Il dirigente pubblico può essere sospeso anche in assenza di alcuna misura cautelare

L’art. 29 del CCNL per i dirigenti del comparto Regioni ed Enti locali si interpreta nel senso che la facoltà dell’Ente di adottare la sospensione cautelare dal servizio è prevista per il dirigente che sia, o sia stato, colpito da misure restrittive della libertà personale, solo se – e limitatamente al periodo in cui – la misura cautelare non sia in corso nella cui ipotesi la sospensione è atto obbligato da parte dello stesso Ente .

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20544 depositata il 12 ottobre 2016. Il caso. La Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittima la sospensione cautelare - adottata da un Comune nei confronti di un proprio dirigente - limitatamente al periodo intercorso tra la cessazione della misura restrittiva della libertà personale e la data del suo rinvio a giudizio. In particolare, ad avviso dei Giudici di merito, secondo l’art. 29 del CCNL per il personale dirigente del comparto Regioni ed Enti locali a mente del quale, per quanto qui interessa, Il dirigente colpito da misure restrittive della libertà personale è obbligatoriamente sospeso dal servizio, salvo che l'amministrazione non intenda procedere al licenziamento, ndr [ ] 2. Il dirigente rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro [ ] qualora non sia soggetto a misura restrittiva della libertà personale o questa abbia cessato i suoi effetti [ ] può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione fino alla sentenza definitiva , la sospensione cautelare disposta in seguito alla cessazione della misura restrittiva della libertà personale poteva spiegare i propri effetti solo dal - e non prima del - rinvio a giudizio del dirigente. Contro tale sentenza il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. La qualificazione dell’atto è operazione interpretativa che compete al Giudice di merito. Il ricorrente, in particolare, lamentava come i Giudici di merito avessero errato nel ritenere che il provvedimento di sospensione obbligatoria originario potesse essere prorogato anche ad un momento in cui non vi era più alcuna misura restrittiva della libertà personale, che avrebbe invece dovuto essere oggetto di una - diversa ed ulteriore - sospensione facoltativa. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione, la quale ritiene che i Giudici di merito avessero già interpretato la proroga della sospensione obbligatoria come periodo di sospensione facoltativa. In questo contesto, risultava del tutto irrilevante l’espressione utilizzata dal Comune - datore di lavoro nel proprio provvedimento ove, impropriamente, si confermava la sospensione del dirigente anche in seguito alla cessazione della misura restrittiva della libertà personale , atteso che tale espressione potrebbe al più integrare un’errata qualificazione giuridica della volontà negoziale operata dallo stesso Comune, priva di qualsiasi rilievo, in quanto spetta al giudice l’esatta interpretazione e qualificazione della volontà espressa nel negozio giuridico . Il rinvio a giudizio è presupposto di una sospensione facoltativa. Pur condividendo la conclusione cui erano giunti i Giudici di merito, tuttavia, la Cassazione ritiene opportuno correggere la motivazione da questi ultimi utilizzata, inquadrando la fattispecie – fermi comunque gli effetti della sentenza, che infatti viene confermata – con il principio esposto in massima. Ad avviso della Corte, infatti, un’interpretazione sistematica dell’art. 29 del CCNL in discorso induce a ritenere che la sospensione sia obbligatoria solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui il dirigente sia destinatario di una misura restrittiva della libertà personale e, soprattutto, limitatamente alla durata di quest’ultima. Nel contesto di tale logica, pertanto, la necessità del rinvio a giudizio per fatti per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro”, quale condizione che deve ricorrere per l’esercizio della facoltà di sospensione, opera per ipotesi diverse da quella in cui il dirigente sia soggetto a misura restrittiva della libertà personale o lo sia stato, ma la misura abbia cessato i suoi effetti . Conclusione che, precisa la Corte, risulta in linea con l’interpretazione sin qui offerta ad analoghe clausole di altri comparti della Pubblica Amministrazione si vedano Cass. n. 12560/2014 n. 11738/2010 n. 17152/2008 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 maggio – 12 ottobre 2016, n. 20544 Presidente Napoletano – Relatore Blasutto Svolgimento del processo 1. G.S. , Dirigente del Comune di Canicattì, agiva per impugnare la proroga della sospensione dal servizio adottata con Determina Direttoriale n. 1370 del 9.8.04, facente seguito alla sospensione cautelare adottata con decorrenza 29.3.2004. 2. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1562/2010, riformando in parte la pronuncia di rigetto emessa dal giudice di primo grado, dichiarava illegittima la sospensione cautelare limitatamente al periodo corrente tra la cessazione della misura restrittiva della libertà personale 26.7.04 e la data del rinvio a giudizio del G. 18.3.2005 e condannava il Comune di Canicattì a corrispondere al ricorrente le differenze retributive maturate in tale periodo, detratto quanto già percepito a titolo di assegno alimentare. 2.1. Osservava la Corte distrettuale - che il CCNL 10.4.1996 del personale con qualifica dirigenziale del comparto Regioni ed Autonomie locali applicabile ratione temporis alla fattispecie , aveva previsto, all’art. 29, primo comma, la sospensione obbligatoria durante il periodo in cui il dirigente è sottoposto a misura restrittiva della libertà personale e, al secondo comma dello stesso articolo, che la misura cautelare poteva essere confermata, una volta cessato lo stato restrittivo della libertà personale, in caso di rinvio a giudizio del dirigente - che la verifica della legittimità della sospensione cautelare, quale evento incidente sul profilo funzionale del rapporto di lavoro, doveva essere estesa a tutto l’arco temporale in cui la sospensione si era protratta, sia pur con il limite della proposizione del ricorso di primo grado 26.9.2005 , tenendo conto anche dei fatti sopravvenuti in tale periodo, e quindi del rinvio a giudizio del G. avvenuto il 18.3.2005 per i reati ascrittigli - che, pertanto, la sospensione cautelare disposta con D.D. n. 1370 del 9.8.2004, successivamente alla cessazione della misura restrittiva della libertà personale 26.7.2004 , poteva spiegare i propri effetti soltanto dal momento del rinvio a giudizio del dirigente. 3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il G. con tre motivi. Resiste il Comune di Canicattì con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con i primi due motivi il ricorrente denuncia violazione dell’art. 29 CCNL per i dirigenti del comparto Regioni ed Autonomie locali del 10 aprile 1996, dell’art. 12 del CCNL del 2006 avente efficacia per la parte normativa in relazione al quadriennio 2002/2005. Violazione del principio di inderogabilità delle norme collettive sancito dall’art. 2 d.lgs. n. 163/2001, violazione dell’art. 2077 c.c. violazione dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 1424 c.c. Rileva che, alla stregua della disciplina contrattuale, la sospensione cautelare obbligatoria non può essere disposta oltre il periodo di permanenza della misura restrittiva della libertà personale cui il dirigente è sottoposto e che, dunque, aveva errato la Corte di appello nel ritenere che il provvedimento originario potesse essere prorogato una volta cessata tale misura. Il Comune avrebbe potuto adottare un provvedimento di sospensione facoltativa, ma non avrebbe potuto far dispiegare effetti al provvedimento di sospensione obbligatoria disposto con determinazione n. 624/2004, confermato con successiva determinazione n. 1370/2004 . Poiché quest’ultima era meramente confermativa della prima, la stessa doveva considerarsi nulla, in quanto adottata in violazione delle norme contrattuali e, in quanto tale, insuscettibile di essere sanata successivamente. Con il terzo motivo il ricorrente si duole di insufficiente motivazione circa la ragioni per le quali la Corte di appello aveva ritenuto di dovere limitare nel tempo gli effetti della affermata illegittimità, atteso che in nessun caso con la determinazione impugnata il Comune aveva inteso adottare una sospensione facoltativa. 2. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente involgendo questioni tra loro connesse, sono infondati. 3. Occorre premettere che il CCNL del personale con qualifica dirigenziale del comparto Regioni ed enti locali del 10.4.1996 nella vigenza del cui regime è stato adottato il provvedimento impugnato , dispone, all’art. 29 Effetti del procedimento penale sul rapporto di lavoro , primo comma, che Il dirigente colpito da misure restrittive della libertà personale è obbligatoriamente sospeso dal servizio, salvo che l’amministrazione non intenda procedere ai sensi dell’art. 27. Analogamente si procede nei casi previsti dall’art. 15, commi 1, 2, 3 e 4, della legge n. 55/90, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, della legge 18.1.92 n. 16. e, al secondo comma, che Il dirigente rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque rientranti nella previsione dell’art. 27, comma 2, qualora non sia soggetto a misura restrittiva della libertà personale o questa abbia cessato i suoi effetti, salva l’applicabilità dell’art. 27, può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione fino alla sentenza definitiva . Il terzo comma prevede, a sua volta, che La sospensione disposta ai sensi del presente articolo conserva efficacia, se non revocata, per un periodo non superiore a cinque anni. Decorso tale ultimo termine il dirigente è riammesso in servizio, fatta salva la possibilità per l’amministrazione di recedere con le procedure di cui all’art. 27 . L’art. 27, richiamato dai primi tre commi dell’art. 29, disciplina il recesso dell’Amministrazione in particolare, l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 27 attiene alla possibilità di recesso per giusta causa. 