La regola della quota di riserva opera per il licenziamento per superamento del periodo di comporto?

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e quello per superamento del periodo di comporto, pur avendo in comune il fatto di prescindere da una condotta addebitabile al lavoratore, nonché oggi dal fatto di essere accomunate ai fini sanzionatori dal settimo comma dell’art. 18 S.L., come modificato dalla legge n. 92/2012, sono del resto fattispecie che mantengono significative differenze ontologiche.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e quello per superamento del periodo di comporto, pur avendo in comune il fatto di prescindere da una condotta addebitabile al lavoratore, nonché oggi dal fatto di essere accomunate ai fini sanzionatori dal settimo comma dell’art. 18 S.L., come modificato dalla Legge n. 92/2012, sono del resto fattispecie che mantengono significative differenze ontologiche, considerato che in virtù della previsione dell’art. 2120 c.c. il superamento del limite previsto di tollerabilità delle assenze è condizione sufficiente di legittimità del recesso, a prescindere dall’esistenza di un giustificato motivo oggettivo, ne è richiesta la correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. Dunque, non opera per il licenziamento per superamento del periodo di comporto l’obbligo di conservare la quota di riserva dei lavoratori obbligatoriamente occupati di cui all’art. 10 Legge n. 68/1999. È quanto emerge dalla sentenza n. 21377/16 della Corte di Cassazione, depositata il 24 ottobre. Il caso. Con ricorso per cassazione una lavoratrice, avviata quale disabile ai sensi della Legge n. 68/1999 e licenziata per superamento del periodo di comporto, ha impugnato la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento dalla stessa presentato. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che il prolungamento del comporto previsto dalla disposizione contrattuale per i casi di ricovero ospedaliero o di day hospital , della durata massima di 120 giorni, doveva essere riconosciuto solo in funzione dell’effettiva durata del ricovero e non inteso come aumento fisso. Inoltre, la Corte d’Appello riteneva infondata la censura circa l’applicabilità dell’art. 10 Legge n. 68/1999 al licenziamento per superamento del periodo di comporto e, parimenti, quella relativa alla carenza di motivazioni della lettera di licenziamento. L’estensione del periodo di comporto. La Corte ha osservato che l’interpretazione data dalla Corte Territoriale all’ultimo inciso dell’art. 42, let B, comma 3 del CCNL Servizi Ambientali, secondo la quale ai fini di aumentare il periodo di comporto previsto dai due precedenti commi deve computarsi soltanto l’effettiva durata dell’assenza per ricovero ospedaliero e/o day hospital sino a un massimo di 120 giorni sia corretta. In tal senso, milita l’inequivoco tenore letterale della disposizione, che prevede una durata massima dell’assenza pari a 120 giorni, sicché è ragionevole ritenere che il prolungamento del periodo di comporto dipenda dalla durata effettiva del ricovero, in ogni caso nel limite previsto. La violazione della quota di riserva nel licenziamento per superamento del periodo di comporto. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è applicabile al licenziamento per superamento del periodo di comporto il limite di cui all’art. 10 della Legge n. 68/1999, secondo il quale, il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, è annullabile qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva previsto dall’art. 3 della legge medesima. Nell’interpretare tale disposizione la Suprema Corte ha affermato che la previsione riguarda solo il recesso di cui all’art. 4 Legge n. 223/1991 e non anche altri tipi di recesso datoriale, seppure caratterizzati da analogie con il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quali l’assenza di una condotta addebitabile al lavoratore o il regime sanzionatorio applicabile. Infatti, la previsione normativa impedisce al datore di lavoro di effettuare, in spregio alla quota di riserva, quelle riduzioni di personale che traggono origine da scelte attinenti all’organizzazione aziendale, non di adottare provvedimenti che trovano giustificazione nella prestazione del singolo lavoratore, siano o meno addebitabili allo