Licenziamento intempestivo: la prova del momento in cui si accertano i fatti da addebitare al lavoratore arriva troppo tardi

Il principio della immediatezza della contestazione dell’addebito e quello della tempestività del recesso datoriale, la cui ratio riflette l’osservanza della regola della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili con un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente.

Con sentenza n. 10839, depositata in cancelleria il 25 maggio 2016, la Suprema Corte di Cassazione ha esaminato il seguente caso relativo ad una ipotesi di licenziamento disciplinare. Il caso. Con ricorso al Tribunale di Taranto, il ricorrente agiva nei confronti del Banco di Napoli impugnando il licenziamento intimatogli per ragioni disciplinari, chiedendo di accertarne la nullità , con la condanna di parte convenuta alla reintegra ed al risarcimento del danno. La Corte d’appello di Lecce, in accoglimento dell’appello del lavoratore, dichiarava la nullità del licenziamento e condannava il Banco di Napoli alla reintegra del ricorrente ed al pagamento delle mensilità maturate dal licenziamento alla reintegra. La Corte territoriale riteneva infatti fondata la censura di intempestività del licenziamento disciplinare irrogato per fatti sanzionati dopo tre mesi dalla audizione del dipendente. Ricorre per cassazione la società rilevando che per valutare la tempestività della contestazione occorreva aver riguardo al momento in cui era stata completata la relazione ispettiva che aveva accertato i fatti addebitati. Con il secondo motivo la società lamenta omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, relativo al momento in cui erano stati ultimati gli accertamenti ispettivi. Con il terzo, deduce la mancata considerazione del metodo con cui venivano recepite dal sistema centralizzato le segnalazioni di operazioni anomale di tutte le filiali in Italia, che venivano poi smistate agli uffici distaccati dell’Internal auditing e verificate singolarmente. Infine, con il quarto motivo, lamenta il non aver considerato come giusta causa di licenziamento una questione attinente alla natura altamente fiduciaria del rapporto di lavoro bancario e dunque grave. Fondamentale il requisito dell’immediatezza della contestazione. La Corte analizza congiuntamente i primi tre motivi. Nella fattispecie, la Corte di merito ha ritenuto la intempestività del licenziamento, da un lato sotto il profilo del pregiudizio del diritto di difesa del dipendente, dall’altro, sotto il profilo della mancanza di prova del momento in cui le operazioni compiute dal lavoratore erano state segnalate dal sistema centralizzato, del momento in cui gli uffici territoriali competenti avevano acquisito la documentazione e del momento in cui ne avevano concluso l’esame. Il primo dato concerne solo il momento conclusivo dell’accertamento ispettivo e non anche la successione temporale segnalazione dell’operazione da parte del sistema centralizzato, acquisizione della documentazione, completamento del suo esame. Il secondo dato è stato ritenuto generico e non attinente alle specifiche operazioni effettuate dal dipendente. Sulla base di tale accertamento, la Corte di merito ha poi correttamente ritenuto la intempestività della contestazione, non avendo il datore di lavoro adempiuto al suo onere di fornire la prova del momento in cui aveva avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore, così da consentire il necessario contemperamento tra le esigenze dell’impresa e il diritto di difesa del dipendente. Resta assorbito l’esame del quarto motivo di ricorso che deve essere, dunque, rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 marzo – 25 maggio 2016, n. 10839 Presidente Venuti Relatore Spena Fatto Con ricorso al Tribunale di Taranto del 7.1.2011 S.F. agiva nei confronti del Banco di Napoli impugnando il licenziamento intimatogli per ragioni disciplinari in data 11.10.2010, chiedendo accertarsene la nullità o illegittimità, con condanna di parte convenuta alla reintegra ed al risarcimento del danno. Esponeva che gli addebiti si riferivano alla irregolarità di operazioni compiute. II Tribunale di Taranto rigettava la domanda. La Corte di Appello di Lecce, in accoglimento dell'appello del lavoratore, con sentenza del 9.11/6.2.2013 nr. 18/2013 , dichiarava la nullità del licenziamento e condannava la società Banco di Napoli spa alla reintegra del S. ed al pagamento delle mensilità maturate dal licenziamento alla reintegra. La Corte territoriale riteneva fondata la censura di intempestività del licenziamento disciplinare, irrogato per fatti risalenti al 9.9.2008, contestati