La “bugia bianca” del lavoratore non giustifica il licenziamento

La reticente condotta tenuta dal lavoratore nel formulare il questionario relativo alle sue pregresse esperienze lavorative non è determinante per l’assunzione dello stesso, poiché tale condotta non ha leso irrimediabilmente la fiducia alla base del rapporto di lavoro. Non può dunque costituire giusta causa di licenziamento.

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27585/16 depositata il 30 dicembre. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la pronuncia di merito di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla società Autostrade per l’Italia s.p.a. ad un lavoratore nel 2009. La società gli contestava di aver omesso nella menzione dei suoi precedenti rapporti di lavoro quello intercorso con altro datore di lavoro cessato per licenziamento per giusta causa, circostanza di cui la società era venuta a conoscenza nel 2009 solo dopo il rinnovo del contratto di lavoro. La Corte d’appello, confermando l’illegittimità del licenziamento per giusta causa sancita in primo grado, ha ritenuto non vi fosse proporzionalità tra la sanzione adottata e la mancanza commessa dal lavoratore, in considerazione della conoscenza che la società aveva del lavoratore da ormai due anni e del fatto che egli non era mai stato soggetto ad alcun provvedimento disciplinare. Pertanto l’informazione inesatta ed incompleta del lavoratore non era ritenuta di carattere particolarmente grave da comportare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo. La società decide di ricorrere in Cassazione rilevando che la gravità dei fatti doveva essere valutata con riferimento al loro compimento e non alla loro scoperta, che non ha rilievo la circostanza per cui il lavoratore non abbia commesso altre mancanze successivamente alla contestazione disciplinare. Inoltre vengono rilevati dalla società anche l’omesso esame della dedotta lesione in appello dell’immagine aziendale e la possibilità che il fatto integrasse almeno l’ipotesi del giustificato motivo soggettivo del licenziamento. Rapporto fiduciario tra azienda e lavoratore. La Corte di merito, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario fosse avvenuta e fosse tale da giustificare la massima sanzione espulsiva, ha ritenuto opportuno valutare la condotta del lavoratore valorizzando la diligente e corretta condotta tenuta da esso nel corso del rapporto. Se infatti al momento dell’assunzione l’omissione contestata al lavoratore poteva assumere rilevanza sulla complessiva valutazione di affidabilità dell’azienda sul proprio dipendente, non era tale da ledere irrimediabilmente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro. I Giudici di legittimità, condividendo le argomentazione della Corte territoriale, ritengono che la sanzione espulsiva non sia proporzionata alla violazione commessa dal lavoratore, rigettando dunque il ricorso come non fondato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 ottobre 30 dicembre 2016, n. 27585 Presidente Nobile Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 20 dicembre 2013, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla società Autostrade per l’Italla s.p.a. a D.N.V. il 4 febbraio 2009, con le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di cui all’art. 18 St. lav Il predetto lavoratore era stato assunto prima con due successivi contratti a tempo determinato e poi, in data 8 novembre 2008, a tempo indeterminato, quale esattore, a seguito di conciliazione in sede sindacale, con cui aveva rinunciato ad ogni pretesa derivante dai precedenti rapporti di lavoro. Con lettera del 23 gennaio 2009 la società gli contestava di aver menzionato, nel compilare in occasione del primo contratto a tempo determinato 8 agosto 2007 un questionario relativo ad informazioni su sue precedenti esperienze lavorative, solo un precedente rapporto di lavoro e di non aver invece riferito di altro rapporto di lavoro intercorso con altro datore di lavoro cessato per licenziamento per giusta causa, circostanza questa di cui la società era venuta a conoscenza il 19 gennaio 2009. Non ritenendo di accogliere le giustificazioni fornite dal lavoratore, la società lo licenziava per giusta causa. La Corte d’appello, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha ritenuto che non vi fosse proporzionalità tra la sanzione adottata e la mancanza commessa, considerato che la società ben conosceva il lavoratore in forza dei rapporti di lavoro con lui intercorsi, della durata complessiva di circa due anni, durante i quali mai il medesimo era stato destinatario di alcun provvedimento disciplinare o avesse dato adito a rilievi di sorta. L’informazione inesatta e incompleta da lui resa circa le pregresse esperienze lavorative non poteva pertanto avere un carattere di tale gravità da giustificare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Per la cassazione di questa sentenza ricorre la società sulla base di quattro motivi. Il lavoratore è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., rileva che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di merito, la gravità dei fatti doveva essere valutata con riferimento al loro compimento e non alla loro scoperta, avvenuta successivamente, nonché in relazione alla loro portata soggettiva ed oggettiva, alle circostanze in cui erano stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale. Non poteva pertanto la sentenza impugnata attribuire rilevanza, ai fini dell’esclusione della proporzionalità della sanzione, al comportamento tenuto dal lavoratore nel periodo successivo alla commissione dei fatti oggetto di contestazione. 