Dipendente nel mirino: sì al danno da demansionamento, no al danno biologico

Il danno da demansionamento, pur dovendo essere allegato da parte di chi lo lamenti, si può ricavare legittimamente in via presuntiva o tramite massime di comune esperienza.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20677/16, depositata il 13 ottobre. La fattispecie. Il Tribunale di Lecce condannava la banca Unicredit” per l’effettuato demansionamento di un suo dipendente e ordinava di adibirlo, pertanto, a mansioni corrispondenti alla sua qualifica. In secondo grado, la Corte d’appello salentina condannava lo stesso istituito di credito a risarcire anche il danno professionale da demansionamento subito dall’uomo. Unicredit, quindi, ricorre per cassazione, mentre il dipendente propone ricorso in via incidentale. Il demansionamento si può ricavare per presunzioni Secondo la società ricorrente quello da demansionamento è un danno-conseguenza che è la parte attrice a dover provare. La Corte di Cassazione, però, non è dello stesso parere sostiene, al contrario, infatti, che tale danno, pur dovendo essere allegato da parte di chi lo lamenti, si può ricavare legittimamente in via presuntiva – come avvenuto nel caso di specie - o tramite massime di comune esperienza. E indici di demensionamento non possono non considerarsi la durata della dequalificazione oltre tre anni e mezzo , la mortificazione dell’immagine professionale, la marginalizzazione della posizione a cui era stato relegato il dipendente. Anche per impossibilità sopravvenuta parziale. Per quanto concerne il ricorso incidentale, invece, il dipendente, lamenta che la Corte d’appello non gli abbia concesso anche il risarcimento del danno biologico, nonostante egli avesse fornito certificazioni mediche ad accertamenti vari che dimostravano come i comportamenti datoriali gli avessero cagionato ipertensione e una permanente riduzione della capacità lavorativa. Anche tale doglianza è da respingere perché i dati anamnestici forniti dalla parte non possono essere utilizzati per stabilire se un simile risarcimento è dovuto non si basano, infatti, su certificazioni mediche idonee. Per tutto quanto detto, sia il ricorso principale che quello incidentale si intendono respinti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 giugno – 13 ottobre 2016, n. 20677 Presidente Venuti - Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza del 20.5.08 il Tribunale di Lecce accertava l'avvenuto demansionamento di C.A.G.D. ad opera di Unicredit Banca di Roma S.p.A., già Banca di Roma SpA, e ordinava alla società di adibirlo a mansioni corrispondenti alla sua qualifica, ma rigettava ogni pretesa risarcitoria, così come respingeva la domanda relativa alla lamentata illegittimità della sanzione disciplinare irrogata il 29.12.03. Con sentenza depositata il 18.10.10 la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, condannava Unicredit Banca di Roma S.p.A. a risarcire al lavoratore il danno professionale da demansionamento, liquidato in euro 52.096,00 oltre accessori. Per la cassazione della sentenza ricorre Unicredit S.p.A. successore di Unicredit Banca di Roma S.p.A. in virtù di fusione per incorporazione affidandosi a due motivi. L'intimato resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale basato su due motivi, cui a sua volta resiste con controricorso Unicredit S.p.A. Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1- II primo motivo dei ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 2056, 2059, 2697 c.c. e 414 e 115 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata apoditticamente riconosciuto, dal 12.9.03 all'aprile 2007, un danno da demansionamento quantificato in 215 della retribuzione, malgrado le gravi carenze di allegazione in proposito obietta la società ricorrente che quello da demansionamento non è un danno-evento, bensì un danno-conseguenza, come tale da allegare e provare da parte attrice inoltre - prosegue il ricorso - la quantificazione risulta eccessiva in relazione alla qualifica non dirigenziale rivestita dall'intimato, alle assai modeste dimensioni dell'unità produttiva cui era preposto e alla riconducibilità della mortificazione professionale, cui accenna la gravata pronuncia, al coinvolgimento di C.A.G.D. in un procedimento penale ascrivibile a sua colpa, anche al di là dell'accertamento di eventuali reati, per aver posto in essere operazioni bancarie vietate. Il motivo è infondato. Il danno da demansionamento professionale, ferma restandone la necessità di allegazione da parte di chi lo lamenti, può legittimamente ricavarsi anche in via presuntiva o mediante ricorso a massime di comune esperienza ex art. 115 cpv. c.p,c. cfr., ex aliis, Cass. n. 4652/09 Cass. S.U. n. 6572/06 . Nel caso di specie, dei danno sono state riscontrate l'allegazione e la prova, sia pure ricavata - quest'ultima - mediante presunzioni, considerata la durata della dequalificazione oltre tre anni e mezzo , la mortificazione dell'immagine professionale e delle esperienze lavorative già acquisite, la marginalizzazione della posizione dei dipendente e la conseguente perdita di contatto con i settori più qualificanti dell'attività bancaria. In tal modo la sentenza impugnata si è attenuta agli indici sintomatici elaborati quali elementi utilizzabili in via presuntiva dei danno da demansionamento cfr. cit. Cass. S.U. n. 6572106 , sicché non merita censura. Per la liquidazione di tale danno patrimoniale, risarcibile in via necessariamente equitativa, è ammissibile il parametro della retribuzione cfr., ad esempio, Cass. n. 12253/15 Cass. n. 7967/02 cui la gravata pronuncia ha fatto corretto ricorso in misura pari ai 2/5 della retribuzione stessa . 