in data 16 giugno 2010 e sanzionati dopo tre mesi dalla audizione del dipendente il 13 luglio 2010 . Rilevava che il ritardo della contestazione non poteva essere giustificato dalla complessità dell'accertamento, in quanto il meccanismo di controllo descritto dai testi prendeva avvio dal monitoraggio eseguito dal sistema centralizzato, che segnalava subito operazioni potenzialmente anomale. In ogni caso il Banco non aveva fornito la prova delle concrete scansioni temporali dell'accertamento, dalla prima segnalazione delle operazioni contestate, alla successiva attività di acquisizione ed esame della documentazione. In ogni caso, nel merito, rilevava la insussistenza della gravità degli addebiti, che riguardavano tre operazioni di bonifico eseguite in data 9.9.2008 utilizzando modulistica non sottoscritta dai clienti ordinanti o recante causali non pertinenti con le quali veniva costituita una provvista di € 421,73 in favore della cliente Shopping sport sri , in condizioni di credito problematico per avere sconfinato dal fido la provvista veniva utilizzata dalla beneficiaria due giorni dopo per compiere un bonifico, a saldo di una fattura emessa dalla TL CONFEZIONI. Osservava che l'operazione di pagamento della fattura bonifico in sconfinamento era stata autorizzata dal direttore della filiale, che nessuno dei tre clienti ordinanti le sorelle C. e A.R., la MD Gestioni snc, la autocarrozzeria Taras di B.C. aveva avanzato reclami ed anzi il cliente B., sentito come teste, aveva confermato di avere autorizzato il prelievo per sponsorizzare una manifestazione sportiva, che la prassi consentiva ai clienti di impartire disposizioni telefoniche, che vi era un momento di confusione gestionale per il concomitante passaggio da Banca Intesa a Banco Napoli tra il luglio ed il novembre 2008 , che mancava la prova della finalità del dipendente di aggirare il divieto di pagamenti extrafido. Per la Cassazione della sentenza ricorre la società Banco di Napoli spa , articolando quattro motivi. Resiste con controricorso S.F Banco di Napoli spa ha depositato memoria. Diritto 1. Con il primo motivo la società Banco di Napoli denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 cc anche in relazione all'articolo 7 L. 300/1970. Il motivo ha ad oggetto la statuizione di intempestività della sanzione disciplinare. La ricorrente rileva che per valutare la tempestività della contestazione occorreva avere riguardo al momento in cui era stata completata la relazione ispettiva che aveva accertato i fatti addebitati nella fattispecie di causa la relazione ispettiva era stata ultimata in data 7 maggio 2010 docomma 4 , come confermato anche dall'ispettore D.M. in sede di esame testimoniale . Inoltre sempre ai fini della valutazione della tempestività occorreva avere riguardo al momento della avvenuta conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro e non a quello, anteriore, della loro conoscibilità. La segnalazione della operazione da parte di un sistema di monitoraggio centralizzato poteva comportare la conoscibilità ma non la conoscenza effettiva della inadempienza del dipendente, che avrebbe richiesto una successiva verifica. Occorreva poi tenere conto dei tempi occorrenti per ricostruire e valutare la condotta dei lavoratore, della complessità della struttura aziendale, della posizione lavorativa dei dipendente. 2. Con il secondo motivo di ricorso la società lamenta omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, relativo al momento in cui erano stati ultimati gli accertamenti ispettivi. Sul punto oltre alla mancata contestazione da parte del dipendente vi era prova documentale relazione ispettiva , docomma 4 e prova testimoniale verbale delle dichiarazioni di D.M.S. . 3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia omesso esame circa un fatto decisivo dei giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, relativo alla ampiezza ed articolazione della attività di monitoraggio e verifica . Deduce la mancata considerazione del metodo con cui venivano recepite dal sistema centralizzato le segnalazioni di operazioni anomale di tutte le filiali in Italia, che venivano poi smistate agli uffici distaccati dell'Internal auditing e verificate singolarmente, come allegato in memoria difensiva e non contestato e confermato dai testi D.M. e P 4. Con il quarto motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 cc anche in relazione agli articoli 1175 e 1375 ccomma Assume che il fatto, anche come ricostruito dalla Corte di merito, integrava il concetto elastico di giusta causa di licenziamento dovendo essere considerata la natura altamente fiduciaria