Il lavoratore svolge due attività per la stessa ditta? Conta quella prevalente

Se il datore di lavoro svolge due attività diverse ma non autonome, la disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro deve essere individuata con riguardo all’attività prevalente.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17779/16, depositata l’8 settembre. Accadeva che La Corte d’appello di Cagliari, chiamata a pronunciarsi sul rapporto di lavoro intercorso tra un’azienda ed un uomo, affermava che vi si doveva applicare il CCNL Commercio per la prevalenza dell’attività di vendita rispetto a quella di manutenzione e riparazione di macchinari compiuta dal dipendente, essendo stato egli adibito ad entrambe le attività in questione. Nel CCNL Metalmeccanici Artigiani, applicato al rapporto di lavoro oggetto di controversia, infatti, non era elencata l’attività effettivamente svolta dal lavoratore che, tra l’altro, aveva nel coso del tempo arricchito il suo bagaglio culturale e aveva visto attribuirsi, per tale motivo, qualifiche via via crescenti. L’azienda, a fronte del sostanziale riconoscimento delle ragioni del dipendente che la condannava a corrispondergli una somma di denaro, ricorre per cassazione. Conta l’attività prevalente La Corte di Cassazione condivide pienamente le conclusioni dei Giudici d’appello secondo i quali la ditta svolgeva due attività, di vendita e di manutenzione e che, nel caso del dipendente, la prima era prioritaria rispetto alla seconda. Inoltre, l’attività svolta dall’azienda non era inclusa tra quelle del CCNL settore Metalmeccanici Artigiani. In particolare, gli Ermellini affermano che, se il datore di lavoro svolge due attività diverse ma non autonome, la disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro deve essere individuata con riguardo all’attività prevalente riprendendo un esempio della stessa Cassazione, se un ottico svolge prevalentemente l’attività di vendita di occhiali rispetto a quella di montaggio e di riparazione delle lenti, è applicabile la disciplina collettiva del settore commerciale. anche in riferimento al trattamento economico. Individuata la disciplina collettiva di riferimento, si dovranno applicare tutte le norme del CCNL scelto, anche in riferimento al trattamento economico. Diversamente, nel caso in cui la normativa invocata dal lavoratore non sia recepita dal datore di lavoro, parametro di riferimento sarà l’art. 36 Cost., escludendo, quindi, gli istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale, come la quattordicesima. Per tutto quanto detto, il ricorso si intende respinto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 giugno – 8 settembre 2016, n. 17779 Presidente Bronzini – Relatore Boghetich Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 13 luglio 2011 la Corte di appello di Cagliari, Sezione civile, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Oristano, ha accertato che nell’ambito del rapporto di lavoro svolto tra C.M. e Dattilotecnica di I.S. dal 6.7.1987 al 12.1.2004 doveva applicarsi il CCNL Commercio e che al lavoratore spettava la qualifica corrispondente al V livello per i primi diciotto mesi, al IV livello per il periodo successivo sino all’11.4.1995, al III livello per il periodo finale, con conseguente condanna della Ditta al pagamento della complessiva somma di 52.307,10, oltre accessori di legge. Rilevava la Corte che l’assoggettabilità del rapporto alla disciplina del CCNL Commercio si evinceva, oltre che dalla mancata specifica contestazione dei relativi presupposti da parte del datore di lavoro, dall’accertata prevalenza dell’attività di vendita rispetto a quella di riparazione e manutenzione di macchinari, dall’adibizione del C. ad entrambe le attività, dalla mancata elencazione nell’invocato CCNL Metalmeccanici Artigiani di attività quali quella svolta dalla Dattilotecnica il C. aveva progressivamente arricchito il suo bagaglio culturale e per tale ragione poteva riconoscersi l’attribuzione di qualifica via via crescenti nel tempo. Per la cassazione della sentenza impugnata ricorre il titolare della Ditta proponendo tre motivi di ricorso. Il C. è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. circa l’applicabilità del CCNL Commercio avendo, la Corte territoriale, confermato - sul punto - la decisione del giudice di primo grado sulla base di ragionamenti logico-deduttivi anziché su dati e/o valutazioni empiriche avendo definito l’attività artigianale complementare a quella commerciale ed avendo ritenuto il C. adibito sia all’attività commerciale sia a quella di manutenzione di macchinari. 2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e della normativa dei contratti collettivi nazionali di lavoro avendo, la Corte, omesso ogni motivazione circa il terzo motivo di gravame concernente l’applicazione di tutti gli istituti retributivi disciplinati dal CCNL Commercio anziché, come ritenuto più corretto dalla ditta, della sola paga base presa quale parametro di riferimento. 3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 194 c.p.c. essendosi limitato, il CTU contabile nominato dalla Corte territoriale, di utilizzare i dati delle somme percepite dal C. come risultanti dalla relazione peritale svolta in primo grado sulla base dei prospetti paga acquisiti anziché chiedere chiarimenti alle parti, assumere informazioni, far intervenire le parti alle operazioni peritali. 4. I motivi presentano molteplici profili di inammissibilità e, in ogni caso, non meritano accoglimento. 