Esigenze sostitutive giustificano l’assunzione a termine: sì, a patto che il datore di lavoro le provi

Nell’ipotesi in cui in un contratto di lavoro venga apposto un termine di durata, le ragioni che lo giustificano devono essere di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Se esse mancano, pur non essendoci nell’ordinamento una norma che sanzioni la loro assenza, poiché il termine è illegittimo, il contratto sarà nullo parzialmente, solo relativamente alla clausola che lo appone. Si instaura, di conseguenza, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

A dirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10742/16, depositata il 24 maggio. Dipendente a termine. Poste Italiane s.p.a. proponeva appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Roma aveva dichiarato la nullità del termine posto al contratto stipulato con un suo dipendente, la cui assunzione era stata determinata – a parere dell’appellante – per ragioni di carattere sostitutivo del personale assente. Tale causale, infatti, era ritenuta mancante dai giudici di primo grado così come insussistente era anche il rapporto di causalità tra la ragione sostitutiva e l’assunzione a termine dell’uomo. Poste Italiane s.p.a. propone, pertanto, ricorso in Cassazione. La prova relativa all’apposizione del termine grava sul datore di lavoro. La società ricorrente lamenta il fatto che secondo la Corte d’Appello capitolina deve essere il datore di lavoro a dover giustificare non solo le esigenze sostitutive poste a fondamento dell’apposizione del termine ma anche il rapporto di causalità tra queste e la singola assunzione. A suo parere è il lavoratore a dover fornire la prova di tali elementi, senza nessun tipo di inversione dell’onere probatorio. La Suprema Corte condivide l’assunto di secondo grado se la regola è che il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato e l’apposizione di un termine costituisce una deroga, la giustificazione dello stesso non può che gravare sul datore di lavoro, l’unico in grado di motivare le ragioni che rendono necessario il carattere temporaneo della prestazione. La clausola del termine è parzialmente nulla. In particolare, deve trattarsi di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. Se esse non sussistono, pur mancando nell’ordinamento una norma che sanzioni la loro assenza, poiché il termine è illegittimo, il contratto sarà nullo parzialmente, solo relativamente alla clausola che lo appone. Si instaura, di conseguenza, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Alla luce di quanto detto, il ricorso si intende respinto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 marzo – 24 maggio 2016, n. 10742 Presidente Nobile – Relatore Spena Fatto Con sentenza dell’1.4-17.5.2010 la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da Poste Italiana spa nei confronti di S.G. avverso la sentenza nr 3938/2006 del Tribunale di Roma, che aveva dichiarato la nullità del termine finale di durata apposto al contratto stipulato tra le parti ai sensi dell’art. 1 del D.lvo n. 368 del 2001 per il periodo dal 14 luglio 2004 al 30 ottobre 2004. per ragioni di carattere sostitutivo, correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’area operativa e addetto al servizio di recapito e trasporto presso la filiale di omissis , assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro . La Corte, dichiarato inammissibile il motivo di appello formulato in ordine alla specificità della causale, in quanto inconferente rispetto alle ragioni di accoglimento della domanda in primo grado, riteneva carente la allegazione delle circostanze di fatto idonee a provare non solo la effettiva esistenza della ragione sostitutiva Indicata nel contratto ma anche il rapporto di causalità tra tale esigenza e la assunzione a termine del S. . A tale fine, a giudizio della Corte Territoriale, Poste Italiane avrebbe dovuto indicare nella memoria difensiva le specifiche ragioni delle assenze del personale sostituito, la loro esatta durata, il numero e la collocazione aziendale del personale assente nell’ambito della realtà lavorativa cui il S. era stato addetto. Stante la genericità delle allegazioni contenute nella memoria difensiva, correttamente il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata. La Corte rigettava altresì il motivo di appello relativo alla assunta nullità dell’intero contratto per effetto della ritenuta nullità della clausola del termine. Da ultimo rigettava l’appello incidentale proposto dal S. in merito alla individuazione della decorrenza del risarcimento del danno dalla data di messa in mora alla data della sentenza. Avverso la sentenza propone ricorso la s.p.a. Poste Italiane, articolato in tre motivi. Resiste con controricorso S.G. , illustrato da memoria. Diritto 1.Con il primo motivo la società Poste Italiane denunzia - ai sensi dell’art. 360 co. 1 nr. 3 cpc. - violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per avere l’impugnata sentenza affermato che per ritenere soddisfatto il requisito formale di cui al comma due dell’articolo 1 era necessario inserire nel testo contrattuale elementi sufficienti al controllo della reale esistenza delle ragioni sostitutive. Il motivo è inammissibile in quanto inconferente rispetto ai contenuti della decisione impugnata. Nella sentenza oggetto di ricorso non è affatto ritenuta la violazione del requisito di specificità della causale la Corte di merito ha anzi dichiarato inammissibile il motivo di appello articolato sullo stesso punto da Poste Italiane, rilevando che già nel primo grado l’accoglimento della domanda era stato fondato non già sul rilievo di un vizio di forma della clausola del termine ma sulla omessa allegazione di elementi di fatto idonei a dimostrare la effettività della causale. 