del rapporto di lavoro bancario, la gravità dei fatti commessi, che la stessa Corte di merito riteneva incontestati nonché sotto il profilo soggettivo, l'intenzionalità della condotta del dipendente di compiere la irregolarità ed il fine di agevolare il cliente Shopping Sport, quali risultavano da elementi di fatto trascurati dalla Corte di merito . Il primo, il secondo ed il terzo motivo, che devono essere esaminati conG.mente in quanto connessi, sono infondati. Essi investono la statuizione di intempestività della contestazione disciplinare elevata in data 16 giugno 2010 per fatti risalenti al 9 settembre 2008 e della successiva irrogazione della sanzione disciplinare, in data 11.10.2010. Come ripetutamente affermato da questa Corte e qui condiviso il principio della immediatezza della contestazione dell'addebito e quello della tempestività del recesso datoriale, la cui ratio riflette l'esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell'attuazione dei rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l'accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente ex plurimis Cass. Sez. lav. 14.5.2015 nr. 9903 4.2.2015 nr. 20121 23.1.2015 nr. 1247 11.9.2013 nr. 20823 10.9.2013 nr. 20719 . Rileva, inoltre, l'avvenuta conoscenza da parte dei datore di lavoro della situazione contestata e non l'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi Cass. sez. lav. n. nr. 25070/2013 20823/2013 n. 23739/2008, n. 21546/2007 . E' stato altresì precisato Cass. sez. lav. n. 1247/2015 n. 2507012013 n. 530812000 che il requisito dell'immediatezza della contestazione è posto a tutela del lavoratore ed è inteso a consentirgli un'adeguata difesa e che è onere del datore di lavoro fornire la prova del momento in cui ha avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore Cass. n. 21546/2007 . La valutazione delle circostanze di fatto che giustificano o meno il ritardo è riservata al giudice del merito Cass. nr. 25070/2013 nr. 1629112004 . Nella fattispecie di causa la Corte di merito ha ritenuto la intempestività del licenziamento, da un lato sotto il profilo del pregiudizio del diritto di difesa del dipendente, dall'altro sotto il profilo della mancanza di prova dei momento in cui le operazioni compiute dal S. erano state segnalate dal sistema centralizzato, dei momento in cui gli uffici territoriali competenti avevano acquisito la documentazione, dei momento in cui ne avevano concluso l'esame. Aggiunge la Corte territoriale che solo ove le concrete ragioni del ritardo fossero state provate avrebbe dovuto soccorrere un criterio di ragionevolezza attesa la necessità di contemperare le difficoltà dell'accertamento con quelle difensive dei dipendente, chiamato a giustificare il proprio operato a due anni di distanza' Il giudizio così espresso è immune dalle censure sollevate. In punto di fatto la società ricorrente indica, ai sensi dell'articolo 360 co.1 nr. 5 cpc, quali fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti e non esaminati in sentenza il momento di ultimazione degli accertamenti ispettivi, nel maggio 2010 la ampiezza ed articolazione della attività di monitoraggio e verifica eseguita dal Banco. Trattasi, tuttavia, di fatti esaminati nella sentenza impugnata e correttamente ritenuti non decisivi. Il primo dato concerne solo il momento conclusivo dell'accertamento ispettivo e non anche la successione temporale della segnalazione della operazione da parte dei sistema centralizzato, della acquisizione della documentazione, dei completamento dei suo esame. Il secondo dato è stato ritenuto generico e non attinente alle specifiche operazioni effettuate dal S Sulla base di tale accertamento in fatto la Corte di merito ha poi correttamente ritenuto la intempestività della contestazione, non avendo il datore di lavoro adempiuto al suo onere di fornire la prova dei momento in cui aveva avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore si da consentire, in un momento logicamente successivo, il necessario contemperamento tra le esigenze della impresa ed il diritto di difesa del dipendente. Resta assorbito l’esame del quarto motivo di ricorso,essendo la statuizione di intempestività della contestazione disciplinare autonomamente decisiva della lite. Le spese seguono la soccombenza. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi dell'articolo 1 co 17 L. 228/2012 che ha aggiunto il comma 1 quater all'articolo 13 DPR 115/2002 della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con attribuzione al difensore. Ai sensi dell'articolo 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma i bis dello stesso articolo 13.