L’esercizio della facoltà di recesso dal rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva deve essere motivato dalla PA

La facoltà attribuita dall'art. 72, comma 11, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, alle PA di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nel caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell'Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell'ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato.

Così affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 26475/16, depositata il 21 dicembre, la quale ha inoltre precisato che l'esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poiché in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell'ambito di politiche del lavoro. Il caso deciso. Un medico alle dipendenze di un’Azienda Ospedaliera veniva licenziato, avendo l’amministrazione fatto ricorso alla facoltà di risoluzione del rapporto prevista dal d.l. n. 112/2008 e d.l. n. 78/2009, con riferimento ai dipendenti che avessero raggiunto la soglia di 40 anni di anzianità contributiva. Impugnato il licenziamento, il Tribunale del lavoro lo accoglieva, dichiarando l’illegittimità del recesso adottato. L’Azienda Ospedaliera proponeva appello e la Corte d’appello, in accoglimento del gravame, riformava la sentenza di primo grado, respingendo le domande del lavoratore e confermando la legittimità del recesso. Il medico proponeva ricorso in Cassazione e a sua volta l’Azienda Ospedaliera proponeva ricorso incidentale. Facoltà di recesso della PA e limite massimo di età per i medici. Un primo motivo di censura proposto riguarda l’errata interpretazione da parte della corte territoriale dell’art. 72, comma 11, d.l. 25 giugno 2008 n. 112 e successive modifiche. Si duole il ricorrente che l’azienda non avrebbe potuto avvalersi della facoltà di recesso di cui a quest’ultima norma, poiché egli si era avvalso della del diritto di permanere in servizio sino al compimento del quarantesimo anno di servizio effettivo, in base al disposto dell’articolo 15- nonies , comma 1, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502. Ma il Supremo Collegio non condivide la tesi e afferma che l’art. 15- nonies d.lgs. n. 502/1992 prevede che Il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, è stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero, su istanza dell'interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti . Norma dunque che fissa il limite massimo invalicabile di permanenza in servizio del dirigente medico. Diversamente, la facoltà di recesso di cui all’art. 72 d.l. n. 112/2008 è concessa a tutte le PA e consente loro di recedere liberamente dal rapporto ove il dipendente abbia raggiunto la massima anzianità contributiva di 40 anni di sevizio. Trattasi dunque di due istituti diversi ed il primo non può costituire impedimento per l’amministrazione sanitaria di avvalersi della facoltà di recesso. Da ciò consegue l’infondatezza del motivo proposto. Legittimi i recessi adottati, purchè motivati. Appare viceversa fondato altro motivo proposto dal ricorrente, riguardante l’errata applicazione dell’art. 72 d.l. n. 112/2008, come modificato dal d.l. n. 78/2009. Secondo la motivazione resa dalla corte di merito nella sentenza impugnata, la facoltà di recesso non sarebbe stata esercitata arbitrariamente, ma al fine di esigenze di contenimento dei costi, attraverso riorganizzazione del polo cardiologico, cui era addetto il ricorrente. Il Supremo Collegio, in linea con precedenti decisioni della Corte di legittimità, ribadisce la necessità che la facoltà di recesso attuata in applicazione dell’art. 72 d.l. n. 112/2008, va esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell'Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell'ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L'esercizio di tale facoltà richiede pertanto idonea motivazione, poichè in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell'ambito di politiche del lavoro. Indispensabile la motivazione se manca un atto generale di organizzazione. L'esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dall’art. 72 d.l. n. 112/2008 e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo. Il carattere facoltativo della risoluzione in ragione di anzianità necessita, per non tradursi in discriminazione, di un percorso valutativo che garantisca la legittima finalizzazione dell'interesse pubblico dell'Amministrazione ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza ciò costituendo garanzia dei diritti dei lavoratori, del buon andamento dell'amministrazione e del generale interesse al corretto esercizio dell'azione pubblica, in un ragionevole bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo. La Corte d’appello sorvola sulla motivazione sentenza cassata. Nel caso deciso, gli Ermellini sottolineano che la corte di merito, affermando la non necessità della motivazione e la non pertinenza alla fattispecie della direttiva