stesso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 luglio – 24 ottobre 2016, n. 21377 Presidente Nobile – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo Con la sentenza n. 1414 del 2013, la Corte d’appello di Torino rigettava il reclamo proposto ex art. 1 comma 58 della L. n. 92 del 2012 da V.E. avverso la sentenza della Tribunale della stessa sede che, confermando l’ordinanza del giudice della fase a cognizione sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento intimatole con lettera del 23/10/2012, da Amiat azienda multiservizi igiene ambientale Torino s.p.a., presso la quale era stata avviata quale disabile ai sensi della L. n. 68/99, a motivo del superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro ai sensi dell’articolo 42 lettera B punti uno e tre del C.C.N.L. in vigore. La Corte argomentava, condividendo le valutazioni del primo giudice che il prolungamento del comporto previsto dalla disposizione contrattuale per i casi di ricovero ospedaliero e o di day hospital, della durata massima di 120 giorni, doveva essere riconosciuto in funzione dell’effettiva durata del ricovero, e non inteso come aumento fisso che la tesi della V. , secondo la quale i periodi di malattia erano riconducibili alla responsabilità del datore di lavoro, era infondata, in quanto Amiat aveva adempiuto agli obblighi di sorveglianza sanitaria previsti dagli articoli 18 e 41 del d.lgs. n. 81 del 2008, sottoponendo la lavoratrice alle visite periodiche in ragione delle mansioni comportanti l’utilizzo dei videoterminali, per le quali era risultata idonea con prescrizione di utilizzo di lenti correttive. Né la V. aveva mai lamentato l’incompatibilità delle mansioni assegnate con il suo stato di salute o aveva richiesto di essere sottoposta a visita di idoneità, mentre erano state assecondate due sue precedenti richieste di mutamento di mansioni che parimenti infondata risultava la prospettazione della reclamante in relazione all’asserita natura discriminatoria del licenziamento, non essendovi elementi che inducessero a ritenere che ella fosse stata penalizzata a causa delle sue condizioni di disabilità, ed anzi il fatto che la società avesse dato seguito alle richieste di mutamento di mansioni del 2006 e del 2008 dimostrava il contrario che risultava assolto l’onere di forma imposto dall’art. 2 della L.n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 1 comma 37 della legge 92 del 2012, considerato che la lettera di licenziamento indicava esplicitamente che il provvedimento era determinato dal superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro di cui all’articolo 42 lettera B dell’C.C.N.L. e richiamava la precedente lettera del 25 gennaio 2012, in cui l’azienda aveva informato la lavoratrice del numero dei giorni di assenza per malattia accumulati a quella data che al licenziamento per superamento del periodo di comporto non può applicarsi il IV comma dell’art. 10 della L.n. 68 del 1999, previsto per il caso di superamento della quota di riserva dei lavoratori invalidi assunti con avviamento obbligatorio. Per la cassazione della sentenza, V.E. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso Amiat-azienda multiservizi igiene ambientale Torino s.p.a. che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo. Motivi della decisione Preliminarmente, il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.comma in quanto proposti avverso la medesima sentenza. 1. Come primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 42 del C.C.N.L. servizi ambientali 30/6/2008 e ribadisce la tesi, disattesa dalla Corte d’appello, secondo la quale il periodo di 120 giorni previsto per il caso di ricovero ospedaliero e/o day hospital dovrebbe essere riconosciuto per intero in ogni caso. 1.1. Il motivo non è fondato. L’articolo 42 lettera b B del C.C.N.L. Servizi ambientali del 30 giugno 2008, sotto la rubrica Determinazione del periodo di conservazione del posto di lavoro comporto breve e comporto prolungato , ai primi tre commi prevede quanto segue 1. Nei casi di interruzione del servizio dovuta ad infermità per malattia o infortunio non sul lavoro debitamente certificata, il lavoratore, non in prova, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo, definito comporto breve, di 365 giorni calendariali. Il suddetto periodo di conservazione