Inapplicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista in materia di appalti

Ai sensi dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 non è applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2, del richiamato decreto. L’art. 9 d.l. n. 76/2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità dell’art. 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 d.lgs. n. 165/2001, non ha carattere di norma di interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, ma lo stesso non ha innovato il quadro normativo previgente, avendo solo esplicitato un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalla successive integrazioni.

Così stabilito dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 20327, pubblicata il 10 ottobre 2016. Il caso. Domanda di pagamento di retribuzioni proposta nei confronti del committente pubblica amministrazione da parte di lavoratore dipendente dell’appaltatore. Un dipendente di un’azienda appaltatore di opere commesse da un Comune chiedeva ed otteneva la condanna di entrambi i soggetti al pagamento delle retribuzioni spettanti, in applicazione della disciplina di cui all’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003. Sia il Tribunale che la Corte d’appello accoglievano la domanda del lavoratore, condannando il committente e l’appaltatore al pagamento, in solido tra loro. Proponeva così ricorso in Cassazione il Comune soccombente. La disciplina di cui all’art. 29 d.lgs. n. 276/2003. Come noto l’art. 29, d.lgs. n. 276/2003 prevede il vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore per le spettanze retributive dovute al dipendente dell’appaltatore, entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto. La disciplina citata non trova tuttavia applicazione per ciò che concerne gli appalti in essere con le pubbliche amministrazioni. Il Supremo Collegio si era già pronunciato in tal senso con la sentenza n. 15432/2014, ove si affermava che l'inapplicabilità dell'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 agli appalti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni è sancita dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 e confermata di recente dal d.l. n. 76/2013, conv. in l. n. 99/2013. In caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al personale utilizzato nei contratti di appalto pubblico, il d.lgs. n. 163/2006 prevede speciali strumenti di tutela, le cui modalità di utilizzazione sono determinate, in particolare, dagli artt. 4 per i contributi e 5 per le retribuzioni del d.P.R. n. 207/2010. In via residuale è possibile fare ricorso alla tutela di cui all'art. 1676 c.c. . La Corte di merito disattende il principio di diritto affermato. La Corte d’appello, come il primo giudice, non ritiene condivisibile il principio giurisprudenziale affermato dagli Ermellini con la sentenza n. 15432/2014 pronuncia peraltro riaffermata da altre più recenti, n. 10664 e n. 10731 del 2016. Di conseguenza i giudici di merito disattendono i dettami giurisprudenziali della Cassazione, affermando l’applicabilità della solidarietà ex art. 29 anche agli appalti con le p.a Così accogliendo la domanda del lavoratore con condanna del comune convenuto. Motiva la Corte territoriale che l’articolo 1 del medesimo d.lgs. n. 276/2003 esclude l’applicabilità alle pubbliche amministrazioni unicamente delle disposizioni volte a regolare il rapporto di lavoro e quindi non potrà essere invocato per affermare l’inapplicabilità agli enti pubblici della responsabilità solidale di cui all’art. 29. Oltre tutto, prosegue il Collegio di merito, escludere dalla solidarietà le pubbliche amministrazioni darebbe luogo ad una ingiustificata ed irragionevole posizione di privilegio contraria i principi costituzionali, con conseguente disparità di trattamento tra lavoratori, sulla sola natura pubblica o privata del committente. Solo con l’art. 9, d.l. n. 76/2013 è stata prevista l’inapplicabilità della responsabilità solidale alle p.a. ma tale norma deve essere ritenuta innovativa e non interpretativa. Riaffermato il principio di inapplicabilità . e cassata la sentenza. Il Supremo Collegio ribadisce il costante orientamento già in precedenza affermato con le pronunce del 2014 e del 2016. L’art. 1 d.lgs. n. 276/2003 è chiaro nel prevedere che il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale . La terminologia usata dal legislatore individua senza dubbi di sorta che gli enti pubblici siano i destinatari dell’esclusione, riferita all’intero decreto e non soltanto ad alcune norme di esso. Nemmeno può ritenersi condivisibile quanto sostenuto dalla Corte territoriale circa la natura innovativa della norma di cui all’art. 9 d.l. 28 giugno 2013 n. 76. Oltre tutto, osserva da ultimo il Supremo Collegio, l’interpretazione così resa appare conforme alle indicazioni contenute nella legge delega, che per l’appunto aveva previsto l’esclusione delle norme al personale delle pubbliche amministrazioni. Da tutto ciò consegue che