C.E. n. 78/2000, non si è attenuta ai principi di diritto sul punto enunciati con le precedenti decisioni della Corte di Cassazione n. 21626/15, n. 18099/16 e da ultimo nuovamente ribadite con la decisione n. 25378 del 12 dicembre 2016 . Conseguentemente il motivo di censura proposto è stato accolto e cassata con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 ottobre 21 dicembre 2016, n. 26475 Presidente Macioce Relatore Di Paolantonio Svolgimento del processo 1 - La Corte di Appello di Genova, riformando la sentenza del locale Tribunale che aveva accolto il ricorso, ha respinto tutte le domande proposte nei confronti della Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino - IST da C.B.M. , il quale aveva agito in giudizio contestando la legittimità della risoluzione del rapporto di lavoro disposta dalla resistente il 16 maggio 2011 ai sensi dell’art. 17, comma 35 novies, della legge n. 102 del 3 agosto 2009 a seguito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni. 2 - La Corte territoriale ha evidenziato che il potere di recesso era stato correttamente esercitato in quanto l’Azienda, al fine di razionalizzare e contenere la spesa, aveva realizzato un unico polo cardiologico e si era fatta anche carico della esigenza di salvaguardare la funzionalità del servizio, attraverso una complessiva riorganizzazione che aveva sopperito al venire meno dell’apporto professionale dato dall’appellato. Il giudice di appello ha escluso l’asserito carattere discriminatorio della risoluzione anticipata del rapporto, sia perché la norma che l’aveva consentita faceva riferimento alla anzianità contributiva e non all’età, sia in quanto la disposizione rispondeva ad una precisa finalità di interesse generale perseguita dal legislatore. Infine la Corte territoriale ha ritenuto che il provvedimento di recesso non dovesse essere motivato, essendo sufficiente il richiamo alla norma della quale la Azienda si era avvalsa. 3 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.B.M. sulla base di due motivi. L’Azienda Ospedaliera ha resistito con tempestivo controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato al quale a sua volta il C. ha replicato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1.1 - Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c. conseguente falsa applicazione dell’art. 17, comma 35, della legge n. 102 del 2009 e degli artt. 2, comma 1, e 5 del d.lgs n. 165 del 2001, anche con riferimento a quanto previsto in generale dall’art. 2697 cod. civ. . Sostiene, in sintesi, il C. che la Corte territoriale, nel ritenere che la facoltà di recesso fosse stata esercitata non arbitrariamente bensì in relazione alle esigenze di contenimento della spesa perseguite attraverso la riorganizzazione del polo cardiologico, avrebbe prestato acritica adesione alla tesi dell’appellante, errando nella valutazione del materiale probatorio acquisito. Richiama la motivazione della sentenza di primo grado per sostenere che, in realtà, il recesso aveva determinato gravi sofferenze di organico a scapito della efficienza del servizio e fa leva sulle deposizioni testimoniali e sulla documentazione prodotta a suo avviso idonee a dimostrare che nessuna riorganizzazione era stata attuata presso l’unità operativa di cardiochirurgia alla quale il C. era addetto. Ribadisce, infine, che la Azienda non aveva adottato, come sarebbe stato suo onere, criteri generali che tenessero conto delle peculiari competenze e delle specifiche professionalità dei dirigenti medici. 1.2 - La seconda censura denuncia violazione dell’art. 15, comma 1 nonies, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, come modificato dall’art. 22 della legge 4 novembre 2010 n. 183 falsa applicazione dell’art. 17, comma 35 novies della legge 3 agosto 2009 n. 109, che ha modificato l’art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 . Asserisce il ricorrente che la facoltà concessa ai dirigenti medici di differire il collocamento a riposo sino al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo , in quanto diritto potestativo perfetto, ove esercitata impedirebbe al datore di lavoro di recedere dal rapporto facendo leva sul raggiungimento della massima anzianità contributiva. Aggiunge che la modifica dell’art. 15 del d.lgs n. 502 del 1992 è successiva all’entrata in vigore dell’art. 72, come modificato dalla legge n. 109/2009, e che la norma speciale non può non essere prevalente rispetto a quella generale. 2.1 - Il ricorso incidentale condizionato denuncia, con la prima censura, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale era stata reiterata l’eccezione di decadenza dalla impugnazione del licenziamento, erroneamente respinta dal Tribunale. La Azienda Ospedaliera evidenzia che la Corte territoriale aveva dato atto, nello storico di lite, del motivo di impugnazione ma aveva poi accolto nel merito l’appello, senza affrontare la questione, logicamente preliminare, della tempestività della impugnazione stragiudiziale. 