“Permessi 104”: il diritto a non essere trasferiti non è collegato alla gravità dell’handicap dell’assistito

Quando si può intimare il trasferimento ad un lavoratore? E come si rapporta il diritto a non essere trasferiti con le necessità di produzione aziendale e il grado di disabilità del familiare assistito?

A queste domande risponde la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25379/16 depositata il 12 dicembre. Il caso. Una lavoratrice era stata licenziata quando, essendole stato disposto il trasferimento, non vi aveva ottemperato, in maniera unilaterale e non comunicandolo né concordandolo col datore di lavoro, e aveva deciso di usufruire dei permessi straordinari non dovuti e di un periodo di ferie non concesso . La motivazione addotta dalla stessa era la necessità di assistere la madre, gravata da handicap, il quale, però, non era documentato né certificato, come richiede ex l. n. 104/1992. Chiedendo l’accertamento della illegittimità e/o inefficacia del licenziamento e del trasferimento, la domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado. La lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione. I permessi retribuiti. Un motivo di ricorso è basato sul fatto che il giudice aveva interpretato in maniera letterale l’art. 33, comma 5, della legge summenzionata, in tema di tutela del lavoratore e limiti al proprio trasferimento. La ricorrente lamentava che, pur se solo in pendenza di un provvedimento amministrativo volto al riconoscimento dei benefici di legge, erano anni che la madre godeva dei permessi rilasciati dall’INPS, sia pure di natura temporanea. Di tutto ciò, tra l’altro, il datore di lavoro era a conoscenza. Inoltre, motivo di doglianza era costituito dall’omesso esame della documentazione dedotta in giudizio a proposito dello stato di salute della madre e dall’assunto che lo stato di handicap dovesse necessariamente essere grave”. Il diritto a non essere trasferiti. La Suprema Corte riflette sulla questione di diritto sollevata con i due motivi di ricorso. La necessità di assistenza per i disabili comporta una serie di diritti nei confronti degli assistenti”, tra i quali i permessi pagati e la tutela contro i trasferimenti che li allontanerebbero troppo dal domicilio. Con sentenza n. 921/2010 la Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 33, comma 5 va interpretato in termini costituzionalmente orientati - in particolare con riferimento all’art. 3 Cost. e all’art. 26 della Carta di Nizza – in modo, cioè, finalizzato alla tutela della persona diversamente abile. Nonostante la legge parli di handicap grave”, quindi, il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave . Unica eccezione sarebbe la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte , la quale però deve essere provata dal datore di lavoro. La Corte territoriale si è soffermata sulla mancanza di documentazione proveniente dall’USL, mentre doveva valutare la serietà e rilevanza sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza dell’handicap da questa sofferta [] a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento . Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 ottobre – 12 dicembre 2016, n. 25379 Presidente Nobile – Relatore Bronzini Svolgimento del processo Con la sentenza n. 9777/2011 il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da L.S. diretta all’accertamento della illegittimità e/o inefficacia del licenziamento intimato dalla Capgemini Italia s.p.a. nonché dell’illegittimità e /o inefficacia del provvedimento di trasferimento del 10.12.2008 - reiterato il 22.5.2009 - con condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e con condanna al risarcimento del danno. La Corte di appello di Roma con sentenza del 19.2.2014 rigettava l’appello della L. . La Corte osservava che la lavoratrice aveva dedotto che il disposto trasferimento era illegittimo in quanto violava l’art. 33 comma quinto L. n. 104/1992 posto che la lavoratrice doveva assistere un familiare la madre con handicap grave, ma che sul punto non esisteva una valida documentazione perché la situazione di handicap grave non era stata accertata dalle USL attraverso le commissioni mediche previste dall’art. 4 L. n. 104/92 o da un medico specialista in servizio presso l’USL su tale necessaria documentazione appariva del tutto irrilevante quanto stabilito nelle circolari INPS . I provvedimenti dell’INPS avevano rilievo solo ai fini del godimento dei permessi ex art. 33 comma terzo L. n. 104/92 ma non potevano costituire l’accertamento delle condizioni di handicap grave della madre della L. . Le ragioni tecniche, organizzative produttive per il trasferimento non erano state contestate la figura di team leader richiesta nella sede del trasferimento si doveva intendere come richiesta di un lavoratore con una certa esperienza. Pertanto il trasferimento a monte appariva legittimo ed unilateralmente la lavoratrice non vi aveva ottemperato decidendo senza consenso della parte datoriale di usufruire di permessi ex L. n. 104/92 non dovuti e di un periodo di ferie che non era stato concesso effettivamente la società aveva manifestato la necessità che i dipendenti usufruissero di un periodo di ferie, ma occorreva un preventivo accordo con il datore di lavoro. Il vantato congedo straordinario ex art. 42 comma quinto D. Lgs. n. 151/201 non spettava in quanto previsto solo per i genitori di un soggetto con handicap in situazione di gravità e comunque non era mai stato concesso. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la L. con sei motivi resiste controparte con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo si allega l’omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, consistente nel non avere considerato illegittimo il trasferimento in pendenza di provvedimento amministrativo di riconoscimento dei benefici della legge n. 104/92 seppur temporaneo sin dal 2008 la madre della ricorrente godeva dei permessi rilasciati dall’INPS sia pure di natura temporanea in pendenza del procedimento di accertamento definitivo del diritto. Il datore di lavoro conosceva tale situazione e pertanto doveva astenersi dal provvedimento di trasferimento. Con il secondo motivo si allega l’omesso esame della documentazione sanitaria versata in atti. Insussistenza di un accertamento di handicap grave ai fini del riconoscimento della dovutezza dei benefici di cui alla legge n. 104/92 La Corte di Cassazione aveva affermato che non era necessario che l’handicap fosse grave erroneamente non si era attentamente esaminata la documentazione medica prodotta. I due motivi che vanno esaminati congiuntamente in quanto vertono su questioni analoghe appaiono fondati. In primo luogo va osservato che, nonostante i due motivi siano formulati come vizi di motivazione, in realtà pongono una chiara questione di diritto e cioè se il diritto a non essere trasferiti sussista ai sensi delle legge n. 104/92 solo in presenza di una necessità di assistenza a soggetti portatori di handicap grave così come accertato dagli organi riferiti in sentenza o se invece sussista anche quando la disabilità del familiare non sia così grave a meno che non vi siano esigenze aziendali effettive così urgenti da imporsi sulle contrapposte esigenti assistenziali. La giurisprudenza consolidata di questa Corte insegna che la formulazione dei motivi ai sensi delle diverse ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. non è cogente secondo un’impostazione meramente formalistica in quanto ciò che conta è che emerga con chiarezza nel motivo la doglianza avanzata che nel caso in esame investe la corretta interpretazione dell’art. 33 comma quinto della legge n. 104/1992 la cui lettura da parte della Corte territoriale, ci si lamenta, non ha tenuto conto dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità. In effetti questa Corte con la sentenza n. 9201/2012, che si condivide e cui si intende dare continuità, ha affermato il principio secondo cui la disposizione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati - alla luce dell’art. 3, secondo comma, Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009 - in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte Cass. n. 9201/2012 . Sul punto va rimarcato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del disabile del 13 dicembre 2006 è stata ratificata dall’Italia con 4. n. 18 del 2009 e dall’Unione Europea con decisione n. 2010/48/CE cfr. Cass. n. 2210/2016 . Pertanto la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documentazione proveniente dalle USL sull’invalidità grave della madre della ricorrente ma procedere ad una valutazione della serietà e rilevanza sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza dell’handicap da questa sofferta eventualmente sulla base della documentazione disponibile a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento, il che è stato omesso sulla base di una interpretazione letterale della norma in discussione oggi superata dalla giurisprudenza di legittimità. Si devono quindi accogliere i due motivi assorbiti il terzo avente ad oggetto il rilievo delle circolari INPS, il quarto con cui si contesta la sussistenza delle esigenze tecniche e produttive a monte del trasferimento, il quinto in ordine alla richiesta delle ferie e del congedo straordinario e l’ultimo sulla proporzionalità tra la condotta tenuta e la sanzione espulsiva irrogata si deve conseguentemente cassare la sentenza impugna con rinvio, anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. P.Q.M. La Corte. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma di diversa composizione anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.