2- II secondo motivo dell'impugnazione principale denuncia violazione degli artt. 112, 113 e 114 c,p.c. e 112 disp. att. c,p.c., oltre che vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale liquidato il danno in misura maggiore di quanto chiesto dell'attore, che l'aveva quantificato in soli euro 44.440,00. Anche tale motivo è infondato, atteso che la somma di euro 44.440,00 era stata chiesta solo per il periodo fino al 30.10.04, mentre per quella successivo, protrattosi nelle more di lite fino all'aprile 2007 quindi per altri due anni e mezzo , il risarcimento era stato chiesto in ragione di euro 2.960,00 per ogni mensilità, sicché la Corte territoriale si è mantenuta nei limiti della domanda. 3- Quanto alle denunce di vizio di motivazione che si leggono in entrambi i mezzi dei ricorso principale, deve osservarsi che l'accertamento e la liquidazione effettuati dai giudici d'appello risultano immuni da vizi logico giuridici. Né il ricorso isola singoli passaggi argomentativi per evidenziarne l`illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste vale a dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura dei materiale di causa , ma sostanzialmente sollecita soltanto una rivalutazione nel merito delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, operazione non consentita innanzi a questa Corte Suprema. Né può denunciarsi un vizio della motivazione in diritto, non spendibile mediante ricorso per cassazione ex art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c., che concerne solo la motivazione in fatto, giacché quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione in quest'ultimo caso ex art. 384 ult. co . c.p.c. , senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire. In altre parole, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto se invece risulta erronea, nessuna motivazione per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita la può trasformare in esatta e il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione. 4- II primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087, 2043 e 2103 c.c., dei d.lgs. n. 626194, del d.lgs. n. 187105, nonché vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato la domanda di risarcimento dei danno biologico, nonostante la prova fornitane con certificazioni mediche prodotte in corso di causa e con apposita relazione medico-legale quest'ultima, richiamando accertamenti diagnostici non contestati dalla società effettuati presso strutture ospedaliere pubbliche, aveva evidenziato come i comportamenti datoriali avessero costituito vere e proprie violenze psichiche tali da cronicizzare nel lavoratore un disturbo post-traumatico da stress e ipertensione, con riduzione permanente della capacità di lavoro valutabile in misura non inferiore al 20-25% e danno biologico pari al 10-15%. II motivo va disatteso vuoi perché, in sostanza, sollecita una nuova valutazione nel merito dei documenti in atti, vuoi perché non supera il nucleo essenziale della motivazione a riguardo resa dalla Corte territoriale, che con motivazione scevra da vizi logici o giuridici ha ritenuto insufficiente, per dimostrare il danno biologico, la relazione medico-legale prodotta dall'odierno ricorrente incidentale, in quanto basata su dati anamnestici forniti dalla parte e non corredati da idonee certificazioni mediche, a tal fine non bastandone il mero richiamo da parte dell'estensore della relazione medesima, che non consente al giudice la necessaria verifica diretta. In ordine, poi, alle certificazioni prodotte in corso dì causa e che la sentenza ha considerato tardive, il motivo si rivela non conferente in quanto formulato sotto forma di denuncia di error in iudicando o di vizio di motivazione, mentre la ritenuta inammissibilità di documenti prodotti in corso di causa può semmai - in linea astratta - censurarsi come error in procedendo per violazione di norme processuali ma non è questo il senso della doglianza mossa nel ricorso incidentale . Né può invocarsi il principio di non contestazione riguardo al tenore di documenti, rispetto ai quali vi è soltanto l'onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all'art. 214 c.p.c. o di proposizione, se del caso, di querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice cfr., da ultimo, Cass. n. 6606/16 . 5- Con il secondo motivo ci si duole di violazione e/o falsa applicazione dell'art. 7 legge n. 300170 e di vizio di motivazione in relazione alla ritenuta tempestività e specificità della contestazione disciplinare mossa il 26.8.03 a carico dell'odierno ricorrente incidentale, nonostante che i fatti oggetto di addebito riguardassero operazioni bancarie avvenute tra il 2000 e il 2002. Il motivo è infondato perché, come accertato dalla sentenza impugnata, le irregolarità de quibus erano emerse solo all'esito di ispezioni interne conclusesi nell'agosto 2003, vale a dire nello stesso mese della conseguente contestazione, il cui tenore come riportato nello stesso ricorso incidentale è, infine, assai dettagliato. E in questi termini ha correttamente statuito la sentenza impugnata. 6- In conclusione, entrambi i ricorso vanni rigettati, il che consiglia di compensare le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. la Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese dei giudizio di legittimità.