Ridistribuire le mansioni del licenziato: si può fare?

La redistribuzione delle mansioni affidate al lavoratore licenziato è compatibile con il giustificato motivo oggettivo, purchè sia riconducibile ad un effettivo riassetto organizzativo, stabile, non meramente contingente e comunque, ferma restando l’effettiva soppressione del posto di lavoro.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14306/2016, depositata il 13 luglio. Licenziare e rimescolare le carte in gioco Un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo impugnava il suo licenziamento, lamentandone l’illegittimità sotto il profilo della mancata soppressione del posto di lavoro. Successivamente al suo licenziamento, infatti, il datore di lavoro avrebbe ridistribuito le mansioni affidate al licenziato ad altri dipendenti, il cui contratto di lavoro veniva contestualmente trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato. La società datrice di lavoro si difendeva sostenendo che le conversioni dei contratti a termine non potevano essere considerate come nuove assunzioni, poiché riguardavano personale già in forza al momento del licenziamento inoltre, ben sarebbe stato possibile sopprimere alcune mansioni le più qualificate e mantenerne altre, che ben potevano essere affidate ad altri lavoratori, anche con qualifiche inferiori rispetto a quella del lavoratore licenziato. In primo luogo, la Corte di Cassazione specifica come la redistribuzione delle mansioni sia compatibile con la nozione di giustificato motivo oggettivo essa non lo esclude, a condizione che sia riconducibile ad un effettivo riassetto organizzativo, non passeggero, e comunque volto ad una riduzione dei costi. Resta, in ogni caso ferma, la necessaria soppressione del posto di lavoro, ma ciò non significa che sia necessario sopprimere tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo – e dovendo – le stesse essere - quanto meno - quelle prevalentemente esercitate dal licenziato. Nel caso di specie, la società ricorrente in Cassazione licenziava per giustificato motivo oggettivo, senza provare l’effettivo venire meno delle mansioni svolte dal lavoratore licenziato anzi, il datore di lavoro affidava le stesse a lavoratori assunti dopo qualche mese ancorchè già occupati con contratti a termine e, così facendo, ammetteva che non si trattava di una vera e propria riorganizzazione aziendale, quanto piuttosto della volontà di convertire alcuni contratti di lavoro a tempo determinato in contratti stabili. L’insieme di queste circostanze, secondo la Suprema Corte, dimostrerebbe la persistente utilità delle mansioni del lavoratore licenziato e la mera opportunità per l’azienda di affidare le stesse a dipendenti che avrebbero potuto impugnare i propri contratti a terminecon pesanti oneri per l’azienda. La Corte di Cassazione, quindi, cassa con rinvio la sentenza impugnata si possono ridistribuire le mansioni del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, ferma restando l’effettiva soppressione del posto di lavoro. L’aliunde perceptum bilancia per il risarcimento del danno. L’indennità risarcitoria spettante al lavoratore illegittimamente licenziato deve, ex lege , tenere conto dell’ aliunde perceptum , ossia dei compensi e/o retribuzioni che il lavoratore licenziato ha percepito in forza di un’occupazione diversa e, generalmente, reperita dopo il licenziamento e a causa di esso. Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva tempestivamente allegato e documentato in sede di merito l’esistenza di un’altra attività lavorativa svolta dal lavoratore licenziato in seguito ed a causa del licenziamento. Tale circostanza non veniva contestata dal lavoratore, pertanto l’ aliunde perceptum era certamente detraibile dall’indennità risarcitoria a lui spettante. In proposito la Corte di Cassazione sottolinea il principio della compensatio lucri cum damno ” i compensi percepiti altrove” possono essere detratti dall’indennità quando il lucro è conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso. Quindi, se il lucro aliunde perceptum sorge a causa del licenziamento, allora è detraibile dall’indennità se, invece, il lucro non trova la sua origine nel licenziamento o preesisteva ad esso, allora non rileva, non è detraibile dall’indennità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 aprile – 13 luglio 2016, numero 14306 Presidente Venuti – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, l’ing. P.B.R. impugnava la sentenza numero 5896/12 emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, con la quale era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento intimatogli il 3.5.2010 dalla s.p.a. Apreamare per giustificato motivo oggettivo e ritenuta assorbita l’impugnativa di un secondo licenziamento intimatogli per motivi disciplinari il 27.5.2010 , lamentando non solo che l’attività di logistica e programmazione, della quale era responsabile, non era stata soppressa, ma erano stati assunti poco dopo, con contratto a tempo indeterminato, 11 lavoratori, a seguito della conversione dei loro contratti a tempo determinato. Ribadiva, poi, l’illegittimità anche del licenziamento disciplinare successivamente intimatogli in data 27.5.2010 - non esaminato dal primo giudice, che aveva ritenuto la legittimità del primo licenziamento - sia per la inesistenza degli addebiti che per la loro assoluta lievità con relativa sproporzione della sanzione espulsiva . Concludeva pertanto per la riforma della impugnata sentenza, con accoglimento dell’impugnative di licenziamento e reintegrazione nel proprio posto di lavoro, con condanna al risarcimento dei danni subiti, quantificati nelle retribuzioni medio tempore maturate. Si costituiva la società Ferretti che evidenziava l’inammissibilità dell’appello proposto nei suoi confronti in quanto privo di doglianze e conclusioni ad essa riferite. Eccepiva quindi la sua improcedibilità per violazione dell’art. 435, comma 2, c.p.c Si costituiva anche la Apreamare s.p.a. che contestava quanto ex adverso sostenuto e difendeva la correttezza della impugnata sentenza. Con sentenza depositata il 21 novembre 2014, la Corte d’appello di Napoli dichiarava la inammissibilità dell’appello proposto nei confronti della s.p.a. Ferretti, compensando le spese accoglieva per il resto il gravame e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza dichiarava l’illegittimità sia del licenziamento intimato al P. in data 3.5.2010, sia del successivo recesso del 27.5.2010 ordinava la immediata reintegra del P. nel proprio posto di lavoro condannava la società Apreamare al pagamento di una indennità, a titolo risarcitorio, pari alle mensilità medio tempore maturate dalla data del primo licenziamento alla effettiva reintegrazione, quantificate in Euro 4.376,29 lorde mensili, oltre accessori, fino al soddisfo condannava la s.p.a. Apreamare al pagamento, in favore del P. , delle spese del doppio grado. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Apreamare, affidato a tre motivi. Resiste il P. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1.- Con il primo, articolato, motivo la società ricorrente denuncia, con riferimento al primo licenziamento per g.m.o. omessa pronuncia con violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost. omesso esame di un fatto e di prova documentale decisivo/a violazione degli artt. 1418 c.c. e 1 d.lgs. numero 368/01 violazione dell’art. 3 L. numero 604/1966 e 41 Cost. violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cc., oltre che di vizio motivo con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ed all’omesso esame di prove decisive. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne illegittimo il licenziamento 3.5.10 esclusivamente sulla base della circostanza che l’azienda aveva provveduto, dopo circa due mesi dal recesso, a convertire in rapporti di lavoro a tempo indeterminato 11 contratti a termine già in essere e secondo la ricorrente invalidi , assegnando a due di tali lavoratori parte dei compiti precedentemente svolti dal P. . Evidenzia che trattavasi di lavoratori già occupati e dunque non realizzanti alcun incremento occupazionale e comprovanti l’impossibilità di adibire il P. alle mansioni da essi svolte prima del licenziamento del P. , con contratti a termine invalidi ex art. 1 d.lgs numero 368 /01 che necessitavano di essere convertiti. Lamenta che la corte di merito non valutò minimamente tali decisive circostanze, non spiegando in particolare perché le conversioni di contratti a termine in tesi nulli, dovevano ritenersi nuove assunzioni, tanto più che è ben consentito all’impresa in tesi in crisi e che intenda ridurre i costi del lavoro, sopprimere una posizione lavorativa, distribuendo le relative mansioni tra il personale occupato . Lamenta ancora che il licenziamento del P. era diretto a sopprimere la sua posizione di quadro preposto al settore Logistica e Programmazione e non anche quelle inferiori presenti in azienda cui potevano essere affidate parte delle mansioni del primo P. . Si duole ancora che la sentenza impugnata non avesse adeguatamente valutato la crisi produttiva dell’azienda, escludendola nonostante la prova per testi, ed i bilanci 2007-2010 prodotti, da cui risultava una riduzione della produzione di oltre il 30%. 1.1- Il motivo presenta ampi profili di inammissibilità, ed è per il resto infondato. Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto posta dal giudice a fondamento della decisione id est del processo di sussunzione , sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata ipotesi non ricorrente nella fattispecie al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma numero 5 c.p.c. oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione Cass. sez. unumero 7 aprile 2014, numero 8053 , coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti ipotesi ricorrente nel caso in esame . Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione si sostanzia in un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, limitato al generale controllo motivazionale quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12 e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, numero 5 c.p.c Deve allora rimarcarsi che Il nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, numero 6 e all’art. 369 c.p.c., comma 2, numero 4 , - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando nel quadro processuale tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso Cass. sez. unumero 22 settembre 2014 numero 19881 . Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato numero 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito. Quanto alla redistribuzione delle mansioni, poi, ferma restando l‘inammissibilità di nuovi e diversi accertamenti di fatto in sede di legittimità, questa Corte ha già chiarito Cass. 1giugno 2012 numero 8846 Cass. 21 novembre 2011 numero 24502 Cass. 24 maggio 2011 numero 11356 Cass. 2 ottobre 2006 numero 21282 che tale operazione può rientrare nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, purché riconducibile ad un effettivo riassetto organizzativo, stabile e non meramente contingente. Questa Corte ha anche chiarito Cass. numero 11402/12, pure invocata dalla ricorrente che ai fini della configurabilità della soppressione del posto di lavoro integrante giustificato motivo oggettivo di licenziamento non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo e dovendo le