del posto si intende riferito al cumulo delle assenze verificatesi nei 1095 giorni precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso. 2. Nell’ipotesi in cui superamento del periodo di conservazione del posto di cui al comma uno sia determinato da un unico evento morboso continuativo, debitamente certificato, comportante un’assenza ininterrotta, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un ulteriore periodo di 180 giorni calendariali. Di conseguenza il periodo complessivo di conservazione del posto, definito comporto prolungato, sarà di giorni calendariali 545 sempre riferito al cumulo delle assenze verificatesi nel 1095 giorni precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso. 3. Nell’ambito dei 1095 giorni precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso, i periodi di conservazione del posto di cui ai predetti commi uno e due, sono rispettivamente aumentati di un periodo di durata massima di 120 giorni calendariali in caso di assenze comportanti ricovero ospedaliero e/o day hospital, debitamente certificate. Tale periodo è fruibile anche in maniera frazionata . 1.2. Ritiene questo Collegio che l’interpretazione dell’ultimo inciso adottata dalla Corte d’appello, secondo la quale ai fini di aumentare il periodo di comporto previsto dai commi 1 e 2 deve computarsi soltanto l’effettiva durata dell’assenza per ricovero ospedaliero e/o day hospital sino ad un massimo di 120 giorni, sia corretta. Milita in tal senso l’inequivoco tenore letterale della disposizione, diversamente non spiegandosi per quale motivo sarebbe stato apposto l’aggettivo massima accanto a durata , sicché il prolungamento dipende dalla durata effettiva del ricovero, ma in ogni caso nel limite massimo previsto. Tale soluzione trova conferma nel punto 2 dell’articolo 42, laddove, al fine di prevedere un aumento secco di 120 giorni, viene utilizzato il diversi inciso Per un ulteriore periodo di inoltre, proprio il fatto che la norma preveda la possibilità di utilizzare tale periodo in maniera frazionata dimostra che non si tratta di un aumento secco, ma utilizzabile solo in funzione delle singole giornate di ricovero debitamente certificate, e ciò anche qualora si verifichino più ricoveri. 2. Come secondo motivo, la ricorrente deduce violazione delle norme di diritto in tema di sorveglianza sanitaria, violazione degli artt. 18 e 41 del T.U. n. 81 del 2008, della L. n. 68 del 1999 e dell’art. 2087 c.comma in relazione all’articolo 32 Cost. e omesso esame di fatti. Ribadisce che anche la totale mancanza di sorveglianza sanitaria a lei dovuta in quanto disabile psichica doveva far escludere il decorso del comporto, e che la motivazione della Corte d’appello farebbe gravare sulla lavoratrice oneri a lei non incombenti. Sostiene comunque che tale richiesta vi era stata, come dedotto nella capitolazione istruttoria dal n. 12 al n. 17, non contestata e quindi acquisita al giudizio, e che nelle relazioni mediche veniva evidenziato il carattere morbigeno delle mansioni che le erano state assegnate quando era stata trasferita nelle strutture Amiat del OMISSIS . 2.1. Neppure tale motivo è fondato. In merito ai profili oggetto di censura, la Corte d’appello ha motivato sia in ordine alla mancanza di una richiesta di visita medica da parte della lavoratrice, sia in ordine alla mancanza di riscontri in ordine all’asserita incompatibilità tra le mansioni assegnate e la condizione clinica della V. , sia in ordine al fatto che le nuove mansioni furono assegnate su richiesta della stessa il cambio di mansioni avvenne su richiesta scritta del 2.8.2006 della stessa lavoratrice, la quale rilevava che per motivi di salute, avrei la necessità di svolgere un lavoro meno stressante, almeno temporaneamente docomma 2 Amiat . La documentazione di causa dà conto inoltre di un’altra richiesta di spostamento presso le sedi di via XXXXXX o via OMISSIS avanzata in data 19.6.2008 dalla lavoratrice in allora operante presso la sede del XXXXXXX motivata da varie e gravi problematiche familiari e per finalità di crescita professionale seppure non immediatamente, ma nel 2011 l’azienda diede corso anche a tale richiesta, trasferendo la V. presso la sede di via OMISSIS docomma 6 Amiat . 