Cameriera ""in nero"", beve involontariamente del detersivo: risarcita dal ristorante

Una volta ricostruito l’episodio, è emerso il rapporto di lavoro non regolare tra la donna e la società proprietaria della struttura. Allo stesso tempo, pare evidente che a causare l’incidente sia stata la presenza di una bottiglia etichettata come acqua minerale” e in realtà contenente detersivo.

Bottiglia etichettata come acqua minerale”, ma in realtà essa contiene detersivo. L’equivoco, all’interno di un ristorante, si rivela pericolosissimo, come testimoniato dall’errore compiuto da una donna – cameriera in nero” – che beve da quella bottiglia riportando lesioni serie. Nessun addebito, però, è possibile nei suoi confronti, poiché a essere responsabili per l’incidente sono i proprietari della struttura Cassazione, sentenza n. 4629/2017, Sezione Lavoro, depositata il 22 febbraio 2017 . Comportamento. Decisiva è, ovviamente, la ricostruzione dei fatti. Da essa emerge che la donna era dipendente del ristorante ma sulla base di un rapporto di lavoro non regolarizzato , e che proprio durante lo svolgimento delle mansioni affidatele ella aveva bevuto dalla bottiglia pensando contenesse acqua minerale . Invece il liquido si era rivelato essere detersivo . A dover risarcire la cameriera, pur se in nero”, sono i proprietari del ristorante. Essi vanno ritenuti responsabili, secondo i giudici, dei danni biologici e morali riportati dalla cameriera. E dovranno essere loro direttamente a risarcire la donna, non potendo chiamare in causa la compagnia assicurativa di riferimento, poiché, una volta letta la polizza, è emerso che la copertura non operava se al momento dell’incidente l’assicurato non era in regola con gli obblighi assicurativi di legge . Respinta, infine, anche in Cassazione, l’ipotesi di un comportamento colposo della donna, nonostante i proprietari del ristorante abbiano sostenuto che la bottiglia di detersivo era collocata all’interno di un apposito armadietto .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 dicembre 2016 – 22 febbraio 2017, n. 4629 Presidente Di Cerbo – Relatore Cinque Svolgimento del processo 1. Con la sentenza n. 999/2012 la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto nei confronti della pronuncia del Tribunale della stessa città che aveva condannato Il Principe snc di M.A. & amp C., M.A. , C.S. e I.C. al risarcimento del danno biologico e morale in favore di F.N. la quale, lavorando come cameriera presso il Ristorante omissis gestito dalla società Il Principe snc, sulla base di un rapporto di lavoro non regolarizzato, aveva subito lesioni per avere bevuto durante l’orario di lavoro da una bottiglia posta sul bancone del bar del ristorante ed etichettata come acqua minerale, ma contenente in realtà detersivo la domanda proposta, invece, dai convenuti nei confronti della SAI chiamata in causa era stata respinta. 2. La Corte territoriale, per quello che rileva in questa sede, ha precisato che 1 era emerso chiaramente dalla istruttoria espletata la esistenza di un rapporto di lavoro tra la società Il Principe snc di M.A. & amp C. e F.N. mentre era rimasto indimostrato che quest’ultima si fosse recata nel ristorante per fare visita ad una amica 2 circa il quantum, le risultanze della consulenza tecnica espletata in primo grado erano state sostanzialmente confermate dalla CTU di appello 3 quanto alla chiamata in causa della SAI, dalla lettura della polizza e dalle condizioni generali di contratto si rilevava che la copertura non operava se al momento del sinistro l’assicurato non fosse stato in regola con gli obblighi di assicurazione di legge. 3. Ricorrono per la cassazione C.S. e I.C. con quattro motivi di ricorso. 4. Resistono con controricorso F.N.J. e la UnipolSai Assicurazioni spa. 5. La UnipolSai Assicurazioni spa ha depositato memoria ex art. 378 cpc. Motivi della decisione 6. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società Il Principe snc e F.N. art. 360 n. 5 cpc . In particolare sottolineano l’omesso esame delle dichiarazioni del teste M.C. , che aveva riferito che al momento dell’incidente la F. non si trovasse all’interno del ristorante, e la ritenuta inattendibilità di tali dichiarazioni, nonché la illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui sono state valutate convergenti ed univoche le testimonianze dei testi D. e Do. . 7. Con il secondo motivo si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ovvero della colpa esclusiva o concorrente della ricorrente nella causazione dell’evento dannoso art. 360 n. 5 cpc la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2056 art. 360 n. 5 cpc l’omesso esame della richiesta di rinnovazione dell’esame testimoniale e della richiesta di integrazione istruttoria violazione degli artt. 275 comma 2 cpc e 437 cpc. Si deduce, in sostanza, che la Corte territoriale non aveva adeguatamente valutato le risultanze istruttorie circa il comportamento colposo della ricorrente nella causazione dell’evento in quanto non era stato tenuto in debito conto che la bottiglia di detersivo non era collocata sul bancone del bar bensì all’interno di un apposito armadietto posto sotto il lavandino. 8. Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 n. 5 cpc e, cioè, della CTU medico legale eseguita nel giudizio di II grado violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 191, 194, 195 cpc. Sostengono che la consulenza tecnica di seconde cure non aveva confermato le conclusioni di quella di primo grado rideterminando la percentuale complessiva di danno all’integrità psicofisica nella misura del 20% anziché del 25% accertato in primo grado. 9. Con il quarto motivo si eccepisce la nullità della sentenza del procedimento per inesistente o apparente motivazione in merito alle conclusioni del CTU nel giudizio di appello art. 360 n. 4 cpc perché non era possibile identificare il percorso argomentativo della Corte che aveva ritenuto la seconda CTU totalmente confermativa della prima. 10. Chiedono, infine, C.S. e I.C. , quali successori ai sensi dell’art. 110 cpc della società estinta Il Principe snc e quali soci illimitatamente responsabili ai sensi dell’art. 2291 cc, che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere nei confronti della suddetta società estinta e in ogni caso la cassazione della gravata sentenza. 11. Il primo motivo è inammissibile per due ragioni. 12. La prima attiene alla violazione del principio di autosufficienza del ricorso essendo stati riportati solo alcuni stralci parziali delle testimonianze contestate e di quelle ritenute a favore della propria tesi per cui non è possibile il controllo di legittimità formale da parte della Suprema Corte di Cassazione. La seconda concerne la mancanza di una chiara e specifica indicazione del fatto decisivo controverso non vagliato dal giudice di seconde cure risolvendosi la censura nella richiesta di una nuova valutazione dell’istruttoria di causa preclusa in sede di legittimità. 13. Anche il secondo motivo è infondato sia perché non è riportata integralmente la deposizione del teste M.C. da cui secondo l’assunto dei ricorrenti si evincerebbe il comportamento colposo concorrente della lavoratrice sia perché la Corte territoriale, con argomentazioni logiche e non contraddittorie, ha motivato sul giudizio di inattendibilità del citato testimone alla luce del comportamento da questi tenuto in occasione dell’incidente, così come riferito dai testimoni D. e Do. . 14. Inoltre, quanto alla richiesta di rinnovazione dell’esame testimoniale e di integrazione istruttoria, in primo luogo deve affermarsi che le doglianze attengono al diritto sostanziale e dovevano essere fatte valere quali errores in iudicando rientranti nel n. 3 dell’art. 360 e non come violazioni integranti il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cpc tra le altre Cass. 19 marzo 2014 n. 6332 Cass 30 maggio 2003 n. 8810 . In secondo luogo, va osservato che le suddette richieste costituiscono esercizio di una facoltà del giudice di merito, in quanto presupponente un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie e, pertanto, le relative doglianze sono incensurabili nel giudizio di legittimità. 15. Il terzo e quarto motivo, che devono essere scrutinati congiuntamente per la loro connessione, sono parimenti inammissibili per la loro genericità. 16. Giova premettere che la Corte territoriale ha affermato, in ordine alla quantificazione del danno, che le risultanze della consulenza tecnica espletata in primo grado sono state sostanzialmente confermate dalla CTU di appello . I giudici del merito, evidentemente, hanno sottolineato che, sebbene vi fossero delle difformità tra i due elaborati, tuttavia l’impianto argomentativo della prima consulenza non doveva ritenersi superato ma in sostanza ribadito. 17. Gli odierni ricorrenti, pertanto, onde consentire il sindacato di legittimità, avrebbero dovuto riportare, nei punti contestati, tutti i passaggi logici dei due consulenti al fine di potere valutare se effettivamente, nella diversa percentuale indicata vi fosse stata una difformità significativa ovvero ininfluente come ritenuto dalla Corte di appello. 18. La mancanza di tali precisazioni rende, pertanto, prive del requisito di specificità le doglianze proposte. 19. Né, nel caso in esame, può sostenersi che non vi sia stata una adeguata e distinta giustificazione del convincimento da parte dei giudici di seconde cure perché essi non hanno disatteso le conclusioni del CTU di secondo grado ma le hanno ritenute sostanzialmente conformi a quelle del perito di primo grado. 20. Da ultimo, non è meritevole di accoglimento la richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere nei confronti della società estinta Il Principe snc & amp C. atteso che tale tipo di pronuncia presuppone la sopravvenienza di eventi di natura fattuale o atti volontari delle parti provenienti da queste personalmente o da procuratore speciale idonei a determinare la totale eliminazione di ogni posizione di contrasto mentre, nel caso di specie, si verte in una ipotesi di fenomeno successorio, nella pretesa sub iudice, che rende i soci della società estinta legittimati, attivamente e passivamente, a partecipare al giudizio. 21. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere respinto. 22. Il rigetto del ricorso principale assorbe la trattazione di ogni questione sull’operatività della polizza, stipulata con la Compagnia di Assicurazione, avendo riguardato l’infortunio una dipendente non in regola con gli obblighi assicurativi di legge. 23. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.100,00 per ciascun resistente di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, iva e cpa come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.