Licenziamento minacciato dall’azienda: valide le dimissioni firmate dalla dipendente

Non si può parlare, secondo i giudici, di una forzatura. La donna, impiegata in una banca, ha consapevolmente firmato le proprie dimissioni, preferendole al licenziamento prospettato dall’azienda per la sua condotta sul lavoro.

Meglio le dimissioni che il licenziamento!”. Così la dipendente della banca, finita sotto accusa per aver chiuso un occhio sulle irregolarità commesse da un collega, accetta di firmare l’accordo con l’azienda per interrompere il rapporto senza conflitti. Quella scelta non può essere messa ora in discussione, neanche richiamando la perdita del posto di lavoro prospettata dai vertici dell’istituto di credito Cassazione, sentenza n. 24122, sezione lavoro, depositata il 28 novembre . Firma. Nessun appiglio per l’ annullamento chiesto dalla lavoratrice, dipendente di una banca. I giudici, prima in Tribunale e poi in appello, ritengono assolutamente valide le dimissioni da lei firmate. Respinta, invece, l’obiezione mossa dalla donna e centrata sul fatto che l’azienda aveva prospettato il suo licenziamento . Non si può parlare di minaccia o di violenza morale , poiché, evidenziano i giudici, la palese violazione , da parte della dipendente, delle norme che imponevano di segnalare gli ammanchi di cassa è punibile con la massima sanzione disciplinare . Scelta. Inutili si rivelano ora le ulteriori obiezioni mosse dal legale della donna. Obiettivo del ricorso in Cassazione era vedere rimessa in discussione l’efficacia delle dimissioni , ma anche per i magistrati del ‘Palazzaccio’ non vi sono elementi per ritenere che la lavoratrice abbia agito senza esser pienamente lucida. Innanzitutto, viene sottolineata la gravità della condotta tenuta dalla dipendente della banca ella , pur a fronte delle irregolarità contabili compiute da un collega , non ha provveduto a segnalare gli ammanchi di cassa . Di conseguenza, non si può considerare come una minaccia il licenziamento prospettato dall’azienda. E, allo stesso tempo, non si può pensare che le dimissioni firmate dalla donna siano state forzate, soprattutto tenendo presente che ella ha effettuato una scelta cosciente e frutto di una seria valutazione , preferendo la strada delle dimissioni e spiegando che con un licenziamento sarebbe stato più difficile trovare un nuovo lavoro .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 settembre – 28 novembre 2016, numero 24122 Presidente Bronzini – Relatore Lorito Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 5 novembre 2013, confermava la pronuncia resa dal tribunale della stessa sede con cui era stata respinta la domanda proposta da B.C. nei confronti della Banca di Imola s.p.a., volta a conseguire l'annullamento delle dimissioni rassegnate in data 11 gennaio 2006. La Corte distrettuale, a fondamento del decisum ed in estrema sintesi, rimarcava l'insussistenza dei presupposti di annullabilità dell'atto ex articolo 428 c.p.c., non essendo state allegate né dimostrate situazioni abnormi, tali da determinare un parziale annullamento della capacità di intendere e di volere della lavoratrice al momento della sottoscrizione dell'atto. Evidenziava, del pari, la carenza dei presupposti di annullabilità dell'atto per violenza morale. Osservava che nel caso in cui le dimissioni del lavoratore siano rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa - come prospettato nella fattispecie - l'invalidità delle stesse è subordinata all'accertamento dell'inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento. Nello specifico, il relativo onere probatorio non risultava assolto dalla ricorrente, essendo emerso dal quadro istruttorio delineato, anche alla stregua di dichiarazioni scritte rese dalla lavoratrice, la palese violazione da parte della stessa, delle norme operative che imponevano di segnalare gli ammanchi di cassa, circostanza questa che ben avrebbe potuto legittimare l'irrogazione della massima sanzione disciplinare. La cassazione di tale decisione è domandata dalla B. sulla base di quattro motivi. Resiste la società intimata con controricorso successivamente illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli articolo 1362-1324 c.c., 115-116 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio ex articolo 360 comma primo numero 5 c.p.c Si lamenta che i giudici del gravame non abbiano adeguatamente verificato l'effettiva volontà della lavoratrice di dimettersi, dato del tutto incompatibile con le pregresse dichiarazioni rese per iscritto in data 4/1/06 e ribadite in data 1/2/06, con le quali si era manifestata grande passione per il proprio lavoro e disponibilità a continuarlo, anche dopo le forzate dimissioni. 2. Con il secondo mezzo di impugnazione, la ricorrente deduce violazione degli articolo 428, 2727 e 2729 c.c., 115-116 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio ex articolo 360 comma primo numero 5 c.p.c Si duole che la Corte distrettuale non abbia disposto una adeguata, complessiva valutazione di tutte le circostanze che avevano preceduto ed accompagnato la fase delle dimissioni anomale contestazioni disciplinari, colloquio immediato con i superiori senza alcuna assistenza e definivano un contesto di chiara ostilità tale da impedire alla lavoratrice di cogliere pienamente il significato e le conseguenze delle proprie azioni, limitando la libertà del consenso nella formazione dell'atto di dimissioni. 