2.2. Sotto il profilo della critica della ricostruzione fattuale, il motivo è inammissibile, neppure risultando trascritte le capitolazioni istruttorie né prodotti i documenti valorizzati, né viene indicato in che sede sarebbero stati formulati e prodotti, in violazione degli oneri di specificità imposti dagli artt. 366 comma 1 n. 6 e 369 comma 2 n. 4 c.p.c Inoltre, al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.comma introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito. È però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, che li ha ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze. 2.3. Il motivo inoltre non è conferente al fine di pervenire ad un diverso risultato decisorio, e quindi al fine di contestare utilmente la sentenza gravata, considerato che la mancanza di adeguata sorveglianza sanitaria avrebbe potuto avere un rilievo ai fini di ritenere il mancato superamento del periodo di comporto per malattia, qualora fosse risultato che le mansioni assegnate non erano compatibili con lo stato fisico e psichico dell’invalida, e si fossero per questo poste in relazione di causalità con le assenze, sicché un’adeguata sorveglianza sanitaria avrebbe potuto evitarlo. Nulla però risulta in tal senso, né le censure mosse per contestare la valutazione della Corte d’appello risultano, come sopra anticipato, precise e conferenti. 3. Come terzo motivo, la ricorrente deduce violazione ed omessa applicazione dell’art. 10 IV comma della L.n. 68 del 1999 ribadisce l’equiparabilità tra licenziamento per superamento del periodo di comporto e licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che sarebbe confermata dal settimo comma del nuovo art. 18 della L. n. 300 del 1970, sicché nel caso, poiché in virtù di tale licenziamento Amiat ha violato la quota di riserva di cui all’art. 3 della L.n. 68, il licenziamento dovrebbe ritenersi illegittimo. 3.1. Il motivo risulta in primo luogo inammissibile, laddove non viene riferito in quale sede processuale sarebbe emerso che il licenziamento in esame aveva determinato la mancato rispetto della quota di riserva. 3.2. Il motivo è comunque infondato. La L. n. 68 del 1999, art. 10, che detta le norme in ordine al rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti, prevede al quarto comma che il recesso di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, è annullabile qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’art. 3 della legge medesima., Nell’interpretare la disposizione in scrutinio, questa Corte nelle sentenze n. 15873 del 20/09/2012, n. 28426 del 2013 e n. 3931 del 26/02/2015 ha affermato che la previsione riguarda soltanto il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo e non anche gli altri tipi di recesso datoriale. Né può ritenersi ricompreso in tale previsione il licenziamento per superamento del periodo di comporto, considerato che la previsione normativa impedisce al datore di lavoro di effettuare, in spregio alla quota di riserva, quelle riduzioni di personale che traggono origine da scelte attinenti all’organizzazione aziendale, non di adottare provvedimenti che trovano giustificazione nella prestazione del singolo lavoratore, siano o meno addebitabili al lavoratore stesso. Il licenziamento per giustificato motivo oggetto e quello per superamento del periodo di comporto, pur avendo in comune il fatto di prescindere da una condotta addebitabile al lavoratore, nonché oggi dal fatto di essere accomunate a fini sanzionatori dal VII comma dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, sono del resto fattispecie che mantengono significative differenze ontologiche, considerato che in virtù della previsione dell’art. 2110 c.comma il superamento del limite previsto di tollerabilità delle assenze è condizione sufficiente di legittimità del recesso, a prescindere dall’esistenza di un giustificato motivo oggettivo, né è richiesta la correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse così Cass. n. 1861 del 28/01/2010, n. 1404 del 31/01/2012 . 4. Come quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 15 della L. n. 300 del 1970 e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e ribadisce la tesi secondo la quale licenziamento sarebbe nullo in quanto discriminatorio per motivi di handicap. 