2. Con il secondo motivo la società ricorrente denunzia - ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 c.p.c. - violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 cc. Censura la sentenza per avere affermato che era onere della società allegare specifiche circostanze di fatto idonee a provare non solo la effettiva sussistenza della temporanea esigenza sostitutiva richiamata nella clausola di durata ma anche il rapporto di causalità tra tale esigenza e la singola assunzione. Assume che ai sensi dell’articolo 2697 cc è il lavoratore che agisce per l’accertamento della illegittimità della apposizione del termine ad avere l’onere di provare l’insussistenza delle ragioni poste dal datore di lavoro a fondamento della clausola del termine il carattere negativo del fatto da provare non determinava infatti la inversione dell’onere probatorio. Sotto il profilo della violazione dell’articolo 115 c.p.c. assume che la Corte territoriale era incorsa in vizio della motivazione e violazione dell’articolo 115 c.p.c. per non avere preso in esame le richieste istruttorie avanzate dalla società in primo grado - reiterate in appello - volte ad offrire la prova che nel periodo in considerazione i lavoratori a termine complessivamente assunti avevano coperto solo in minima parte le giornate di assenza del personale a tempo indeterminato. Il motivo è infondato quanto alla dedotta violazione della regola di riparto dell’onere probatorio di cui all’articolo 2697 cc. Questa Corte si è già pronunziata nel senso che l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate v. Cass. n. 2279/10 Cass. 21 maggio 2008 n. 12985 , rilevando come anche anteriormente alla esplicita introduzione del comma premesso dalle L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 39 secondo cui il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria. La attribuzione dell’onere probatorio al datore di lavoro trova conferma, poi, nel dato relativo alla vicinanza al datore di lavoro delle situazioni che consentono la deroga, anch’essa elemento normalmente significativo del conseguente carico probatorio in giudizio. Per quanto attiene al vizio di violazione dell’articolo 115 c.p.c.si precisa che l’errore di diritto viene in rilievo solo in caso di violazione delle regole di formazione della prova ovvero quando il giudice utilizzi prove non acquisite in atti articolo 115 c.p.c. . La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il suo potere di prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. In sostanza, la erroneità della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, regolata dagli art. 115 e 116 c.p.c., ridonda in vizio deducibile ex art. 360, n. 5, c.p.c. Cassazione civile, sez. III, 13/06/2014, n. 13547 . Nella fattispecie in esame il motivo, così correttamente riqualificato è inammissibile. Per assolvere all’onere di specificità imposto, a pena di inammissibilità, dall’articolo 366 nr. 6 c.p.c.parte ricorrente avrebbe dovuto indicare in ricorso i capitoli di prova formulati e non ammessi nonché l’atto in cui erano stati articolati onde consentire a questa Corte di valutare la tempestività della allegazione la sua specificità e la sua decisività. La società ricorrente si duole della mancata ammissione delle istanze istruttorie ma non provvede in alcun modo a specificarle. 3. Con il terzo motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 1,2 e 5 DLvo 368/2001 in relazione all’art. 1419 cc. La censura si riferisce al rigetto della dedotta nullità dell’intero contratto di lavoro. Il motivo è infondato. Questa Corte ha da tempo rilevato Cassazione civile, sez. lav., 27/03/2014 n. 7244 n. 2279/2010 21/05/2008, n. 12985 che pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza di ragioni giustificatrici o la nullità della clausola che le individui, dal sistema nel suo complesso e dai principi generali si ricava la nullità parziale della clausola del termine, conformemente a quanto statuito dalla Corte di merito. Come già rilevato in punto di attribuzione dell’onere della prova, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, ad. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo . Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE recepita con il richiamato decreto , e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato Cass. 27/03/2014 n. 7244 . Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, con attribuzione all’avv. Giovanna Cogo per dichiarato anticipo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.