2.2 - Il secondo ed il terzo motivo, che la ricorrente incidentale formula per contrastare una eventuale pronuncia implicita di rigetto sulla fondatezza della eccezione, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 6 L. n. 604/1966, come modificato dall’art. 32, comma 1, della legge n. 183 del 2010. La Azienda Ospedaliera sostiene, in sintesi, di avere fornito la prova della ricezione, da parte del C. , della missiva di licenziamento in data 18 maggio 2011 e di avere egualmente dimostrato, attraverso la produzione documentale, che la lettera, con la quale il recesso era stato impugnato, recava il timbro di protocollo apposto il 18 luglio 2011, quando già era spirato il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 6 della legge n. 604/1966. Era, pertanto, onere del ricorrente dimostrare, a fronte della eccezione sollevata nella memoria ex art. 416 c.p.c., la tempestività della iniziativa stragiudiziale e, quindi, la data di spedizione della missiva. Erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che l’onere probatorio gravasse sul datore di lavoro. 3 - Ragioni di priorità logica impongono di esaminare innanzitutto il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente contesta in radice la possibilità per l’Azienda di avvalersi del recesso previsto dall’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dall’art. 17, comma 35 nonies della legge n. 102 del 2009, sul rilievo che per i dirigenti medici la normativa sarebbe stata derogata dalla modifica apportata all’art. 15 nonies del d.lgs n. 502 del 1992 dall’art. 22, comma 1, della legge 183/2010. Il motivo è infondato. La disposizione che il ricorrente invoca prevede che il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, è stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti . La norma, come reso evidente già dal titolo, fissa il limite insuperabile di permanenza in servizio del dirigente medico e non interferisce con la facoltà, concessa a tutte le pubbliche amministrazioni, di recedere dal rapporto con il personale che abbia raggiunto la massima anzianità contributiva di 40 anni di servizio e sia, quindi, in possesso dei requisiti per accedere alle prestazioni pensionistiche. Come osservato dalla Corte territoriale le due disposizioni non sono incompatibili fra loro, perché operano su piani distinti, essendo l’una destinata a fissare i limiti massimi della permanenza in servizio, l’altra a consentire il recesso anticipato, rispetto a detti limiti massimi, qualora sussistano le ulteriori condizioni delle quali si dirà in prosieguo. 4 - È, invece, fondato il primo motivo nella parte in cui assume l’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 17, comma 35, della legge n. 102 del 2009. La facoltà della Pubblica Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento della massima anzianità contributiva è stata prevista dall’art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, poi convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 112, che, nel testo originario prevedeva Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa n.d.r., a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello affari esteri , tenendo conto delle rispettive peculiarietà ordinamentali . L’art. 72, comma 11, veniva successivamente novellato dall’art. 6, comma 3, della legge 4 marzo 2009, n. 15, che ne modificava il testo, sostituendo il requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del compimento dell’anzianità massima di servizio di 40 anni . Entrambe le formulazioni della norma, succedutesi in breve arco temporale, si limitavano a richiedere il requisito, in un caso della massima anzianità contributiva, nell’altro della massima anzianità di servizio, senza imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale dell’Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto dell’obbligo motivazionale. La determinazione di specifiche modalità applicative era, infatti, espressamente prevista solo per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarietà dei rispettivi ordinamenti. Successivamente, l’art. 17, comma 35-novies, del d.l. 10 luglio 2009 n. 78 convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, applicabile alla fattispecie ratione temporis , sostituiva il comma 11 dell’art. 72. Si faceva riferimento anni 2009, 2010, 2011 al requisito della massima anzianità contributiva si confermava il preavviso si precisava la unilateralità del recesso collegandolo all’esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro si prevedeva l’applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale. L’adozione di specifici criteri e modalità applicative continuava ad essere prevista solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri. Il comma 35 decies stabiliva, inoltre, che Restano ferme tutte le cessazioni dal servizio per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a causa