stesse essere almeno quelle prevalentemente esercitate in precedenza dal lavoratore . Nella specie, come risulta dalle stesse deduzioni della società ricorrente essa provvide a licenziare il P. , senza provare l’effettivo venir meno delle mansioni da esso svolte, provvedendo anzi ad affidare parte delle stesse a lavoratori assunti dopo qualche mese ancorché già occupati con contratti a termine , per un verso così confermando la necessità di mantenere la posizione lavorativa svolta dal P. , per altro verso ammettendo che non si trattò di effettiva riorganizzazione aziendale, bensì della volontà dell’azienda di assumere con contratti a tempo indeterminato lavoratori già occupati con contratti a termine, in quanto ritenuti illegittimi. Tale circostanza, peraltro priva di adeguate allegazioni, nulla prova in ordine alla effettiva soppressione delle mansioni affidate al P. , dimostrando, al contrario, la persistente utilità delle mansioni svolte dal lavoratore, e la mera opportunità per l’azienda di affidare le stesse a dipendenti che avrebbero potuto impugnare i contratti a tempo determinato con essa instaurati. 2.- Con riferimento al secondo licenziamento per giusta causa del 27.5.10 la società denuncia una omessa pronuncia con violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. una omessa motivazione, con violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost. l’omesso esame di un fatto e di prove decisive per il giudizio, con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., nonché dell’art. 3 L. numero 604/1966. Lamenta che la corte di merito ritenne erroneamente, ed in violazione delle norme indicate, insussistente il fatto addebitato e segnatamente l’avere il P. reiteratamente ed anche scorrettamente, fornendo erronee indicazioni circa il suo domicilio ostacolato l’attività aziendale di consegna ed invio di provvedimenti il suo licenziamento e controlli di malattia inerenti il suo rapporto di lavoro. Lamenta che la sentenza impugnata non considerò e dunque non esaminò, neppure dando ingresso alla prova, che non viene meglio specificata il fatto decisivo che il dipendente utilizzò fraudolentemente il ricorso alla malattia in tesi inesistente , indicandola come causa della sua assenza che derivava invece dal licenziamento. Lamenta dunque la violazione dei principi di cui agli artt. 2119 e 2106 c.c., essendo le circostanze falsa rappresentazione di malattia non reperibilità per i relativi controlli, con non veritiere indicazioni del suo domicilio, rifiuto di sottoscrivere per ricevuta la lettera di licenziamento in questione particolarmente gravi. Il motivo è inammissibile per le ragioni sopra dette solo la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, mentre l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione inerisce ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, limitato all’omesso esame di uno o più fatti storici decisivi, in base al novellato art. 360, comma 1, numero 5 c.p.c Nella specie la corte di merito ha ampiamente esaminato i fatti in questione, di cui la società ricorrente richiede inammissibilmente in questa sede una diversa ricostruzione. Deve inoltre evidenziarsi che la esposizione dei fatti in questione, non risulta rispettosa dell’art. 366 c.p.c., affidandosi, più che ad una originale sintesi degli stessi, alla riproduzione del testo di numerosi documenti cfr. per l’inammissibilità di simile censura, Cass. numero 17168/12, Cass. numero 593/13, Cass. numero 10244/13 , demandando peraltro a questa Corte la selezione delle parti rilevanti e quindi una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità Cass. 7 febbraio 2012 numero 1716 . 3.- Con riferimento alla condanna al risarcimento del danno ex art. 18 L. numero 300/1970, la società formula le seguenti doglianze omessa motivazione e violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost. omesso esame di fatti e prove decisive omessa applicazione del principio di non contestazione, oltre a violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. violazione degli artt. 2909, 1227, comma 2, c.c., 18 L. numero 300/1970 e violazione del principio secondo cui il giudice, in presenza di eccezione di aliunde perceptum, deve rilevare d’ufficio le cause emergenti dagli atti processuali che possano comportare la riduzione del risarcimento in questione. 3.1- Il motivo è fondato. La società risulta infatti aver tempestivamente allegato e documentato in sede di merito la sussistenza di altra attività lavorativa svolta dal P. in seguito ed a causa del licenziamento in questione lo svolgimento di attività lavorativa presso la società TECNAV dal luglio 2010, circostanza in verità neppure esplicitamente contestata dal lavoratore , e dunque la detraibilità di tale aliunde perceptum da parte del lavoratore a causa della perdita del posto di lavoro. Deve infatti rimarcarsi che il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso Cass. n 12248/13, Cass. numero 4146/11, Cass. numero 4950/2010, Cass. numero 18837/10, Cass. n 7453/2010 . La sentenza impugnata si limita, erroneamente, ad affermare che trattavasi di circostanza non provata ed avente un carattere meramente esplorativo cfr. pag. 7 , sicché essa va cassata, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia sul punto. 4. In conclusione mentre debbono rigettarsi i primi due motivi, il terzo merita accoglimento, come da dispositivo. L’accoglimento sia pur parziale del ricorso esclude l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228 in materia di raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte accoglie la censura in ordine all’aliunde perceptum e rigetta le restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.