La stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato nella PA: deroghe al principio comunitario della non discriminazione

La stabilizzazione prevista dall’art. 1, comma 558, Legge n. 296/2006 costituisce una misura di favore prevista dal Legislatore per coloro che abbiano già prestato servizio alle dipendenze dell’ente locale, il quale può procedervi solo nel rispetto delle regole del patto di stabilità interno e nei limiti dei posti disponibili in organico.

Essa consente a tale personale, in deroga alla regola generale dell’accesso mediante concorso pubblico, di essere assunto a tempo indeterminato nella qualifica da ultimo rivestita alle dipendenze dell’ente locale. La pretesa ad un inquadramento diverso da quello adottato dall’Ente per le proprie dichiarate esigenze di stabilizzazione può correlarsi alla violazione del principio di non discriminazione di cui alla direttiva 1999/70/CE soltanto nell’ipotesi che la qualifica di inquadramento in sede di stabilizzazione sia inferiore a quella che sarebbe spettata al lavoratore se l’Ente locale non avesse fraudolentemente operato il frazionamento in più segmenti di un rapporto di lavoro connotato da un’intrinseca unitarietà l’onere di allegazione e di prova di tale preordinazione in frode grava sul lavoratore che ne assume l’esistenza. E' quanto stabilto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24025/16, depositata il 24 novembre. Il caso. Il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso con il quale alcuni lavoratori assunti dal Comune di Roma con contratti a tempo determinato di alta specializzazione con inquadramento nella categoria D, posizione economica D3, avevano lamentato il mancato riconoscimento del livello D1, attribuitogli in sede di rinnovo dei contratti, all’esito della stabilizzazione ex lege n. 296/2006. La Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo non ravvisabile alcuna discriminazione da parte dell’ente in violazione del principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori assunti in via definitiva dettato dalla direttiva 1999/70/CE. La stabilizzazione non ha carattere sanzionatorio. Nell’analizzare la disciplina in tema di stabilizzazione di cui all’art. 1, comma 558, Legge n. 296/2006 la Corte di Cassazione ha osservato che tale previsione consente agli enti locali, nei limiti dei posti disponibili in organico e nel rispetto delle regole del patto di stabilità interno, di procedere all’assunzione di personale non dirigenziale che versi in una delle seguenti condizioni i sia in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, ii abbia prestato servizio a tempo determinato per almeno tre anni in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006, iii sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge. Tale stabilizzazione non integra dunque un’ipotesi di conversione quale effetto sanzionatorio di una reiterazione abusiva del contratto a temo determinato, ma costituisce una misura di favore prevista dal Legislatore per coloro che abbiano già prestato servizio alle dipendenze dell’ente locale per un determinato periodo di tempo e che consente a tale personale, in ragione di tale solo requisito fattuale, di accedere ai ruoli della pubblica amministrazione, in deroga alla regola generale, altrimenti applicabile, dell’accesso mediante concorso pubblico. Limite al principio comunitario di non discriminazione. Per tale motivo, prosegue la Suprema Corte, diventa irrilevante la circostanza che in una fase pregressa il lavoratore abbia rivestito una qualifica superiore, non essendovi i presupposti per ritenere l’unicità di tutti i rapporti intercorsi tra le parti in assenza di una situazione di conversione per ricorso abusivo alla contrattazione a termine. Dunque, in tale contesto, la violazione del principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, di cui alla direttiva comunitaria 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, potrebbe configurarsi solo nell’ipotesi in cui venisse prospettata in giudizio e dimostrata da chi allega l’esistenza di un’operazione di preordinato fraudolento frazionamento in più segmenti di un rapporto di lavoro in realtà connotato da un’intrinseca unitarietà, con l’intento dell’Ente locale di pervenire alla stabilizzazione di un lavoratore in una qualifica inferiore a quella che altrimenti sarebbe spettata in virtù dell’unico rapporto illecitamente frazionato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 