la sentenza impugnata appare viziata e non conforme ai principi di diritto in materia enunciati dalla Suprema Corte, a cui viene data continuità. Il ricorso è stato così accolto dalla Corte, con enunciazione del principio di diritto sopra riportato e con decisione nel merito di rigetto della domanda originaria del lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 giugno – 10 ottobre 2016, n. 20327 Presidente Macioce – Relatore Di Paolantonio Svolgimento del processo 1 - La Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del locale Tribunale che, accogliendo la domanda di L.I.P. , aveva condannato la Investimenti Immobiliari s.r.l. ed il Comune di Torino, con vincolo solidale fra loro, al pagamento in favore del ricorrente della complessiva somma di Euro 12.409,07 dovuta a titolo di retribuzione diretta, indiretta e differita per il periodo 1 agosto 2012/6 maggio 2013, durante il quale il L. aveva prestato attività lavorativa in favore della s.r.l. per l’esecuzione di opere a quest’ultima appaltate dall’ente locale. 2 - La Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’articolo 29, comma 2, del d.lgs 276 del 2003 e, ritenendo non condivisibile il principio di diritto affermato da questa Corte con sentenza n. 15432 del 2014, ha osservato che a l’articolo 1, comma 2, del richiamato decreto legislativo esclude la applicabilità alle pubbliche amministrazioni delle sole disposizioni volte a regolare il rapporto di lavoro vero e proprio e, quindi, non può essere invocato per affermare la inapplicabilità agli enti pubblici non economici della responsabilità solidale del committente b non è decisivo a tal fine il tenore del 1 comma dell’articolo 29, con il quale il legislatore ha dettato i criteri distintivi fra appalto privato e somministrazione, poiché nel secondo comma non è richiamato l’articolo 1655 c.c., sicché il termine appalto ivi utilizzato ben può ricomprendere anche l’appalto pubblico, non escluso espressamente dalla disposizione c solo con l’articolo 9 del d.l. n. 76 del 2013 è stata prevista la inapplicabilità alla Pubblica Amministrazione della responsabilità solidale, ma detta norma deve essere ritenuta innovativa e non interpretativa, perché non si autoqualifica tale e non richiama la disposizione oggetto di interpretazione d il decreto legislativo deve essere interpretato alla luce della legge delega n. 30 del 2003 che, all’articolo 6, limita la esclusione al personale delle pubbliche amministrazioni, sicché con l’articolo 1, comma 2, il legislatore delegato ha voluto solo esplicitare la impossibilità per le Amministrazioni di utilizzare le nuove forme contrattuali flessibili e non rileva nella fattispecie la ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, in quanto la Corte ha escluso la violazione dei limiti di cui alla delega legislativa con riferimento all’articolo 29, comma 2, ma non si è occupata della legittimità della disposizione rilevante ai fini di causa, ossia del comma 2 dell’articolo 1 f le previsioni contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006, nel d.p.r. 207 del 2010 e nell’articolo 1676 c.c. non assicurano al lavoratore la tutela piena e certa dei loro crediti, garantita dall’articolo 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, e, quindi, non sono con questo incompatibili, avendo presupposti ed ambiti di applicabilità differenti g l’articolo 3, comma 1, della Costituzione esclude che possa essere attribuita alle Pubbliche Amministrazioni una posizione di ingiustificato privilegio rispetto ai committenti privati e che possano essere create disparità di trattamento tra lavoratori sulla base della sola natura pubblica o privata dell’appaltante. 3 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Torino sulla base di due motivi. L.I.P. ha resistito con tempestivo controricorso mentre è rimasta intimata la s.r.l. Investimenti Immobiliari. Motivi della decisione 1.1 - Con il primo motivo il Comune di Torino denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 29, 2 comma, del d.lgs n. 276/2003 . Richiama gli argomenti utilizzati da questa Corte nella sentenza n. 15432 del 7 luglio 2014 per sostenere l’inapplicabilità agli appalti pubblici della responsabilità solidale del committente prevista dalla norma indicata in rubrica ed evidenzia, in primo luogo, che la diversa soluzione fatta propria dal giudice di appello contrasta con il tenore letterale dell’articolo 1 del d.lgs. n. 276 del 2003, chiaro nell’escludere dall’ambito di applicazione del decreto le pubbliche amministrazioni ed il loro personale. Aggiunge il ricorrente che l’articolo 29 si riferisce al contratto di appalto stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile e, quindi, non può trovare applicazione agli appalti pubblici che sono, invece, disciplinati da norme speciali, le quali tengono conto della particolare natura del committente e della necessità di assicurare, al tempo stesso, il buon andamento della amministrazione pubblica ed il necessario rispetto dei vincoli di bilancio. Precisa, inoltre, che il d.p.r. 207 del 2010 prevede meccanismi alternativi finalizzati a tutelare i lavoratori impegnati nell’appalto perché obbliga le pubbliche amministrazioni a verificare la regolarità contributiva non solo in via preventiva ma per tutta la durata dei lavori, sino al collaudo dell’opera impone di trattenere dal certificato di pagamento l’importo corrispondente alla inadempienza contributiva accertata consente l’intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di mancato pagamento delle retribuzioni, ove risulti vana la previa diffida ad adempiere notificata al datore di lavoro. Evidenzia, infine, che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a prevedere l’impegno di spesa prima della stipulazione del contratto di appalto e detto impegno risulta incompatibile con una normativa che, affermando la responsabilità dell’appaltante a prescindere dalla sussistenza di un debito residuo nei confronti dell’appaltatore, finisce per inserire nel contratto un elemento di aleatorietà che impedisce di predeterminare il costo complessivo dell’opera. 1.2 - Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 9, comma 1, d.l. n. 76/2013 . Assume il ricorrente che la norma, diversamente da quanto affermato dalla Corte torinese, ha natura interpretativa, poiché interviene a chiarire il senso della disposizione preesistente, ossia dell’articolo 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, senza modificarne la portata precettiva, ma limitandosi a privilegiare una delle opzioni esegetiche possibili nella interpretazione della stessa. Richiama a tal fine il contenuto della relazione illustrativa del decreto legge nonché giurisprudenza costituzionale e sottolinea anche la erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l’articolo 6 della CEDU impedisce l’emanazione di norme retroattive, finalizzate ad influenzare l’esito giudiziario di una controversia. Nel caso di specie, infatti, il legislatore si è limitato a dettare una autentica norma di interpretazione, senza violare il disposto dell’articolo 11 delle preleggi. 2 - Il ricorso è fondato. Questa Corte ha già affermato, con la sentenza richiamata dal ricorrente, la inapplicabilità dell’articolo 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003 ai contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni ed il principio di diritto è stato poi ribadito, in motivazione, dalle recenti sentenze 23.5.2016 n. 10664 e 24.5.2016 n. 10731, con le quali, peraltro, si è escluso che detto principio potesse essere esteso anche alle società di diritto privato tenute al rispetto della procedura di evidenza pubblica e si è precisato che la inapplicabilità agli enti pubblici della responsabilità solidale discende direttamente dalla espressa previsione contenuta nell’articolo 1, comma 2, del richiamato decreto e non dalla assoggettabilità dell’appalto alla disciplina dettata dal d.lgs. 163/2006 e dal d.p.r. 207/2010 oggi sostituiti dal d.lgs. 18.4.2016 n. 50 , di per sé non incompatibile con quanto disposto dall’articolo 29 del d.lgs 276/2003. Il Collegio intende dare continuità a detto orientamento, poiché gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale a sostegno della diversa opzione esegetica non sono condivisibili. 2.1 - L’articolo 1 del dlgs n. 276 del 2003, nel prevedere che il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale è chiaro nell’individuare il destinatario della esclusione, riferita all’intero decreto, innanzitutto nell’ente pubblico. Non si può sostenere, come si legge nella sentenza impugnata, che i due termini distinti inseriti nel comma 2 dell’articolo 1 costituirebbero un’endiadi in quanto il legislatore delegato, conformandosi a quanto previsto dall’articolo 6 della legge n. 30 del 2003, avrebbe solo voluto impedire al personale delle pubbliche amministrazioni l’utilizzo delle nuove tipologie contrattuali. La esegesi prospettata contrasta con il chiaro tenore letterale della norma che, nell’affermare la inapplicabilità della normativa dettata dal decreto, sia alle pubbliche amministrazioni che al loro personale, non fa altro che recepire e rendere più esplicita la indicazione data dal legislatore delegante, il quale aveva previsto con il richiamato articolo 6 che le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate . Se si scorrono i principi dettati dagli articoli richiamati nella disposizione ci si avvede che solo alcuni di essi possono essere propriamente riferiti al personale , perché attinenti a rapporti di lavoro già instaurati, mentre per quelli relativi alle tipologie di lavoro flessibile, alla loro disciplina, agli obblighi posti a carico del datore di lavoro effettivo o apparente la esclusione deve necessariamente essere riferita al soggetto non legittimato alla conclusione del contratto, che precede la instaurazione del rapporto di dipendenza o di collaborazione, o al contraente a carico del quale l’obbligo viene posto ed è, quindi, improprio esprimere la stessa facendo riferimento al personale . Non sussiste, pertanto, alcun contrasto fra l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo e la legge delega, perché il primo, in realtà, si limita ad esplicitare ciò che era già contenuto nell’articolo 6 della legge n. 30 del 2003. 2.2 - Osserva, inoltre, il Collegio che il richiamo alla legge delega può orientare l’interprete nella esegesi di una norma che sia formulata in termini non chiari, ma non consente di attribuire alla stessa un significato che si ponga in aperto contrasto con il tenore letterale della disposizione da interpretare. In tal caso, infatti, la non coincidenza fra la legge delega ed il decreto legislativo delegato deve essere denunciata dinanzi alla Corte Costituzionale per violazione dell’articolo 76 Cost., violazione che, peraltro, il Collegio ritiene non ravvisabile nella fattispecie, sia per le ragioni esposte al punto che precede, sia sulla base degli argomenti già indicati da questa Corte nella sentenza n. 15432 del 2014. Con la richiamata pronuncia si è osservato che il vizio di eccesso di delega riguarda esclusivamente i rapporti fra legge delegante e decreto legislativo delegato, sicché viene meno nei casi in cui il legislatore, intervenendo nuovamente sul testo normativo, trasformi la natura della norma da legge in senso materiale a legge in senso formale, affrancandola dal vizio di eccesso di delega. Si è, quindi, precisato, attraverso il richiamo alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, che la disciplina della responsabilità solidale del committente, dettata dall’articolo 29 del d.lgs n. 276 del 2003, è stata oggetto di plurimi interventi del legislatore, successivi ed estranei al rapporto di delegazione, che hanno fatto venire meno, in relazione alla disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie, ogni rilevanza dell’eventuale vizio originario. La sentenza impugnata non è condivisibile nella parte in cui, dissentendo dal principio, afferma che, in realtà, detti interventi non hanno mai riguardato la norma che qui viene in rilievo, ossia il comma 2 dell’articolo 1, bensì l’articolo 29 ed altre disposizioni del decreto legislativo. In merito osserva il Collegio che l’articolo 1, in quanto norma generale di esclusione della applicabilità alla pubblica amministrazione dell’intera disciplina contenuta nel decreto, salve le espresse eccezioni, è parte integrante della normativa di ogni singolo istituto, sicché l’intervento legislativo che riguardi una determinata tipologia contrattuale, lasciando inalterata la predetta esclusione, determina anche rispetto a quest’ultima gli effetti sopra indicati in relazione al rapporto di delegazione. 2.3 - Una volta escluso che il comma 2 dell’articolo l del decreto legislativo possa essere interpretato nei termini indicati dalla Corte territoriale, è sufficiente il richiamo alla norma generale per affermare la inapplicabilità alle pubbliche amministrazioni della responsabilità solidale del committente prevista dal comma 2 dell’articolo 29. Alle medesime conclusioni, comunque, si giunge esaminando la disciplina dettata dalla norma in commento, non essendo condivisibile la sentenza impugnata nella parte in cui, per affermare la applicabilità alla fattispecie del comma 2 dell’articolo 29, valorizza l’assenza nel comma in parola di qualsivoglia richiamo alla natura privata dell’appalto, dalla quale fa discendere la riferibilità della dizione committente imprenditore o datore di lavoro anche alla pubblica amministrazione. L’argomento è privo di decisività poiché la stessa Corte territoriale riconosce che il comma l richiama con chiarezza il contratto di appalto, come disciplinato dal codice civile, e che il comma 3 bis, relativo alla costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, non è applicabile agli enti pubblici. Orbene anche la disposizione da ultimo richiamata, di sicuro non invocabile nei confronti della pubblica amministrazione, si riferisce genericamente al contratto di appalto e ciò priva di spessore la valorizzazione dell’elemento letterale nella interpretazione del comma 2, posto che nella esegesi di una disciplina normativa unitaria non è corretto estrapolare dall’intero contesto una parte della disposizione, valutandola senza tener conto del tenore degli altri commi che compongono la norma oggetto di interpretazione. 2.4 - La Corte territoriale, inoltre, non ha considerato che nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie, risultante all’esito delle modifiche apportate dall’articolo 4, comma 31, della legge 28.6.2012 n. 92, il comma 2 si apre facendo salva la diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore , il che rende evidente l’intenzione del legislatore di riferirsi ai soli appalti posti in essere da soggetti che, tramite le loro associazioni, sottoscrivono i contratti collettivi nazionali di lavoro. All’intervento normativo sopra richiamato ha, poi, fatto seguito l’articolo 9 del d.l. 28 giugno 2013 n. 76, convertito dalla legge 9 agosto 2013 n. 99, con il quale si è previsto che Le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni, trovano applicazione anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo. Le medesime disposizioni non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le disposizioni dei contratti collettivi di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni, hanno effetto esclusivamente in relazione ai trattamenti retributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto con esclusione di qualsiasi effetto in relazione ai contributi previdenziali e assicurativi . La Corte territoriale ha escluso la natura interpretativa e la retroattività della norma in commento e per ciò solo ha ritenuto il carattere innovativo della stessa, dal quale ha tratto conferma della esattezza della esegesi data al testo normativo vigente in epoca antecedente alla entrata in vigore della nuova disposizione. Anche dette conclusioni non sono, ad avviso del Collegio, condivisibili. È noto che la legge può essere qualificata di interpretazione autentica, a prescindere dai lavori preparatori e dal titolo del testo normativo, quando la legge medesima sia rivolta ad imporre con efficacia retroattiva una data interpretazione di una precedente norma, sicché la stessa non può essere suscettibile di applicazione autonoma, dovendosi necessariamente integrare con la norma interpretata, nel senso che la disciplina da applicarsi ai singoli casi concreti deve essere desunta da quest’ultima e dalla norma interpretativa. Il carattere interpretativo autentico può essere riconosciuto solo qualora, analizzando il contenuto della norma, si individuino da un lato l’indicazione di una data esegesi di una disposizione antecedente cui la norma si ricollega dall’altro un precetto con il quale il legislatore impone la interpretazione, escludendone ogni altra, non solo per il futuro ma anche per il passato, e privando, in tal modo, l’interprete della possibilità di pervenire ad una diversa conclusione quanto al significato da attribuire alla norma interpretata. Non vi è dubbio che nella fattispecie non ricorrano detti indispensabili requisiti, poiché il tenore della nuova disposizione, con la quale il legislatore ha espressamente previsto la inapplicabilità dell’articolo 29 agli appalti stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1 del d.lgs. n. 165/2001, non consente di affermare che l’intervento sia stato finalizzato anche ad imporre una interpretazione della normativa previgente, con efficacia retroattiva. Tuttavia non può per ciò solo affermarsi il carattere innovativo della disposizione giacché il legislatore può anche formulare in modo più chiaro ed appropriato una norma preesistente, dettando una nuova disciplina che provveda a regolare per il futuro la materia attraverso precetti non dissimili da quelli previgenti. Parimenti non è impedita al legislatore la produzione di una norma che, sia pure senza vincolare per il passato l’interprete e senza fare esplicito riferimento alla esegesi di una data disposizione, produca fra le sue conseguenze, in virtù dell’unità ed organicità dell’ordinamento giuridico, anche quella di chiarire il significato di detta disposizione Cass. 29.7.1974 n. 2289 . In altri termini il legislatore, a fronte di incertezze interpretative, può emanare una nuova normativa che abbia la finalità di rendere esplicito il precetto già desumibile dalla disciplina previgente, senza, però, imporre la interpretazione per il passato e, quindi, senza conferire retroattività alla norma. Una disposizione siffatta, in quanto destinata ad essere vincolante solo per il futuro, non esclude la possibilità per l’interprete di dare alla norma previgente una diversa interpretazione e, quindi, risulta senz’altro rispettosa del precetto dettato dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché non interferisce nella amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia e, quindi, fa salvi il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo. Peraltro la disposizione medesima, proprio per le finalità che l’hanno ispirata, desumibili nella specie anche dai lavori preparatori, ben può essere valutata dall’interprete, che dalla stessa può trarre la conferma della correttezza della esegesi data alla normativa, a condizione che detta esegesi riposi innanzitutto sul dato normativo previgente. In sintesi, ferma restando la irretroattività della normativa, non è impedito all’interprete, all’esito di una comparazione fra il quadro normativo previgente e quello modificato, escludere il carattere innovativo della disposizione e ritenere che il precetto, reso esplicito, fosse già desumibile dalla norma preesistente. 2.6 - Infine la estensione anche agli appalti stipulati dalla pubblica amministrazione della responsabilità solidale del committente non può essere affermata facendo leva sulla necessità di assicurare al lavoratore impegnato nella esecuzione di un appalto pubblico la medesima tutela riconosciuta per gli appalti privati. La Corte territoriale così argomentando non ha considerato le peculiarità proprie delle due situazioni a confronto che giustificano senz’altro la diversità delle discipline, dettate al fine di contemperare, in ciascun ambito, i diversi interessi che vengono in rilievo. Invero mentre nell’appalto privato il committente non incontra alcun limite nella scelta del contraente e, quindi, potrebbe essere indotto ad affidare i lavori all’impresa che richieda il corrispettivo più basso e che perciò non offra alcuna garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con le maestranze impegnate nell’appalto, nelle procedure di evidenza pubblica la tutela dei lavoratori è assicurata sin dal momento della scelta del contraente, poiché nella valutazione delle offerte gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza . articolo 86 del d.lgs 163/2006 e ad effettuare controlli preventivi volti ad accertare non solo la solidità del concorrente ma anche il rispetto da parte dello stesso della normativa in materia di sicurezza, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, degli adempimenti previdenziali ed assistenziali articolo 38 del d.lgs 163/2006 . Inoltre, come già evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 15432/2014, alla cui motivazione si fa rinvio per la trattazione analitica di detti aspetti, anche nel corso della esecuzione dell’appalto la stazione appaltante è tenuta a verificare l’esattezza dell’adempimento degli obblighi assunti dall’appaltatore nei confronti dei prestatori e, in caso di esito negativo della verifica, può attivare l’intervento sostitutivo, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’esecutore del contratto. Si tratta, quindi, di un complesso articolato di tutele volte tutte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori, tutele che difettano nell’appalto privato, e che compensano la mancata previsione per gli appalti pubblici della responsabilità solidale prevista dall’articolo 29 del d.lgs n. 276 del 2003, non applicabile alla pubblica amministrazione perché in contrasto con il principio generale oggi rafforzato dal nuovo testo dell’articolo 81 Cost. che affida alla legge ordinaria il compito di fissare i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni in forza del quale gli enti pubblici sono tenuti a predeterminare la spesa e, quindi, non possono sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati. Mentre l’intervento sostitutivo di cui al d.lgs 163/2006, al pari della responsabilità prevista dall’articolo 1676 c.c., applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, opera nei limiti di quanto è dovuto dal committente all’appaltatore, l’articolo 29, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis , consente solo al committente di avvalersi del beneficio della preventiva escussione ma, ove questa si riveli infruttuosa, comporta la responsabilità dell’appaltante anche nella ipotesi in cui lo stesso abbia già adempiuto per intero la sua obbligazione nei confronti dell’appaltatore. È evidente che detta responsabilità non possa essere estesa alle pubbliche amministrazioni in relazione alle quali vengono in rilievo interessi di carattere generale che sarebbero frustrati ove si consentisse la lievitazione del costo dell’opera pubblica quale conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore. La diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica, quindi, la diversa disciplina e rende manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 29 del d.lgs 276 del 2003, prospettata dalla difesa del controricorrente in relazione all’articolo 3 Cost 3 - La sentenza impugnata va, pertanto, cassata perché non conforme al principio di diritto che di seguito si enuncia ai sensi dell’articolo 1, comma 2, d.lgs n. 276 del 2003 non è applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista dall’articolo 29, comma 2, del richiamato decreto. L’articolo 9 del d.l. 76 del 2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità dell’articolo 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1 del d.lgs n. 165 del 2001, non ha carattere di norma di interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, ma lo stesso non ha innovato il quadro normativo previgente, avendo solo esplicitato un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato articolo 29 e dalle successive integrazioni . Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta nei confronti del Comune di Torino. La complessità delle questioni trattate, l’assenza di orientamenti univoci della giurisprudenza di merito e la mancanza di precedenti di questa Corte alla data di instaurazione del giudizio di primo grado, giustificano la integrale compensazione delle spese dell’intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta nei confronti del Comune di Torino. Compensa integralmente le spese dell’intero processo.