5. Il ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte vizi della sentenza rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 nella parte in cui il giudice del merito ha accertato, alla luce delle risultanze probatorie, l’applicazione del CCNL settore Commercio, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertata e ricostruita dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili , non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logicoformale e della correttezza giuridica - delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile . Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto cfr. S. U., Sentenza n. 26242 del 2014 . Deve anche rilevarsi che - ove il ricorrente lamenta l’insufficiente valutazione delle deposizioni dei testimoni in relazione alla loro qualità di clienti e, quindi, di sporadici frequentatori del negozio-laboratorio - non è trascritta alcuna deposizione, né vengono indicati i nomi dei testimoni, in violazione del principio di autosufficienza che impone che nel ricorso per cassazione, allorquando viene denunciata l’omessa valutazione di un elemento di prova, come di alcune deposizioni testimoniali, è necessario, a pena d’inammissibilità del ricorso, che il motivo di impugnazione specifichi i nomi dei testi e le relative deposizioni pretermesse ed indichi le ragioni del carattere decisivo di esse, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso, il controllo deve essere consentito alla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative cfr., tra le altre, Cass. 18.10.2004 n. 20397 Cass. 5.3.2003, n. 3284 . La Corte territoriale ha rilevato che la ditta svolgeva due attività, di vendita e di manutenzione che il rapporto di lavoro di una dipendente, Co.Ma. , era disciplinato dal CCNL settore Commercio, mentre quello degli altri colleghi compreso il C. era regolato dal CCNL settore Metalmeccanici Artigiani che le risultanze istruttorie dimostravano che l’attività di vendita di macchine, attrezzature, mobili per uffici era prioritaria, mentre era complementare, e meramente eventuale, quella assistenza tecnica di manutenzione e riparazione dei macchinari venduti fotocopiatrici, fax, stampanti, personal computers l’istruttoria aveva altresì dimostrato che il C. si occupava di entrambe le attività che l’attività svolta dalla ditta non risultava inclusa nell’elenco delle imprese soggette all’applicazione del CCNL settore Metalmeccanici Artigiani, così come delineato dalle stesse parti sociali nella parte dedicata alla Sfera di applicazione della contattazione. La Corte ha, quindi, con processo logico-giuridico esauriente, confermato la statuizione del giudice di primo grado circa l’applicazione del CCNL settore Commercio. È stato già affermato che nel caso in cui il datore di lavoro svolga due diverse ma non autonome attività, l’individuazione della disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 2070 c.c., con riguardo all’attività prevalente Cass. n. 4572/1987, che ha statuito che, nel caso in cui l’attività di vendita di articoli ottici, svolta dal datore di lavoro, prevalga su quella di montaggio e riparazione di lenti, è applicabile la disciplina collettiva per il settore commerciale, anziché quella per il settore degli artigiani metalmeccanici, restando in contrario irrilevanti sia l’iscrizione di tale soggetto all’albo delle imprese artigiane come fotografo-ottico sia la circostanza che l’ispettorato del lavoro abbia autorizzato l’assunzione del lavoratore come apprendista aggiustatore e montatore di lenti cfr. altresì Cass. n. 3229/1993 . L’accertata volontà delle parti del rapporto di lavoro di sottoporsi alla disciplina collettiva comporta l’applicazione di tutte le clausole contenute nel CCNL nel caso di specie, settore Commercio , compresa la regolamentazione dettata con riguardo al trattamento economico. Diversamente, nel caso in cui si accerti che il CCNL invocato dal lavoratore non era recepito dal datore di lavoro, il giudice di merito deve verificare l’adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., e in tal caso, non può fare riferimento a tutti gli elementi e gli istituti retributivi che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma deve prendere in considerazione solo quelli che costituiscono il cosiddetto minimo costituzionale, con esclusione degli istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale, come la quattordicesima mensilità, la cui eventuale considerazione nel caso concreto da parte del giudice di merito richiede una specifica e adeguata motivazione cfr. Cass. n. 15148/2008 . Non risulta, pertanto, omessa, da parte della Corte territoriale, la trattazione del terzo motivo di gravame concernente la contestata applicazione di tutti gli istituti retributivi previsti dal CCNL settore Commercio, trattandosi di conseguenza funzionale all’accertamento compiutamente svolto dal giudice di merito dell’applicazione, in azienda, della contrattazione collettiva invocata dal C. . La censura relativa alle operazioni peritali svolte dal CTU è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle relazioni peritali di primo e secondo grado , fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224 Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698 Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726 . 6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese, in considerazione della mancata costituzione del lavoratore. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.