4. Innanzitutto, deve ritenersi che la Corte di appello abbia interpretato la Determina Direttoriale dell’Ente n. 1370 del 9.8.04 - adottata in epoca successiva alla cessazione della misura restrittiva della libertà personale cui era stato sottoposto il G. - come provvedimento di sospensione facoltativa, emesso dal Comune a seguito di una rinnovata valutazione circa l’opportunità di protrarre la sospensione dal servizio del dirigente. Tanto si desume dall’impianto complessivo della sentenza, laddove interpreta l’atto, al fine di ricostruire la volontà dell’Ente ivi espressa, facendo richiamo alla disciplina di cui al secondo comma dell’art. 29 CCNL non risulta, invece, che la Corte di appello abbia inteso attribuire significato, ai suddetti fini interpretativi, all’uso dell’espressione conferma , contenuto nel provvedimento n. 1370 del 9.8.04. In ogni caso, l’uso di tale espressione, nel provvedimento di sospensione, potrebbe al più integrare un’errata qualificazione giuridica della volontà negoziale operata dallo stesso Comune, priva di qualsiasi rilievo, in quanto spetta al giudice l’esatta interpretazione e qualificazione della volontà espressa nel negozio giuridico. 4.1. La qualificazione dell’atto è operazione interpretativa che compete al giudice di merito e, nel caso di specie, la Corte di appello ha interpretato la D.D. n. 1370 del 9.8.04 come espressione della volontà del Comune, una volta appreso della cessazione della misura restrittiva della libertà personale cui era stato sottoposto il G. , di sospendere dal servizio il dirigente in pendenza del procedimento penale avviato a suo carico. Il provvedimento costituisce un atto di gestione del rapporto di lavoro, la cui interpretazione soggiace alle regole di ermeneutica negoziale. La violazione di tali regole non è neppure prospettata dall’odierno ricorrente, che nella sostanza intende opporre all’interpretazione offerta dai giudici di merito quella, diversa, dallo stesso proposta, senza neppure prospettare da quale vizio sarebbe affetta l’interpretazione seguita dal giudice di merito. 5. È invece errata, per le ragioni che verranno di seguito esposte, l’interpretazione della normativa contrattuale offerta dal giudice di merito laddove, pur ravvisando l’operatività della sospensione facoltativa di cui al secondo comma dell’ad. 29 CCNL 10.4.96, ha ritenuto che il provvedimento fosse illegittimo - o comunque non potesse spiegare i propri effetti - prima del rinvio a giudizio del ricorrente. In proposito, va preliminarmente osservato che, poiché l’esito del giudizio è comunque conforme a diritto, la motivazione - quanto all’interpretazione della disciplina contrattuale - può essere corretta ex art. 384, quarto comma, c.p.c Nel caso in cui si discuta della corretta interpretazione di norme di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato solo alla plausibilità della giustificazione, sicché, come desumibile dall’art. 384, quarto comma, c.p.c., il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto Cass. 13086 del 2015 . 5.1 La previsione contrattuale della sospensione obbligatoria dal servizio di cui al CCNL dirigenti del comparto Regioni ed enti locali del 10.6.1006, art. 29, primo comma, fa uso di una locuzione, Il dirigente colpito da misure restrittive della libertà personale . , che nel suo tenore testuale, priva di ulteriori specificazioni, sembra alludere ad un’ipotesi oggettivamente definita, in cui la permanenza della sospensione non dipende dalla durata dello stato restrittivo della libertà personale del dirigente pubblico, costituendo tale condizione solo il presupposto per l’operatività della fattispecie. In altri termini, l’interpretazione letterale del primo comma porta a ritenere che, ove ricorra la condizione della sottoposizione del dirigente ad una misura restrittiva della libertà personale o ricorra uno dei casi previsti nella seconda parte del primo comma , l’Ente pubblico deve disporre la sospensione del dirigente dal servizio, restando sempre salva la facoltà dell’Amministrazione di recedere per giusta causa ex art. 2119 c.c Potrebbe quindi ritenersi, in una lettura atomistica del primo comma, che la sospensione perduri, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale, fino alla sentenza definitiva, fermi i limiti massimi stabiliti dal terzo comma cinque anni . 5.2. Soccorre però, in una lettura sistematica della norma, la previsione di cui al secondo comma che, nel prevedere la sospensione facoltativa dal servizio, contempla tale facoltà in senso limitativo, ossia al di fuori del periodo di sottoposizione del dirigente alla misura restrittiva della libertà personale qualora non sia soggetto a misura restrittiva della libertà personale o questa abbia cessato i suoi effetti , poiché se invece ricorre tale situazione - e per tutta la durata di essa - opera la sospensione obbligatoria. In altri termini, la facoltà dell’Ente di adottate la sospensione cautelare dal servizio è prevista, per il dirigente che sia o sia stato colpito da misure restrittive della libertà personale, solo se - e limitatamente al periodo in cui la misura cautelare personale non sia in corso. Nel contesto di tale logica interpretativa la necessità del rinvio a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque rientranti nella previsione dell’art. 27, comma 2 , quale condizione che deve ricorrere per l’esercizio della facoltà di sospensione, opera per ipotesi diverse da quella In cui il dirigente sia soggetto a misura restrittiva della libertà personale o lo sia stato, ma la misura abbia cessato i suoi effetti. 5.3. Tale interpretazione risponde alla ratio della norma, preordinata alla tutela dell’ordinato svolgimento dell’attività amministrativa, nonché alla tutela del prestigio, dell’imparzialità e della immagine interna ed esterna della Pubblica Amministrazione, laddove l’opposta interpretazione, proposta dal ricorrente - ed invero seguita, anche se solo in parte, dal giudice di merito -, priverebbe l’Ente pubblico di un’efficace tutela nel periodo corrente tra la cessazione dello stato restrittivo della libertà personale e il rinvio a giudizio del dirigente. 6. L’indicata soluzione è altresì in linea con l’interpretazione finora offerta da questa Corte di legittimità chiamata a pronunciarsi in ordine all’interpretazione di analoghe clausole contrattuali proprie di altri comparti della Pubblica Amministrazione. In tema di sospensione cautelare del pubblico dipendente sottoposto a procedimento penale, Cass. n. 12560/2014 ha esaminato l’art. 27, comma 3, del c.c.n.l. del Comparto Ministeri del 16 maggio 1995 Cass. n 11738/2010 e Cass. 17152/2008 hanno esaminato l’art. 32, comma 3, del CCNL del Comparto del personale del Servizio sanitario nazionale del settembre 1995. Nell’interpretare tali norme è stato ritenuto che, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, il prolungamento del periodo di sospensione dal servizio del dipendente in presenza di fatti, oggetto dell’accertamento penale, che siano direttamente attinenti al rapporto di lavoro o, comunque, tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento, può essere adottato a prescindere dal fatto che nei confronti del dipendente sia o meno stato emesso un provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale. È stato così ritenuto che, nel far riferimento al prolungamento della sospensione, la norma considera come normale l’ipotesi che la sospensione facoltativa segua senza soluzione di continuità quella obbligatoria, e che proprio rispetto a tale evenienza appare incongrua l’individuazione nel rinvio a giudizio di un necessario presupposto del provvedimento cautelare facoltativo, che, data la peculiarità della fattispecie contemplata nel comma 1, il datore di lavoro può, invece, adottare in prosecuzione di quello obbligatorio Cass. n. 11738 del 2010, in motivazione . 6.1. Seppure nella disciplina contrattuale del comparto Ministeri e del comparto Sanità di cui alle richiamate pronunce la durata della sospensione obbligatoria è espressamente correlata alla durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà primo comma delle relative previsioni contrattuali - e in senso analogo le parti sociali hanno provveduto in sede di CCNL dirigenti Regioni ed enti locali del 2006, art. 12, primo comma alla medesima soluzione deve pervenirsi anche in mancanza di tale specificazione nel CCNL dirigenti comparto Regioni ed enti locali del 10.4.1996, per cui, nel caso di procedimento penale che abbia comportato la restrizione della libertà personale, il prolungamento facoltativo della misura sospensiva può essere adottato a prescindere dal rinvio a giudizio del dipendente, come chiarito nelle suddette sentenze della Corte. 7. In conclusione, la soluzione interpretativa adottata dalla Corte di appello è errata, ma non nel senso preteso dall’odierno ricorrente, ma nella parte in cui ha escluso che la sospensione facoltativa potesse spiegare i propri effetti anche nel periodo compreso tra l’emanazione del provvedimento di sospensione e il rinvio a giudizio del dirigente. Tuttavia, in difetto di impugnazione incidentale del Comune di Canicattì, la sentenza sul punto è passata in giudicato e le differenze retributive riconosciute in favore del G. restano irripetibili dall’Amministrazione resistente. 8. Il ricorso va dunque respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.