La gravità della colpa della lavoratrice madre deve essere accertata in concreto dal giudice

Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante ove ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva. È necessario, invece, verificare se sussista suddetta colpa e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d'inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. Consegue che il giudice di merito è tenuto a svolgere una rigorosa valutazione al fine di accertare se la condotta contestata sia, oltre che di gravità tale da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, anche causa di esclusione del divieto di licenziamento posto a tutela costituzionale della maternità.

Principio statuito dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro con la sentenza n. 2004, pubblicata il 26 gennaio 2017. Il caso impugnazione di licenziamento disciplinare intimato per assenza ingiustificata protrattasi oltre il termine massimo stabilito dal CCNL. Una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatogli quale conseguenza dell’assenza ingiustificata dal lavoro protrattasi per un periodo superiore al termine massimo di 60 giorni consecutivi, stabilito dal CCNL applicato. L’assenza era conseguenza del disposto trasferimento di posto di lavoro adottato dall’azienda e ritenuto illegittimo dalla lavoratrice, la quale aveva in precedenza ottenuto dal Tribunale, in altro giudizio, il diritto ad essere riammessa nel posto di lavoro già occupato. Peraltro, all’atto del disposto trasferimento, la lavoratrice era in gravidanza. Il Tribunale del lavoro, respingeva l’impugnazione proposta, sia nella fase sommaria che nella successiva fase di opposizione. Analogamente la Corte d’Appello, decidendo sul reclamo proposto dalla lavoratrice, riteneva legittimo il licenziamento. Ricorreva in Cassazione la lavoratrice. Il divieto di licenziamento ex dlgs n. 151/2001. La lavoratrice ricorrente si duole che la corte di merito, come il giudice di primo grado, abbia disatteso il divieto di licenziamento previsto dalla normativa a tutela della lavoratrice madre. Come noto, l’articolo 54 del dlgs. n. 151/2001, prevede il divieto di licenziamento delle lavoratrice madri. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. . La medesima norma introduce alcune deroghe al divieto di licenziamento, tra cui, per quanto riguarda il caso in esame Il divieto di licenziamento non si applica nel caso a di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro . . La colpa grave che vanifica il divieto è un quid maggiore del giustificato motivo di recesso. Secondo gli Ermellini, la colpa grave prevista dalla norma sopra citata costituisce un comportamento diverso e più grave rispetto al giustificato motivo soggettivo di recesso o a fattispecie di condotta colpevole previste dalla contrattazione collettiva. La sussistenza in concreto di tale grave condotta deve essere accertata dal giudice di merito chiamato a valutare la legittimità del recesso intimato. In materia il Supremo Collegio richiama il principio giurisprudenziale già affermato in precedenti decisioni, cui viene data continuità. Secondo tale principio, la colpa grave della lavoratrice madre non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, ma deve individuarsi nel concreto la sussistenza di quella colpa specificamente prevista dalla norma di cui all’art. 54 citato e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d'inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. Principio di diritto disatteso dai giudici di merito sentenza cassata. La Suprema Corte osserva che il collegio di merito nella sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra affermati, essendosi limitata a considerare che l’assenza ingiustificata si era protratta oltre il termine stabilito dalla contrattazione collettiva ma senza operare quella valutazione in concreto della gravità della condotta della lavoratrice madre, soggetto che si trova in una particolare situazione della sua esistenza con possibili ripercussioni su diversi aspetti della vita personale, psicologico, familiare, organizzativo . Situazione, va ricordato, tutelata costituzionalmente Corte Cost., sentenza n. 61/1991 . Osserva la Suprema Corte, che l’assenza della lavoratrice era diretta conseguenza del trasferimento adottato dall’azienda, ritenuto ingiusto dalla prima, la quale si era rifiutata di ottemperare, in applicazione del diritto di autotutela di cui all’art. 1460 c.c., un provvedimento come tale avvertito, in considerazione dello stato