2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 106 c.c. e dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970, deduce che di nessun rilievo è la circostanza che il lavoratore non abbia commesso altre mancanze né assume all’una rilevanza il comportamento tenuto dal lavoratore successivamente ai fatti che diedero luogo alla contestazione. I comportamenti disciplinari in tanto possono assumere rilievo in quanto commessi prima della condotta oggetto della contestazione disciplinare. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. , rilevando che con il ricorso in appello era stata dedotta anche la lesione dell’immagine aziendale, essendo stata la società oggetto di critiche da parte di alcune organizzazioni sindacali, circostanza questa non tenuta in considerazione dalla sentenza impugnata. 4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. numero del 1966, deduce che il fatto contestato al lavoratore integra quanto meno l’ipotesi del giustificato motivo soggettivo del licenziamento, ove la condotta a lui ascritta non sia sussumibile sotto la fattispecie della giusta causa. 5. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non è fondato. La Corte di merito ha ritenuto che la sanzione espulsiva non fosse proporzionata alla violazione commessa ed ha aggiunto che, se è pur vero che la condotta addebitata al lavoratore in occasione della prima assunzione a tempo determinato - consistente nell’aver taciuto di essere stato in precedenza licenziato per giusta causa da altro datore di lavoro -, poteva assumere rilevanza sulla complessiva valutazione dell’azienda circa l’affidabilità che il datore di lavoro deve riporre sui propri dipendenti, tuttavia essa non era tale da ledere irrimediabilmente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro. Il lavoratore aveva infatti dimostrato, nel corso del rapporto a termine e a tempo indeterminato , assoluta correttezza e diligenza nello svolgimento dell’attività lavorativa e non aveva mai dato adito a rilievi di sorta, dimostrandosi professionalmente idoneo. La Corte territoriale ha dunque verificato la condotta del lavoratore con riferimento ai fatti che avevano determinato il licenziamento, ritenendo che non fossero tali da giustificare il recesso, tenuto anche conto che nel corso del rapporto il lavoratore, addetto al maneggio del denaro, quale esattore, aveva dimostrato di adempiere diligentemente ai doveri fondamentali posti a carico del prestatore di lavoro, onde, la mancanza commessa, valutata in relazione a tale diligente comportamento, non rivestiva il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, anche sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo. In sostanza la sentenza impugnata, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, fosse tale in concreto da giustificare la massima sanzione espulsiva, ha valorizzato la diligente e corretta condotta tenuta dal lavoratore nel corso del rapporto, anche in relazione alle delicate mansioni di esattore da lui espletate, ritenendo che nel giudizio di proporzionalità tra infrazione e sanzione disciplinare, essa costituiva elemento rilevante, dal quale non si poteva prescindere. La valutazione che precede, in quanto priva di errori logici e giuridici, si sottrae alle censure che le vengono mosse, dovendosi peraltro aggiungere, per completezza, che l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore non fu determinata dalla condotta reticente tenuta dal medesimo nel formulare il questionario relativo alle sue pregresse esperienze lavorative. Ed infatti, come risulta dalla sentenza impugnata, le parti in data 7 novembre 2008 sottoscrissero un verbale in sede sindacale, con il quale veniva transatta e conciliata ogni pretesa derivante dai precedenti rapporti a termine a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato quale esattore, con orario di tempo parziale, assunzione che aveva effettivamente luogo in data 8.11.07 . Tale assunzione dunque avvenne non già perché la società fu indotta in errore dal dipendente, ma in forza della rinuncia del medesimo ad ogni pretesa derivante dai pregressi rapporti di lavoro, con esclusione quindi di ogni collegamento fra i due eventi. Il ricorso deve pertanto essere respinto. Non v’è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, essendo il lavoratore rimasto intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, Nulla per le spese.