del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni, decise dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in applicazione dell’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della legge 4 marzo 2009, n. 15, nonché i preavvisi che le amministrazioni hanno disposto prima della medesima data in ragione del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni e le conseguenti cessazioni dal servizio che ne derivano . Le condizioni richieste per il recesso sono rimaste immutate anche nelle successive novelle, fino all’intervento dell’art. 1, comma 5, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede che Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale . La ricostruzione della disciplina va completata con il richiamo all’art. 16, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che, ha stabilito In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 11 dell’articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo . 3 - Le disposizioni sopra citate sono già state interpretate da questa Corte con la sentenza n. 21626 del 23.10.2015, che ha affermato il carattere innovativo e non interpretativo dell’art. 16 del d.l. n. 98/2011, e con la sentenza n. 11595 del 6 giugno 2016 con la quale, ribadito il principio, si è precisato che se è chiaro che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo sostitutivo dell’ulteriore motivazione è frutto di scelta innovativa come detto dalla citata pronunzia del 2015 , altrettanto chiaro e condiviso è che l’obbligo motivazionale solo de futuro sostituito dall’atto generale - sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui all’art. 72 comma 11 del d.l. del 2008 . A dette conclusioni la Corte è pervenuta dopo avere sottolineato la necessità di interpretare la normativa che qui viene in rilievo, non solo alla luce dei principi costituzionali consacrati nell’art. 97 Cost., ma anche e soprattutto della direttiva 2000/78 CE, perché il compimento della massima anzianità contributiva necessariamente si correla all’età del lavoratore, con la conseguenza di rendere applicabile la richiamata direttiva nella parte in cui prevede che disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscono discriminazione solo qualora siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari . È stato, quindi, affermato che La facoltà attribuita dall’art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alle Pubbliche amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nei caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell’Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L’esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poiché in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro. Tale motivazione, si aggiunge, si rende ancor più necessaria in mancanza di un atto generale di organizzazione perché costituisce il solo strumento di conoscenza e verifica delle ragioni organizzative che inducono l’Amministrazione ad adottare atti di risoluzione contrattuale. In mancanza, la risoluzione unilaterale dei rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa art. 5, comma 2, dlgs. n. 165 del 2001 , l’applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede artt. 1175 e 1375 cc , e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché l’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE. . 4 - La sentenza impugnata, nella parte in cui afferma la non necessità della motivazione e la non pertinenza del richiamo alla direttiva 2000/78/CE non è conforme a detti principi di diritto, ribaditi da Cass. 14.9.2016 n. 18099 e da Cass. 23.9.2016 n. 18723, ai quali il Collegio intende dare continuità, sicché si impone l’accoglimento in parte qua del ricorso. 5 - Parimenti fondato è il ricorso incidentale condizionato, perché la Corte territoriale, pur dando atto del motivo di appello proposto avverso il capo della sentenza che aveva respinto l’eccezione di tardività della impugnativa stragiudiziale, non ha pronunciato al riguardo. La fondatezza del primo motivo di gravame incidentale è assorbente, né può questa Corte evitare sul punto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, giacché la questione non è di mero diritto ma richiede ulteriori accertamenti di fatto, inerenti alla valutazione della prova documentale offerta dalle parti ed alla tempestività della produzione. 6 - In conclusione vanno accolti il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello indicata in dispositivo che, in considerazione del carattere preliminare della questione di decadenza, procederà innanzitutto all’esame del motivo di appello in relazione al quale la pronuncia è stata omessa e, in caso di mancato accoglimento della censura, ad una nuova valutazione della legittimità del recesso, da compiersi sulla base del principio di diritto enunciato al punto 3. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo motivo accoglie il primo motivo di ricorso incidentale e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione.