Versamenti ai fondi di previdenza complementare: hanno natura previdenziale

Con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l’inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Così si è espressa la sez. Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza del 2 novembre, n. 22128/16. Il caso. I lavoratori della Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a. chiedevano, e si vedevano accolta, la condanna della Cassa suddetta al pagamento di somme pretese a titolo di differenze sulle spettanze di fine rapporto. A sostegno della domanda deducevano he l’istituto di credito, nella quantificazione dell’indennità di anzianità e del TFR loro dovuti, non aveva incluso, nella base di calcolo, le somme versate dal datore di lavoro fino al 28 aprile 1993 al Fondo di integrazione delle pensioni INPS FIP istituito dalla stessa banca, alle quali doveva essere riconosciuta natura retributiva fino alla data suddetta, coincidente con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 124/93. Avverso tale decisione muove ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a La natura dei versamenti ai fondi di previdenza complementare. Il ricorso è fondato in relazione al principio di diritto stabilito da Cass. SSUU. n. 4684/15 , secondo cui con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno – a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia una personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell’ambito dello stesso soggetto datore di lavoro – natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l’inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro . Il Fondo di integrazione delle pensioni INPS. È palese nel caso di specie che i ricorrenti in primo grado avevano aderito al FIP per i dipendenti della Cassa di Risparmio di Rieti istituito e regolato da accordi sindacali. Si trattava di un Fondo chiuso”, ossia riservato ai soli dipendenti, a prestazione definita”, cioè tale da assicurare ai beneficiari una prestazione prestabilita, indipendentemente dai risultati della gestione finanziaria dello stesso e a capitalizzazione collettiva”, per cui non poteva ravvisarsi alcun collegamento diretto fra i contributi versati – nell’interesse collettivo e mutualistico di tutti i dipendenti iscritti – e il singolo lavoratore. Nel caso di risoluzione di rapporto senza raggiungimento delle condizioni previste per la maturazione del diritto alla pensione integrativa, il Fondo prevedeva poi che al lavoratore venisse restituito l’ammontare dei contributi versati, ma non quello concernenti i contributi a carico del datore di lavoro. Il ricorso viene accolto e la sentenza cassata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 settembre – 2 novembre 2016, n. 22128 Presidente Nobile – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al Tribunale di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, i lavoratori indicati in epigrafe, tutti ex dipendenti della Cassa di Risparmio di Rieti, hanno chiesto la condanna di quest’ultima al pagamento di somme pretese a titolo di differenze sulle spettanze di fine rapporto. A sostegno della domanda hanno dedotto che l’istituto di credito, nel procedere alla quantificazione dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto di seguito TFR loro dovuti, non aveva incluso, nella relativa base di calcolo, le somme versate fino al 28 aprile 1993 dal datore di lavoro al Fondo di integrazione delle pensioni INPS istituito dalla stessa banca Fondo FIP , alle quali doveva essere riconosciuta natura retributiva fino alla data sopra indicata, coincidente con l’entrata entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993. Il Tribunale ha accolto la domanda, sulla scorta dell’affermata natura retributiva dei versamenti datoriali. La pronuncia è stata confermata in grado di appello con sentenza del 13 maggio 2011. 2.- Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Cassa di Risparmio di Rieti Spa con due motivi, illustrati da memoria. Non hanno svolto attività difensiva gli intimati. Motivi della decisione 3.- Con il primo motivo la ricorrente Cassa di Risparmio denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2120 nuovo e vecchio testo , 2121 vecchio testo e 2123 c.c., della L. n. 297 del 1982, art. 4, comma 5, della L. n. 153 del 1969, art. 12, della L. n. 166 del 1991, art. 9 bis, comma 1, della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 194, e del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 8, art. 360 c.p.c., n. 3 , nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa alcuni punti decisivi della controversia art. 360 c.p.c., n. 5 . Con tale motivo la società ricorrente sostiene con articolate argomentazioni la tesi secondo cui le somme dalla stessa accantonate per la previdenza complementare fino al 28 aprile 1993 hanno natura e funzione previdenziale con conseguente esclusione delle stesse dal computo dell’indennità di anzianità maturata fino al 31 maggio 1982 e del trattamento di fine rapporto maturato successivamente . Con il secondo motivo la Cassa ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 74 c.c.n.l. 11 luglio 2009 e al verbale di accordo 12 febbraio 2005 nonché vizio di motivazione, contesta l’affermazione della Corte territoriale circa l’irrilevanza - a fini interpretativi dell’originaria intenzione delle parti - della successiva contrattazione collettiva, con la quale le parti sociali avevano espressamente escluso la computabilità dei contributi datoriali alla previdenza integrativa ai fini del calcolo delle somme ex art. 2120 c.c 4.- Il ricorso è fondato in relazione al principio di diritto stabilito dalle Sezioni unite di questa Corte, peraltro su analogo ricorso, con sentenza n. 4684 del 2015, secondo cui con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno - a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia una personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell’ambito dello stesso soggetto datore di lavoro - natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l’inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro . Con riferimento al caso di specie è pacifico che i ricorrenti in primo grado avevano aderito al Fondo Previdenza Integrativo FIP per i dipendenti della Cassa di Risparmio di Rieti istituito e regolato da accordi sindacali. All’alimentazione di tale Fondo provvedevano, mediante il versamento periodico di contributi, sia i singoli lavoratori sia la Banca, ciascuno nella misura stabilita dal regolamento del Fondo. Si trattava di un Fondo chiuso , riservato cioè ai soli dipendenti, a prestazione definita , tale cioè da assicurare ai beneficiari una prestazione prestabilita, indipendentemente dai risultati della gestione finanziaria dello stesso e a capitalizzazione collettiva , per cui non poteva ravvisarsi alcun collegamento diretto fra i contributi versati - nell’interesse collettivo e mutualistico di tutti i dipendenti iscritti - ed il singolo lavoratore. La disciplina del Fondo prevedeva altresì che, nel caso di risoluzione del rapporto senza il raggiungimento delle condizioni previste per la maturazione del diritto alla pensione integrativa, al lavoratore veniva restituito l’ammontare dei contributi dallo stesso versati, e quindi a suo carico, ma non quello concernente i contributi a carico del datore di lavoro. 5.- Conclusivamente dall’applicazione al caso di specie del principio di diritto sopra enunciato, cui il Collegio intende uniformarsi, deriva che il ricorso deve essere accolto e che, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto ricorrono i presupposti per decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e rigettare quindi la domanda dei ricorrenti in primo grado. Considerato il contrasto di giurisprudenza verificatosi sulla materia del contendere su cui sono dovute intervenire le Sezioni unite di questa Corte, si reputa che sussistano le condizioni per compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.