settembre – 24 novembre 2016, numero 24025 Presidente Macioce – Relatore Blasutto Svolgimento del processo 1. Gli attuali ricorrenti, premesso di essere stati assunti da Roma Capitale, già Comune di Roma, con contratti a tempo determinato di alta specializzazione con inquadramento nella categoria D, posizione economica D3, e di essere stati inquadrati, in sede di rinnovo dei contratti a tempo determinato nella posizione economica D1, ferma restando la precedente retribuzione per effetto della conservazione ad personam del differenziale economico, deducevano che erano stati stabilizzati ex lege numero 296/2006 ed assunti a tempo indeterminato con inquadramento nella posizione D1, da ultimo rivestita. Tanto premesso, deducevano di avere diritto all’inquadramento, a seguito di stabilizzazione, in categoria D3 anziché in D1, essendo illegittima la retrocessione al livello D1 e rivendicavano altresì i danni che l’attribuzione della qualifica e del trattamento economico deteriore aveva loro provocato. 2. Il Tribunale adito respingeva ogni domanda. La sentenza veniva confermata dalla Corte di appello di Roma sulla base dei seguenti argomenti - la stabilizzazione era avvenuta in conformità alla previsione di cui all’art. 1, comma 558, della legge numero 296/2006, secondo cui questa deve avvenire nell’ultimo profilo professionale ricoperto e nei limiti delle disponibilità di organico e la cui ratio è da ravvisare nell’assicurare un lavoro stabile a coloro che avessero già prestato attività con contratto a termine, ma non anche quella di riconoscere l’unificazione con tutti i precedenti rapporti a tempo determinato in precedenza intercorsi tra le parti - l’assegno ad personam era giustificabile nel passaggio tra il primo e il secondo rapporto a tempo determinato, ma non lo era più in sede di stabilizzazione ed applicazione di una nuova disciplina regolamentare - inconferenti erano i richiami alla normativa comunitaria, il cui scopo è quello di evitare l’abuso nella reiterazione dei contratti a termine e non quello di equiparare in modo assoluto i diversi periodi di lavoro in particolare la stabilizzazione non era la conseguenza sanzionatoria dei precedenti rapporti a termine, ma un trattamento più favorevole apprestato dal Legislatore - inoltre, l’inquadramento in D1, oltre a corrispondere a quello dell’ultimo contratto a termine, era obbligatorio alla luce della nuova classificazione del personale non dirigente, che prevede l’accesso alla categoria D unicamente attraverso la posizione economica D1 - nessuna discriminazione era pertanto ravvisabile nella condotta dell’Amministrazione appellata. 3. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i lavoratori con tre motivi. Resiste il Comune di Roma con controricorso. I ricorrenti hanno altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione della direttiva 1999/70/Ce e si richiama, a tal fine, la sentenza emessa dalla stessa Corte di appello di Roma in diversa composizione, nella quale si era affermato che non è legittimo, alla stregua della diritto dell’Unione, escludere i lavoratori a termine dal trattamento economico di anzianità quando lo stesso è attribuito ad un lavoratore comparabile a tempo indeterminato, per cui la circostanza che i lavoratori a termine avessero prestato in favore dello stesso ente attività lavorativa prima di essere assunti in via definitiva non può rimanere priva di effetti se non incorrendo nella violazione del divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato. 2. Con il secondo motivo ci si duole di omessa considerazione di un fatto decisivo per il giudizio con la diminuzione del livello di inquadramento non erano diminuite le mansioni e le alte specializzazioni dei ricorrenti pertanto, l’assegno ad personam riconosciuto nel passaggio dal primo al secondo contratto a tempo determinato, non poteva non essere stato riconosciuto in virtù degli alti valori professionali che quei lavoratori esprimevano anche all’atto della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato. 3. Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 numero 4 c.p.c. . La sentenza aveva omesso di esaminare le altre domande formulate dai lavoratori, concernenti a i danni da incidenza della ricostruzione della carriera a fini pensionistici b i giorni di ferie di spettanza dei ricorrenti c la rideterminazione dell’indennità di fine rapporto d il risarcimento dei danni da perdita di chance per mancato conseguimento di vantaggi di carriera. 4. Il primo motivo del ricorso è inammissibile ex art. 366 numero 4 c.p.c. Esso si risolve nella trascrizione di altra sentenza della Corte di appello di Roma, in diversa composizione collegiale, che aveva adottato una diversa soluzione interpretativa, ritenuta preferibile, decidendo in controversia analoga. Il motivo di ricorso non si confronta in alcun modo con le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, i cui argomenti - come sopra sintetizzati - sono stati completamente ignorati. Viene menzionata la direttiva numero 1999/70/CE ma non viene in alcun modo esaminata la disciplina legislativa della quale il Comune di Roma ha fatto applicazione nella fattispecie, rispetto alla quale non viene indicata quale sarebbe la violazione di legge insita nella lettura fattane dalla Corte di appello. 5. Il secondo motivo allude allo svolgimento delle medesime mansioni di alto valore professionale che si assume essere stato mantenuto nel passaggio dal primo al secondo contratto a termine da D3 a D1 e poi in sede di stabilizzazione ex I. numero 296/2006, da cui sarebbe derivata la necessità di conservazione dell’assegno ad personam anche nella seconda fase della vicenda lavorativa. 5.1. Anche tale motivo è inammissibile. Non risulta dalla sentenza impugnata che avesse formato oggetto di giudizio la doglianza sulla non conformità delle mansioni attribuite in sede di assunzione ex L. numero 296/2006 a quelle proprie dell’inquadramento in posizione economica D1 attribuita in tale sede. Del pari assume carattere di novità nel giudizio di cassazione l’assunto per cui la conservazione dell’assegno ad personam costituirebbe effetto necessitato della continuità del rapporto a tempo indeterminato sul presupposto dello svolgimento di mansioni proprie del livello D3 in ogni fase del rapporto. Il presupposto da cui muove l’assunto non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata, la quale, nell’affermare che il riconoscimento dell’assegno ad personam era giustificabile nel passaggio dal primo al secondo contratto a tempo determinato, ma non lo era in sede di stipulazione di un rapporto di lavoro radicalmente nuovo, muove appunto dal presupposto implicito dell’attribuzione, in sede di assunzione definitiva, di mansioni conformi alla posizione di assunzione, appunto D1 Non vi sono censure relative ad omesso esame di motivi di appello art. 360 numero 4 c.p.c. atti a contrastare tale implicito accertamento. 6. Il terzo motivo resta assorbito, poiché la Corte di appello non era tenuta ad esaminare questioni che postulano l’esistenza di violazioni di legge commesse dal Comune di Roma all’atto dell’assunzione degli odierni ricorrenti e che, dunque, presuppongono l’accoglimento della domanda principale secondo il tenore dello stesso ricorso, tali domande erano .strettamente dipendenti dall’accoglimento delle domande principali . 7. Dichiarata l’inammissibilità del ricorso ritiene peraltro il Collegio di dovere fare applicazione del disposto di cui all’art. 363, terzo comma, c.p.c. per cui il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa sia di particolare importanza, e se, come nella specie, le proposte censure pur inammissibili ineriscano nondimeno alla questione stessa S.U. 17443 del 2014 . 8. La Legge numero 296 del 2006 legge finanziaria per l’anno 2007 , all’art. 1, comma 558, prevede che A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557 fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché del personale di cui al comma 1156, lettera f , purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive . 9. Tale speciale previsione consente agli enti locali, nei limiti dei posti disponibili in organico e nel rispetto delle regole del patto di stabilità interno, di procedere all’assunzione di personale non dirigenziale che versi in una delle seguenti condizioni a sia in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi b abbia prestato servizio a tempo determinato per almeno tre anni in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 c sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge. 10. La stabilizzazione prevista da tale norma non integra un’ipotesi di conversione quale effetto sanzionatorio di una reiterazione abusiva del contratto a tempo determinato, ma costituisce una misura di favore prevista dal legislatore per coloro che abbiano già prestato servizio alle dipendenze dell’ente locale per un determinato periodo di tempo e che consente a tale personale, in ragione di tale solo requisito fattuale, di accedere ai ruoli della P.A., in deroga alla regola generale, altrimenti applicabile, dell’accesso mediante concorso pubblico. Peraltro, la stabilizzazione non costituisce un diritto incondizionato, dipendendo dalla determinazione del Comunque di procedervi, scelta a sua volta condizionata dalla necessità di rispettare i limiti finanziari il rispetto delle regole del patto di stabilità interno e dall’esistenza di posti vacanti in organico da ricoprire. 11. Come è evidente dal tenore letterale e dalla ratio della previsione, la stabilizzazione, appunto perché non costituisce l’effetto sanzionatorio di una reiterazione abusiva, rende irrilevante la circostanza che in una fase pregressa il lavoratore abbia rivestito una qualifica superiore. Non vi sono, infatti, i presupposti per ritenere l’unicità di tutti i rapporti intercorsi tra le parti - quelli a tempo determinato in continuità con quello a tempo indeterminato - in assenza di una situazione di conversione per ricorso abusivo alla contrattazione a termine. 11.1. La legge consente agli Enti locali, che ritengano di dovere coprire alcuni posti vacanti in organico e possano esercitare tale facoltà compatibilmente con i vincoli finanziari cui sono sottoposti, di potere avvalersi della particolare previsione di cui all’art. 1, comma 558, L. finanziaria per l’anno 2007, e così assumere nei propri ruoli il personale che aveva già prestato servizio in suo favore, anziché attivare una procedura di selezione pubblica. Non essendovi alcun diritto incondizionato alla stabilizzazione, non sussiste neppure il diritto dei lavoratori ad essere assunti in una posizione professionale superiore a quella dell’ultimo contratto, rispetto alla quale il Comune ha esercitato la sua facoltà di procedere alla copertura a fronte di una rilevata carenza di organico. 12. In tale contesto, la violazione del principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, di cui alla direttiva comunitaria 70/1999 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES - potrebbe configurarsi solo nell’ipotesi che venisse prospettata in giudizio e dimostrata da chi la allega l’esistenza di un’operazione di preordinato fraudolento frazionamento in più segmenti di un rapporto di lavoro in realtà connotato da un’intrinseca unitarietà, con l’intento dell’Ente locale di pervenire alla stabilizzazione di un lavoratore in una qualifica inferiore a quella che altrimenti sarebbe spettata in virtù dell’unico rapporto illecitamente frazionato. Al di fuori di tale ipotesi, la fattispecie è conforme al diritto dell’Unione. 13. Va dunque formulato il seguente principio di diritto La stabilizzazione prevista dalla legge numero 269/2006, art. 1, comma 558, costituisce una misura di favore prevista dal legislatore per coloro che abbiano già prestato servizio alle dipendenze dell’ente locale, il quale può procedervi solo nel rispetto delle regole del patto di stabilità interno e nei limiti dei posti disponibili in organico. Essa consente a tale personale, in deroga alla regola generale dell’accesso mediante concorso pubblico, di essere assunto a tempo indeterminato nella qualifica da ultimo rivestita alle dipendenze dell’ente locale. La pretesa ad un inquadramento diverso da quello adottato dall’Ente per le proprie dichiarate esigenze di stabilizzazione può correlarsi alla violazione del principio di non discriminazione di cui alla direttiva 1999/70/CE soltanto nell’ipotesi che la qualifica di inquadramento in sede di stabilizzazione sia inferiore a quella che sarebbe spettata al lavoratore se l’Ente locale non avesse fraudolentemente operato il frazionamento in più segmenti di un rapporto di lavoro connotato da un’intrinseca unitarietà l’onere di allegazione e di prova di tale preordinazione in frode grava sul lavoratore che ne assume l’esistenza . 14. Stante la officiosità della risoluzione della questione di diritto, le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti. 15. Sussistono i presupposti processuali nella specie, l’inammissibilità del ricorso per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio dell’importo dovuto a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso ed enuncia il principio di diritto come in motivazione. Compensa le spese del giudizio. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.