3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell'articolo 2119 c.c., 115-116 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio ex articolo 360 comma primo numero 5 c.p.c Si critica la sentenza impugnata per aver denegato la ricorrenza dei presupposti per l'annullamento delle dimissioni per violenza morale. Si osserva che nessun omissis . 8. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un'inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un'interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità. Lungi dal denunciare una totale obliterazione dì fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione della controversia ovvero una manifesta illogicità nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, la ricorrente si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi del novellato articolo 360, co. 1, numero 5, c.p.c 9. Va al riguardo rimarcato che lo specifico iter motivazionale seguito dai giudici dell'impugnazione non risponde ai requisiti dell'assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l'esercizio del sindacato di legittimità. La fattispecie concreta è stata, infatti, oggetto di approfondita disamina da parte della Corte territoriale che - come riferito nello storico di lite - facendo leva sui dati istruttori acquisiti in atti, nel cui contesto spiccavano le dichiarazioni rese dalla B. in sede di libero interrogatorio, ha indagato la effettiva ricorrenza di una volontà di quest'ultima, di rassegnare le proprie dimissioni. La Corte è pervenuta a conclusione positiva al riguardo, sul rilievo, del tutto congruo sotto il profilo logico, e coerente con le affermazioni rese dalla stessa lavoratrice in sede di procedimento ex articolo 700 c.p.c., che la stessa aveva preferito dimettersi perché . con un licenziamento sarebbe stato più difficile cercare un nuovo lavoro . Ha escluso, quindi, la ricorrenza di uno stato di incapacità naturale della dipendente, nonostante pochi giorni prima, in risposta alla richiesta di chiarimenti del 4/1/2006, avesse dichiarato di amare il proprio lavoro e di svolgerlo con passione, e nonostante le modalità di convocazione d'urgenza presso l'ufficio dei superiori e la mancanza di alcuna assistenza, ritenendo che siffatti elementi non fossero idonei a diminuire le facoltà intellettive e volitive del soggetto, rimaste integre, per quanto in precedenza riferito, circa l'esercizio di un'opzione cosciente e frutto di una seria valutazione, fra le dimissioni ed il prospettato licenziamento. Per la realizzazione di un parziale annullamento delle facoltà mentali, nell'opinione della Corte di merito, era infatti necessario il riscontro di qualche elemento ulteriore, qualche indizio specifico, legato a reazioni abnormi e realmente inspiegabili, nel caso di specie non allegate né dimostrate . 10. Tale accertamento di merito risulta conforme al principio più volte affermato da questa Corte, che va qui nuovamente enunciato, secondo cui perché l'incapacità naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non è necessario che si abbia la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere la valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata v. Cass. 1/9/2011 numero 17977, Cass. 12/3/2004 numero 5159, Cass. 15/1/2004 numero 515 . 11. Sotto altro versante, i giudici dell'impugnazione hanno negato la sussistenza dei presupposti per l'annullamento delle dimissioni per violenza morale, valutando la gravità del comportamento assunto dalla ricorrente, come delineato alla luce del compendio istruttorio acquisito, e ritenendolo idoneo a giustificare l'applicazione della massima sanzione disciplinare. Era emerso, ex actis, dalle dichiarazioni rese dalla B. nella lettera del 4/1/2006, che essa non aveva rispettato, di fronte alle irregolarità contabili commesse dal collega C., le norme operative che le imponevano di segnalare gli ammanchi di cassa, e di aver pertanto, violato i propri doveri di ufficio dimostrando di non possedere la necessaria professionalità per svolgere l'incarico affidatole. I giudici della impugnazione hanno quindi proceduto ad uno scrutinio circa l'idoneità delle mancanze ascritte alla lavoratrice, a scuotere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, particolarmente stringente nel settore bancario, pervenendo a conclusione positiva al riguardo, stante la gravità della condotta posta in essere dalla ricorrente. Si tratta di conclusioni coerenti con i dicta giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione del contratto, ai sensi dell'articolo 1438 c.c., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall'oggetto di quest'ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall'ordinamento cfr. Cass. 9/10/2015 numero 20305, Cass. 23/8/2011 numero 17523 . 12. In definitiva, gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame, conformi ai principi sopra richiamati e sorretti da congrua motivazione, resistono alle censure della ricorrente e non sono suscettibili di riesame in questa sede. Il ricorso va pertanto respinto e la B., in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità, nella misura in dispositivo liquidata. Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'articolo 13 comma 1 quater d.p.r. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater d.p.r. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.