di gravidanza. Pertanto il ricorso proposto è stato ritenuto fondato, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra corte di merito per la decisione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 novembre 2016 – 26 gennaio 2017, n. 2004 Presidente Nobile – Relatore Della Torre Svolgimento del processo Con sentenza n. 100/2015 del 25/2/2015 il Tribunale di Cassino rigettava l’opposizione proposta da V.S. nei confronti dell’ordinanza dello stesso Tribunale che ne aveva respinto il ricorso per la dichiarazione di nullità o illegittimità dei licenziamento senza preavviso intimatole da Poste Italiane S.p.A., con lettera del 9/7/2012, per assenza ingiustificata, non avendo la lavoratrice, la quale aveva ottenuto dai Tribunale di Frosinone di essere riammessa nel posto di lavoro in precedenza occupato nell’Ufficio di omissis , ripreso servizio nell’Ufficio di omissis , ove era stata trasferita, con provvedimento del 2/3/2012, a far data dal 26/3 successivo. Il reclamo della V. avverso detta sentenza del Tribunale di Cassino era respinto dalla Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 5066/2015, depositata il 12 giugno 2015. La Corte osservava, in primo luogo, a fondamento della propria decisione, che la parte reclamante doveva considerarsi decaduta dalla possibilità di impugnare il trasferimento, avendo provveduto alla relativa impugnazione giudiziale con ricorso depositato in data 17/3/2013 e, pertanto, oltre il termine di duecentosettanta giorni previsto dall’art. 32 l. n. 183/2010 e decorrente nella specie dal 20/3/2012, data dell’avvenuta comunicazione dell’impugnativa del trasferimento con la conseguenza che era da ritenersi precluso che la questione della legittimità del medesimo potesse essere valutata incidentalmente nel giudizio relativo al licenziamento. La Corte osservava poi che la condotta posta in essere dalla lavoratrice era riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 54, par. VI, lettera I del CCNL 14 aprile 2011, che sanziona con il licenziamento per giusta causa l’assenza arbitraria dal servizio superiore a sessanta giorni lavorativi consecutivi , e che tale condotta di persistente e ingiustificato rifiuto della prestazione, avuto anche riguardo alla circostanza che la V. , all’epoca in stato di gravidanza, non si era neppure presentata al momento delle formalità di ripristino del rapporto per rappresentare le proprie particolari esigenze personali e familiari, integrava la fattispecie della colpa grave stabilita dall’art. 54, co.3, lettera a del d.lgs. n. 151/2001 quale causa di esclusione del divieto di licenziamento. La Corte di appello riteneva infine di condividere la sentenza di primo grado circa l’immediatezza dell’esercizio dell’azione disciplinare, posto che la contestazione risultava formulata poco tempo dopo il perfezionarsi della condotta addebitata. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la V. con sei motivi la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo, deducendo violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte, sul rilievo dell’intervenuta decadenza ex art. 32, comma 3, lettera c l. n. 183/2010, omesso di pronunciarsi sui vizi dell’ordine datoriale di trasferimento, al fine di poterne vagliare l’incidenza sul successivo licenziamento, pur in presenza di un interesse della lavoratrice alla verifica, seppure in via incidentale, della legittimità di tale ordine. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 3, lettera a d.lgs. n. 151/2001, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte ritenuto la sussistenza della colpa grave della lavoratrice madre, a fronte di licenziamento irrogato per una delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, senza procedere - come peraltro richiesto dalla giurisprudenza di legittimità - alla verifica della colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa da quella che deve connotare l’inadempimento del lavoratore per dare luogo alla risoluzione del rapporto. Con il terzo motivo, deducendo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti art. 360 n. 5 , la ricorrente si duole che la Corte abbia ritenuto esistente, in concreto, la colpa grave, trascurando di considerare lo stato di gravidanza della lavoratrice e il legittimo ricorso della stessa all’autotutela di cui all’art. 1460 c.c., con il rifiuto di ottemperare ad un provvedimento avvertito come ingiusto. Con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 54 CCNL per i dipendenti di Poste Italiane del 14/4/2011 nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e segg. c.c. art. 360 n. 3 , la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto integrata nella specie la condotta di cui al par. VI, lettera I , di detto contratto assenza arbitraria dal servizio superiore ai sessanta giorni lavorativi consecutivi , in luogo di quella prevista al par. V, lett. e , e cioè il rifiuto di adempiere al provvedimento di trasferimento, di cui l’assenza ingiustificata è elemento costitutivo. Con il quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 3 l. n. 604/1966 e 7 l. n. 300/1970 art. 360 n. 3 , la ricorrente si duole che la Corte abbia escluso la tardività della contestazione disciplinare, avvenuta, con comunicazione in data 11/6/2012, a rilevante distanza di tempo dal giorno 26/3/2012 in cui avrebbe dovuto presentarsi presso l’ufficio di nuova destinazione. Con il sesto motivo, infine, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 2119 c.c. e dell’art. 7 l. n. 300/1970 art. 360 n. 3 , la ricorrente si duole che la Corte abbia implicitamente disatteso l’eccezione di nullità della disposizione pattizia, di cui al par. VI, lettera I , per contrarietà a norme imperative, formulata sul rilievo della incompatibilità con la ricorrenza di una giusta causa di recesso di un comportamento del datore di lavoro che tolleri l’assenza ingiustificata del proprio dipendente per un periodo di 60 giorni lavorativi consecutivi. Risultano fondati, e devono essere accolti, il secondo e il terzo motivo di ricorso, che, in quanto connessi, possono essere esaminati in via congiunta. Al riguardo si osserva che il giudice di appello ha tratto la valutazione della sussistenza nella specie della colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54, comma 3, lettera a del decreto legislativo n. 151/2001, essenzialmente dalle stesse ragioni poste dalla società a giustificazione del licenziamento intimato con lettera del 9/7/2012, e, pertanto, per ininterrotta e ingiustificata assenza dal lavoro, presso la nuova destinazione di OMISSIS , dal 26/3/2012 all’11/6/2012, data della lettera di contestazione, previo inquadramento dell’inadempimento contestato nell’ipotesi prevista dall’art. 54, par. VI, lett. I del CCNL 14/4/2011, che sanziona con il licenziamento senza preavviso l’assenza arbitraria dal servizio superiore ai sessanta giorni lavorativi consecutivi . Ne consegue che il giudice di appello non si è conformato al principio di diritto espresso da Cass. n. 19912/2011, per il quale il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell’art. 3 lettera a del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario - in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1991 - verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l’indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d’inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. L’accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi . Nel dare continuità a tale principio, si deve precisare che l’ambito di indagine rimesso al giudice di merito, al fine di stabilire la sussistenza di una colpa grave, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro della lavoratrice madre, deve estendersi ad un’ampia ricostruzione fattuale del caso concreto e alla considerazione della vicenda espulsiva nella pluralità dei suoi diversi componenti. Tale più esteso, articolato e completo ambito di indagine è conseguenza necessaria del carattere autonomo della fattispecie in esame e della sua peculiarità, in quanto la colpa grave, che giustifica la risoluzione del rapporto, è quella della donna che si trova in una fase di oggettivo rilievo nella sua esistenza, con possibili ripercussioni su piani diversi ed eventualmente concorrenti personale e psicologico, familiare, organizzativo . Né può dubitarsi che tale indagine debba essere svolta dal giudice di merito alla stregua di,un adeguato rigore valutativo, posto che la situazione da verificare, oltre a dover essere di gravità tale da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, si pone, nella disciplina di cui all’art. 54 d.lgs. n. 151/2001, come causa di esclusione di un divieto di licenziamento, che attua la tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia art. 37 . Gli altri motivi restano assorbiti. La sentenza della Corte di appello di Roma n. 5066/2015 deve, pertanto, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale si atterrà al principio di diritto e ai criteri sopra richiamati. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.