4.1. La Corte d’appello ha rilevato in proposito che il superamento del periodo di comporto esclude la natura discriminatoria del licenziamento e che dagli elementi in atti non si traeva il benché minimo elemento idoneo a ritenere che la signora V. fosse stata penalizzata dall’azienda a causa delle sue condizioni di disabilità, laddove il fatto che la società avesse al contrario assecondato le richieste della lavoratrice del 2006 e del 2008 dimostrerebbe il contrario. Tali affermazioni non vengono revocate in dubbio, in quanto la ricorrente richiama la documentazione sanitaria ed i capitoli di prova che non sarebbero stati contestati, ma non ne riporta il contenuto, né trascrive gli atti dai quali, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, si risolverebbe la mancanza di contestazione, ed inoltre neppure si riferisce a quali fini e in quale senso tali risultanze sarebbero decisive per vincere l’argomentazione della Corte d’appello. 4.2. L’effettivo superamento del periodo di comporto esclude poi la possibilità di configurare un asserito intento discriminatorio, considerato che la giurisprudenza di questa Corte richiede allo scopo che esso costituisca il motivo unico determinante l’individuazione del lavoratore appartenente alla categoria protetta ex plurimis Cass. n. 3986/2015 Cass. n. 17087/11 Cass. n. 6282/11 Cass. n. 16155/09 e che, in ogni caso, di discriminazione può parlarsi solo quanto si configuri un trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta Cass. n. 6575 del 05/04/2016 mentre nella fattispecie qualunque lavoratore sarebbe stato licenziato nella medesima situazione, che costituisce una condizione legittimante di natura generale nello stesso senso, seppure in fattispecie diversa, Cass. n. 15315 del 04/12/2001, che ha affermato che nell’ipotesi di avviamento di un invalido al lavoro ai sensi della legge n. 482 del 1968, con contratto stipulato con patto di prova, l’invalido che deduca l’intento discriminatorio in quanto basato sulla incompatibilità della prestazione richiesta con l’invalidità del recesso del datore di lavoro al termine del periodo di prova, è tenuto a fornire tempestivamente elementi di obiettivo riscontro, che consentano la concreta verifica della circostanza denunciata . 5. Come quinto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 2 della L.n. 604 del 1966, così come modificato dalla legge Fornero lamenta il vizio di mancata motivazione della lettera di licenziamento, poiché né la lettera di preavviso né quella di licenziamento conterrebbero la specificazione dei giorni di assenza. 5.1. La Corte d’appello ha ritenuto che l’onere di forma della comunicazione del licenziamento fosse stato assolto, risultando indicata la causale del licenziamento, nonché comunicato il numero dei giorni di assenza accumulati nel periodo di riferimento. 5.2. La soluzione è conforme a diritto. Questa Corte ha affermato in più occasioni v. sentenza n. 23920 del 25/11/2010, Cass. lav. n. 23312 del 18/11/2010, n. 8707 del 2016 che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è assimilabile al licenziamento disciplinare, per cui solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale. Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo poi restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato. Tali argomentazioni restano valide anche dopo la modifica del comma 2 dell’art. 2 della L. n. 604 del 1966 realizzata con l’art. 1 comma 37 della L. n. 92 del 2012, che ha imposto la comunicazione dei motivi contestuale al licenziamento, considerato che l’onere di forma ha la funzione di individuare e cristallizzare la ragione giustificativa del provvedimento espulsivo, che nel caso è riferita ad un evento, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta. 6. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato, con il quale Amiat deduce la violazione dell’articolo 112 c.p.comma in relazione all’eccezione di mancata richiesta di accertamento e declaratoria della natura professionale della malattia. 7. Segue il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato, e la condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo. L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti previsti dal primo periodo dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso principale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna la parte ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.