi, ritenuto configurabile la risoluzione per mutuo consenso tacito soltanto in considerazione della breve durata del contratto di lavoro, della contestazione sulla legittimità del termine apposto al contratto avvenuta quasi cinque anni dopo la scadenza, nonché della avvenuta restituzione del libretto di lavoro e della percezione del TFR senza riserva alcuna, elementi tutti a ben vedere incentrati soltanto sul decorso del tempo e sull’inerzia del lavoratore. 19. La Corte di merito, di contro, non ha considerato le altre circostanze dell’inserimento della lavoratrice nelle graduatorie e della circolare del 14.2.2000 con la quale la società aveva indirizzato agli uffici decentrati la disposizione di non stipulare in nessun caso contratti a tempo determinato con i soggetti che avevano in atto un contenzioso giudiziale o extragiudiziale nei confronti di Poste Italiane con riferimento al/ai contratto/i stipulati in precedenza con l’azienda, quando, invece, tali fattori certamente non deponevano in ordine all’accertamento di una chiara comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. 20. Segue a tutte le considerazioni che precedono la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari, in diversa composizione, che dovrà rivalutare la fattispecie alla luce dei principi sopra indicati e regolare anche il regime delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione.