Ubriaco sul lavoro, secondo i colleghi: niente licenziamento

La ricostruzione dell’episodio non è certa. Alcuni lavoratori hanno affermato che il loro collega, inquadrato come custode, era in stato di ebbrezza, ma, allo stesso tempo, hanno spiegato di non saper distinguere se una persona è sobria o ubriaca. Resta solo l’addebito relativo all’allontanamento dall’ufficio elemento non sufficiente per la destituzione dal servizio.

Ubriaco, secondo il racconto fatto da alcuni colleghi. E, per giunta, non presente, illegittimamente, nell’ufficio a lui assegnato. Ciò nonostante, il custode di un’azienda di trasporti pubblici si salva dal licenziamento Cassazione, sentenza n. 19932/16, sezione Lavoro, depositata il 5 ottobre . Alterazione. Inutili le osservazioni proposte dalla società datrice di lavoro. I giudici del Tribunale prima e della Corte d’appello poi ritengono illegittima la destituzione dal servizio del custode , nonostante gli addebiti a lui mossi. Ciò comporta la reintegra nel posto di lavoro e il riconoscimento al lavoratore di un risarcimento pari a dodici mensilità della retribuzione . I legali dell’azienda però contestano la decisione favorevole al dipendente. Essi pongono in evidenza che il provvedimento di destituzione è stato adottato a seguito di lettera di contestazione che riguardava l’essere stato trovato il lavoratore in servizio in stato di alterazione etilica . Senza dimenticare, poi, viene aggiunto, che il dipendente ha anche abbandonato arbitrariamente il posto di lavoro . Allontanamento. Per i Magistrati della Cassazione, però, è corretta la visione tracciata in appello, poiché non è stato provato lo stato di ubriachezza del lavoratore. Le dichiarazioni fatte dai colleghi sono accompagnate, difatti, da una importante premessa essi hanno spiegato di non saper valutare se una persona è o meno in stato di ebbrezza . Né è rilevante la circostanza che l’uomo avesse dovuto affrontare quel problema fisico in passato. Venuto meno questo cardine della visione aziendale, l’ allontanamento è ritenuto secondario, essendo stato limitato nel tempo . Ciò significa che esso non è sufficiente, concludono i Giudici, per spingere l’azienda ad optare per il licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio – 5 ottobre 2016, n. 19932 Presidente Macioce – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n, 1912/12, depositata il 13 maggio 2013, rigettava l'impugnazione proposta dalla Azienda Trasporti Milanesi - ATM, nei confronti di F. L., avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Milano n. 164612010. 2. II giudice di primo grado aveva accolto il ricorso proposto dal F., assunto dalla ATM il 31 dicembre 1990, con mansioni da ultimo, per ritenuta inidoneità, di ausiliario inquadrato nella IV area professionale, al quale dopo aver ricevuto una lettera di contestazione il 12 ottobre, era stata comunicata la sanzione della destituzione dal servizio, con effetto dal 1° febbraio 2008. Il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di destituzione, condannando la società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed a risarcire a quest'ultimo il danno pari a 12 mensilità della retribuzione, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed al rimborso delle spese di lite. 3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la ATM, prospettando tre motivi di ricorso. 4. Resiste con controricorso il lavoratore. 5. La ATM ha depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica, con la quale, in via preliminare, ha dedotto la inammissibilità del controricorso in quanto depositato tardivamente, e ha insistito nell' accoglimento del ricorso. Motivi della decisione 1. Preliminarmente, deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del controricorso. La stessa è fondata e deve essere accolta, in quanto l'originale del controricorso è stato depositato tardivamente. Ed infatti, come si evince dalla nota in data 17 giugno 2016, a firma del difensore di F. L., di deposito dei seguenti atti originale controricorso notificato in data 20 dicembre 2013 e ricevuto in data 30 dicembre 2013, con originale cartolina di ricevimento, sino a tal data il controricorso in originale non veniva depositato. 2. Può, dunque, passarsi all'esame dei motivi di ricorso. 2.1. Occorre precisare che il provvedimento di destituzione era stato adottato a seguito di lettera di contestazione che riguardava l'essere stato trovato in servizio il F., il giorno 9 ottobre 2006, in stato di alterazione etilica, e avere abbandonato arbitrariamente il posto di lavoro. 2.2. II Tribunale aveva ritenuto illegittima la sanzione in quanto quello giudicato come il pila grave degli addebiti, ossia lo stato di etiliasi, non aveva trovato adeguata conferma testimoniale, a causa della contraddittorietà delle relative dichiarazioni, mentre era stato confermato l'altro addebito, e cioè quello di avere abbandonato il posto di lavoro, per il quale, tuttavia, la sanzione risultava sproporzionata. 2.3. La Corte d'Appello confermava la sentenza dei Tribunale in quanto gli indubbi elementi di in ertezza nella prova delle circostanze poste a base degli addebiti, in particole on riguardo allo stato di ebbrezza del F. che in passato aveva rappresentato un problema dal quale sembrava essere uscito , non consentivano di ritenere assolto l'onere probatorio circa l'esistenza di una causa proporzionata alla sanzione espulsiva adottata. Ciò sia in relazione al fatto previsto dal n. 12, comma 1, dell'articolo 45 del citato RD n. 148 del 1931 che prevede la destituzione per chi durante il servizio, in funzioni attinenti la sicurezza dell'esercizio, è trovato in stato di ubriachezza, mentre l'appellato era addetto alla custodia , sia in relazione all'abbandono del posto di lavoro, intervenuto per un tempo limitato, sempre in presenza delle predette mansioni, che, anche nei casi più gravi, come già rilevato dal giudice di primo grado, è punito con sanzioni conservative artt. 41 e 42 del citato d.P.R. . 3. Con il primo motivo di ricorso è prospettato il vizio di violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cc e degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all'articolo 360, n. 3, cpc. Espone la ricorrente che, erroneamente, la sentenza di appello ha ritenuto che non sarebbe stata fornita la dimostrazione della sussistenza dei fatti oggetto della contestazione e della conseguente relativa sussunzione degli stessi in una delle fattispecie tipizzate di sanzione espulsiva. Ed infatti, le prove offerte da essa ricorrente sarebbero state erroneamente valutate, atteso che i testi L. e C. confermavano le dichiarazioni rese nel corso del procedimento disciplinare svoltosi nel 2006, in particolare quanto all'allontanamento del F. dal luogo di lavoro, per essersi recato sulla porta del bar situato di fronte alla portineria, e sul fatto che il lavoratore emanava un forte odore di alcool. La prova per testi era stata espletata nel 2010, a oltre 3 anni e mezzo dall'accadimento, con la conseguenza che i ricordi, in detta sede, potevano essere non più nitidi e chiari come nell'immediatezza dei fatti. Inoltre la Corte d'Appello non aveva considerato il comportamento tenuto dal F. successivamente, atteso che lo stesso, in sede di giustificazione, aveva affermato di avere chiesto il permesso dì andare al bar e non avendo ricevuto indicazioni in contrario vi si era recato per bere un caffè. Assume la ricorrente che nessuna persona sobria si azzarderebbe ad abbandonare il posto di lavoro per recarsi al bar esterno presenti due superiori che erano andati a redarguirlo. La certificazione medica prodotta dal F. riguardava solo gli anni 2005, 2007 e 2009, ma non l'hanno 2006, e tale circostanza non era stata valutata. 3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 45 del RD n. 148/1.931, in relazione all'articolo 360, n. 3, cpc. Erroneamente, la Corte d'Appello ha ritenuto che non risultava provata l'esistenza di una causa proporzionata alla sanzione espulsiva adottata, sia in relazione al fatto previsto dai n. 12, comma 1, dell'articolo 43 del citato RD n. 148/1931 che prevede la destituzione per chi durante il servizio in funzioni attinenti la sicurezza dell'esercizio è trovato in stato di ubriachezza , atteso che il F. era addetto alla custodia, sia in relazione all'abbandono del posto di lavoro, in quanto avvenuto per un tempo limitato, sempre in presenza delle predette mansioni, che anche nei casi più gravi è punito con sanzione conservative artt. 41 e 42 del citato RD . In proposito, la ricorrente ha rilevato che, mentre la Corte d'Appello sembrava ipotizzare che le mansioni svolte dal lavoratore di addetto alla custodia non consentissero la riconducibilità dell'addebito alla sanzione espulsiva, il F. svolgeva mansioni attinenti alla sicurezza, e la sanzione espulsiva era prevista per coloro che, svolgendo tali compiti, vengono trovati in stato di ubriachezza. 3.1. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi, che pur rubricati come vizi di violazione di legge, attengono specificamente all'accertamento del fatto ed alla valutazione delle prove, di cui chiedono, nella sostanza, un nuovo vaglio, sono inammissibili in ragione della novella dell'articolo 360, n. 5, cpc, che trova applicazione ratione temporis, nella fattispecie in esame. II testo vigente dell'articolo 360 cpc, n. 5, come sostituito, da ultimo, dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b , convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, a mente della quale è motivo di ricorso per cassazione un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto dì discussione tra le parti , infatti, trova applicazione nella fattispecie in esame, secondo quanto previsto dall'articolo 54, comma 3, della stessa legge, perché la sentenza gravata è stata pubblicata dopo I'11 settembre 2012. Come affermato dalle Corte a Sezioni Unite Cass., S.U., n. 8053 del 2014 , la riformulazione dell'articolo 360, primo comma, n. 5, cpc, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. n. 8053 del 2014 . La sentenza impugnata è ampiamente motivata, facendo specifico riferimento a tutte le prove testimoniali assunte e agli atti del giudizio. La Corte d'Appello con congrua e logica motivazione ha affermato che non era stata provata la sussistenza dello stato di ubriachezza rilevando, altresì che la relativa problematica, sussistente per il passato, sembrava superata e, d'altro canto, la prospettazione difensiva fondata sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento disciplinare da L. e C., riportate in ricorso, non censurano adeguatamente tale statuizione, atteso che gli stessi premettevano di non saper valutare se una persona era o meno in stato di ebbrezza. Né appare rilevante il richiamo alla mancata produzione di documentazione medica relativa al lavoratore per l'anno 2006, atteso che come sì è detto la Corte d'Appello vagliava la circostanza che lo stato di ebbrezza in passato aveva rappresentato un problema. La Corte d'Appello, inoltre, ha preso in esame il tempo dell’allontamento, ritenendo che lo stesso era intervenuto per un periodo limitato, circostanza non contraddetta dalle suddette dichiarazioni di L. e C., ed ha escluso che le funzioni di custodia potessero essere assimilate a quelle di sicurezza. In proposito, va rilevato che la ricorrente indica in modo generico i compiti che avrebbe dovuto svolgere il F. pag. 21 del ricorso verifica stato dei materiali in entrata e uscita, controllo del personale interno ed esterno, vigilanza dei veicoli ed automezzi e del patrimonio aziendale, controllo in uscita e rientro del servizio di linea , e che, a proprio avviso, dovevano far ritenere che l'essere addetto alla custodia implicava lo svolgimento di funzioni attinenti alla sicurezza, ma non sostanzia tale affermazione con alcun riferimento alla fonte normativa e negoziale della qualifica professionale del F. e alle relative mansioni specificatamente previste. Del tutto generico non venendo riportata la contestazione , è poi il richiamo ad un precedente procedimento disciplinare che avrebbe subito il F 4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, nonché dell'articolo 102, lettera b , del d.lgs. n. 112 del 1998, e dell'articolo 3 della legge della Regione Lombardia n, 1 del 2000, in relazione all'articolo 360, n. 3, cpc. Deduce la ricorrente che nella fattispecie in esame rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri non poteva trovare applicazione l'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, con la reintegra nel posto di lavoro. L'intervenuta abrogazione dei Consigli dì disciplina disposta dall'articolo 102, lettera b , dei d.lgs. n. 112 del 1998, nonché la previsione dell'articolo 3, comma 126, della legge reg. n. 1 del 2000 relativa alla soppressione delle funzioni amministrative svolte dalla Regione concernenti la nomina dei Consigli di disciplina ha avuto come conseguenza la possibilità di applicare le norme processuali e procedurali di cui alla legge n. 300 del 1970, ma non quanto sancito dall'articolo 18 dello stesso con riguardo alle conseguenze della declaratoria di illegittimità del licenziamento. 4.1. Il motivo non è fondato, dovendosi ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte cfr. Cass. n. 26115 del 2014, n. 17436 del 2015, n. 16582 del 2015, n. 11547del 2012 secondo cui, in virtù della forza espansiva di cui sono dotate, le disposizioni contenute nell'articolo 18 legge n. 300 dei 1970 si applicano a tutte le ipotesi di invalidità del recesso del datore di lavoro, qualora non assoggettate ad una diversa e specifica disciplina e, quindi, anche al licenziamento degli autoferrotranvierì, non essendo a ciò di ostacolo la speciale disciplina della destituzione, di cui all'articolo 45 dei r.d. n. 148/31. Né argomenti in senso diverso possono trarsi dalla disciplina richiamata dal ricorrente. 5. II ricorso deve essere rigettato. 6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in ragione della limitata difesa svolta dal controricorrente che non ha partecipato all'udienza pubblica, ed il cui atto è inammissibile. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 1.500,00 euro millecinquecento per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del dPR n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, per il ricorso principale , a norma dei comma 1-bis, dello stesso articolo 13.