Cliente sottratto al manager commerciale. Niente demansionamento

Respinta la richiesta del lavoratore, finalizzata ad ottenere dall’azienda il risarcimento dei danni subiti. Per i magistrati la scelta della società di togliere un cliente, dal grosso peso economico, al manager non rappresenta una lesione seria alla sua professionalità.

Conflitto in azienda. Il manager dell’area commerciale protesta duramente, perché si è visto togliere la gestione di un grosso cliente. Ciò nonostante, la condotta tenuta dai vertici societari non è catalogabile come persecutoria. Cassazione, sentenza numero 21378, sezione Lavoro, depositata il 24 ottobre 2016 Risarcimento. Scontro totale tra il manager e l’azienda. Il bilancio è positivo per il dipendente collocato alla guida dell’area commerciale viene sancita l’illegittimità del suo licenziamento. Tuttavia, i giudici non ritengono che egli sia stato vittima di mobbing e demansionamento da parte dei vertici societari. Esclusa, quindi, la possibilità di un risarcimento a suo favore. Demansionamento. Dinanzi ai giudici della Cassazione, però, il lavoratore sottolinea che il diretto superiore gli aveva sottratto la trattativa riguardante un grosso cliente. E questo dato rappresenta, a suo avviso, un elemento sufficiente per parlare di demansionamento , che si realizza, aggiunge il manager, non solo in presenza di un totale svuotamento di mansioni, ma anche in caso di ridimensionamento sul piano qualitativo . In questa ottica il lavoratore sostiene, in sintesi, che la sottrazione di clienti rilevanti dal portafoglio impediva il pieno sviluppo, o almeno la conservazione, della professionalità, con sostanziale snaturamento della sua qualità ed efficienza . Impossibile ipotizzare uno svuotamento delle mansioni . Ma questa visione non può essere condivisa, ribattono i magistrati della Cassazione. Decisiva una semplice constatazione al manager non erano stati sottratti altri clienti di grosso peso economico. Di conseguenza, è impossibile ipotizzare uno svuotamento delle mansioni . Allo stesso tempo, appare illogico parlare di condotta mobbizzante , vista l’assenza di significatività dei comportamenti addebitati al superiore gerarchico, limitati nel tempo o indirizzati alla generalità degli operatori . Viene meno definitivamente, quindi, la richiesta di risarcimento avanzata dal manager.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 luglio – 24 ottobre 2016, n. 21378 Presidente Nobile – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo Con la sentenza n. 6782 del 2013, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da G.D.S., volta all'accertamento del demansionamento e del mobbing asseritamente subiti ad opera di Tiscali Italia s.p.a. a far data dal 2007 e dei conseguente diritto al risarcimento dei danni confermava la sentenza di prime cure laddove aveva ritenuto l’illegittimità del licenziamento intimato al D.S. in data 23/7/2008 per la ritenuta simulazione della malattia determinante l'assenza dal lavoro, protrattasi ininterrottamente dal 25 febbraio 2008. Per la cassazione della sentenza G.D.S. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso Tiscali Italia s.p.a., che ha proposto altresì ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. Motivi della decisione Preliminarmente, il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex articolo 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. 1. I motivi dei ricorso principale possono essere così riassunti 1.1. Con il primo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 434 c.p.c., nonché dell'articolo 112 c.p.c. . Il ricorrente ribadisce l’eccezione d'inammissibilità dell’appello proposto da Tiscali in quanto sfornito di specifici motivi di censura avverso la decisione di primo grado, eccezione disattesa dalla Corte d'appello che ha ritenuto adeguatamente contestati i punti della motivazione della sentenza dei Tribunale, in relazione ai quattro aspetti sono stati poi oggetto del suo esame. 1.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 2103 c.c. e vizio di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio nonché omesso esame di fatti, testimonianze e documenti decisivi per la controversia. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello abbia trascurato le decisive dichiarazioni testimoniali in particolare, testi S. e S. , da cui emergeva che per l'anno 2007 il L., suo diretto superiore, non solo gli aveva sottratto la trattativa di Wind, ma anche i clienti Eutelia e Tag, il cui servizio veniva ceduto ad altra società controllata Tinet . In tal modo, la Corte avrebbe ignorato che può verificarsi un demansionamento illegittimo non solo in presenza di un totale svuotamento di mansioni, ma anche in caso di ridimensionamento delle stesse sul piano qualitativo nel caso, le mansioni dei D.S. consistevano nella gestione in forma autonoma di tutti i clienti Wholesale per l'area centro-sud, e la sottrazione di clienti rilevanti dal portafoglio impediva il pieno sviluppo o almeno la conservazione della professionalità, con sostanziale snaturamento della sua qualità ed efficienza. Ne conseguiva anche la fondatezza della domanda di risarcimento dei danno per mancato raggiungimento degli obiettivi per l'anno 2007, in conseguenza delle sottrazioni di competenze avvenute in quell'anno. 1.3. Come terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c. e 41 della Costituzione, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ed erronea e carente ricognizione della fattispecie concreta, con riferimento alla sussistenza dell' intento persecutorio assunto a fondamento della domanda di risarcimento danni per mobbing. Lamenta che la Corte d'appello abbia omesso di verificare la serie dei comportamenti dei superiore gerarchico che egli aveva denunciato, espungendone alcuni senza motivazione e travisandone la portata vessatoria e mortificante e trascurando dei tutto le risultanze dell'espletata c.t.u. medica. 2. A fondamento dei ricorso incidentale, Tiscali Italia s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., nonché degli artt. 5 della L.n. n. 604 del 1966 e 420 c.p.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto l’illegittimità del licenziamento, laddove al contrario il datore di lavoro può legittimamente contestare in giudizio la sussistenza della malattia dei lavoratore o la sua idoneità a giustificare l'astensione dal lavoro, anche senza che sia stato chiesto l'intervento dei servizio ispettivo dell'Inps o dei servizio sanitario nazionale ex art. 5 dello Statuto dei lavoratori, quando l'inesistenza dell'infermità possa trarsi, come nel caso, dall'inattendibilità intrinseca della certificazione, oppure da un accertamento sanitario delle quali il datore di lavoro sia venuto a conoscenza legittimamente. 3. II primo motivo del ricorso principale è inammissibile. L'eccezione di violazione dell'art. 434 c.p.c sollevata dal convenuto in appello è stata esaminata dalla Corte territoriale, che l'ha ritenuta infondata, argomentando che erano stati adeguatamente enucleati nel ricorso in appello i punti della sentenza impugnata di cui si lamentava l'erroneità. Tale argomentazione non è stata ritualmente censurata dal ricorrente. Occorre qui ribadire v. Cass. n. 2143 del 2015 che con il motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 434 c.p.c., comma 1, si denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito, vizio che è pertanto ricompreso nella previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Poiché in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice dei fatto, inteso come fatto processuale v. Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del 2009 Cass. n. 11039 del 2006 Cass. n. 15859 del 2002 Cass. n. 6526 del 2002 . Le Sezioni Unite, nella sentenza n. 8077 del 2012, hanno tuttavia chiarito che affinché questa Corte possa riscontrare mediante l'esame diretto degli atti l'intero fatto processuale, è necessario comunque che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute nell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, v. anche, ex plurimis , Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 8008 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 dei 2012, cit. . Il ricorso non rispetta i richiamati canoni di autosufficienza, considerato che ivi vengono trascritti i passaggi della sentenza del Tribunale che non sarebbero stati adeguatamente censurati nel ricorso in appello, ma non il contenuto del ricorso in appello stesso, laddove la critica sarebbe stata formulata in modo non puntuale e senza precisi rilievi critici , in tal modo risultando il motivo dei tutto generico ed inidoneo a comprendere la reale portata della doglianza. 4. II secondo e il terzo motivo non sono fondati. In relazione ad entrambi e con riguardo alla critica della ricostruzione delle risultanze fattuali denunciata anche sotto il profilo della violazione degli artt. 2087 c.c. , occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in questione l'omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito. Sulla base delle stesse risultanze valorizzate dal ricorrente tra le quali le deposizioni dei testi S. e S. la Corte territoriale ha escluso che vi fosse stato un rilevante svuotamento delle mansioni, in quanto, malgrado la trattativa con il cliente Wind fosse stata sottratta al D.S., non gli erano stati sottratti altri clienti, quali Enel, Rai, Eutelia, Tag. Parimenti la Corte capitolina ha escluso la sussistenza di una condotta mobbizzante, in assenza di significatività in tal senso dei comportamenti addebitati al superiore gerarchico, limitati nel tempo o indirizzati alla generalità degli operatori. Tra le circostanze valutate, risulta anche la c.t.u. medico-legale espletata in primo grado, che ad avviso della Corte di merito aveva tenuto conto solo della prospettazione dell'appellante e delle sue percezioni soggettive delle vicende occorsegli, e non delle emergenze probatorie oggettive sopra richiamate, che escludevano un nesso di causalità tra la patologia lamentata e la condotta datoriale. E' quindi da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell'apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze. 4.1. Né risulta pertinente la critica alla sentenza gravata formulata sotto il profilo della violazione di legge in particolare con riferimento agli artt. 2103 c.c. e 41 Cost. , considerato che quello che qui si lamenta non è l'avere la Corte di merito adottato una nozione di demansionamento e mobbing contrarie a diritto, o il non avere correttamente sussunto la fattispecie nella norma regolatrice, ma l'avere erroneamente ricostruito le risultanze fattuali in modo da escluderne la ricomprensione nelle richiamate figure giuridiche, e quindi ancora, sotto altro profilo, il giudizio di merito effettuato in relazione alle stesse. 5. Parimenti infondato è il ricorso incidentale la Corte d'appello ha argomentato che correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto l'assenza di prova il cui onere spettava la società datrice di lavoro ex art. 5 della L.n. 604 del 1966 in ordine a quanto contestato a carico dell'appellato. L'addebito aveva ad oggetto, come risulta dalla contestazione puntualmente trascritta nella motivazione del giudice di secondo grado, la ritenuta simulazione dello stato di malattia, formalizzato a far data dal 25 febbraio 2008. Tale simulazione veniva desunta da una serie di elementi, ed in particolare la coincidenza dell'insorgenza dello stato patologico con il primo giorno in cui il D.S. avrebbe dovuto prendere servizio presso la sede di Milano, la persistenza dello stato di malattia durante il procedimento di impugnazione dei trasferimento, la partecipazione alle udienze del giudizio cautelare, la recrudescenza dell'evento morboso in coincidenza con il diniego di concessione del periodo di ferie richiesto, la richiesta di trasferire il domicilio durante la malattia in una nota località balneare, l'allontanamento dal domicilio durante le fasce di reperibilità in tre giornate. Tali circostanze sono state ritenute dalla Corte territoriale non idonee a dimostrare la simulazione della malattia, considerato anche che la consulenza tecnica d'ufficio aveva accertato che nel periodo maggio agosto 2008 il D.S. si trovava in uno stato di invalidità temporanea parziale al 50%. Le argomentazioni dei giudice di secondo grado non vengono tuttavia confutate con riferimento a circostanze pertinenti e decisive la cui valutazione sarebbe stata omessa, e pertanto anche in tal caso il motivo si traduce in una critica alla ricostruzione fattuale operata dal giudice di merito. 6. Segue il rigetto di entrambi i ricorsi, con la compensazione tra le parti delle spese del giudizio, in virtù della reciproca soccombenza. L'esito dei giudizio determina la sussistenza dei presupposti previsti dal primo periodo dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art., 1 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio dei contributo unificato dovuto per entrambi i ricorsi. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ai sensi dell' art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dei comma 1 bis dello stesso art. 13.

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