La decadenza dall’impugnativa del licenziamento preclude anche la tutela risarcitoria di diritto comune

La decadenza dall’impugnativa del licenziamento, individuale o collettivo, preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, in quanto l’inadempimento del datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale, sia sul piano extracontrattuale, ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell’illegittimità del licenziamento. Pertanto, escluso il caso dell’azione volta a far dichiarare l’inesistenza del licenziamento per difetto del requisito ad substantiam della forma scritta – che è atto inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro, da considerarsi quindi ancora giuridicamente in atto – non si può considerare imprescrittibile l’azione diretta a far valere l’inefficacia del licenziamento in quanto azione di accertamento.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10343/16, depositata il 19 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’impugnazione proposta da una società avverso la sentenza che l’aveva condannata a reintegrare un lavoratore nel posto di lavoro e a corrispondergli le retribuzioni medio tempore maturate, previa dichiarazione di inefficacia del licenziamento. Secondo la Corte territoriale era infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società, posto che l’azione tesa a far valere la nullità del licenziamento per mancanza di uno dei requisiti del negozio nella specie, era stato violato l’obbligo di esame congiunto delle parti ex lege n. 223/91 ha natura dichiarativa ed è quindi da ritenere imprescrittibile. Con il ricorso per cassazione la società aveva eccepito che il lavoratore aveva impugnato il licenziamento quando ormai era già maturata la prescrizione quinquennale di cui all’art. 1442 c.c., di tal ché lo stesso sarebbe decaduto dall’azione, tenuto conto che – fatto salvo il caso del licenziamento verbale da ritenersi inesistente – tutte le altre forme di invalidità del recesso sono sottoposte alla disciplina speciale dell’impugnazione breve. Decadenza e prescrizione dell’impugnazione del recesso. Nel decidere la questione, la Suprema Corte compie una ricognizione sul sistema delle impugnazioni del recesso. Osserva la Corte di Cassazione che l’ordinamento prevede per la risoluzione del rapporto di lavoro una disciplina speciale, diversa da quella ordinaria, all’interno della quale è stato inserito un termine breve di decadenza per l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore al lavoratore che non abbia impugnato il recesso nel suddetto termine di decadenza è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale l’illegittimità del recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalla leggi speciali art. 8 l. n. 604/1966 e art. 18 l. n. 300/1970 . Preclusione della tutela risarcitoria di diritto comune. Peraltro, prosegue la Corte, se tale onere non viene assolto, il giudice non può conoscere dell’illegittimità del licenziamento neppure per ricollegare, di per sé, al recesso conseguenze di diritto comune. La decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, nella misura in cui non consente di far accertare in sede giudiziale l’illegittimità del licenziamento, anche nel caso di licenziamento collettivo affetto da vizi della procedura. Quanto alla correlata questione del regime della prescrizione quinquennale la Suprema Corte osserva che detta prescrizione determina, al pari dell’impugnativa del licenziamento, l’estinzione del diritto di far accertare l’illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, ad eccezione del caso del recesso orale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 gennaio – 19 maggio 2016, n. 10343 Presidente Di Cerbo – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 27/9 - 4/12/2012 la Corte d'appello di Napoli ha rigettato l'impugnazione proposta dalla I.C.G. - Ingegneria Costruzioni Generali s.p.a. in liquidazione avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che l'aveva condannata a reintegrare nel posto di lavoro T.F. e a corrispondergli le retribuzioni maturate dal 2.10.2003 fino all'effettiva riassunzione, previa dichiarazione di inefficacia del licenziamento. Nel respingere il gravame, la Corte territoriale ha spiegato che era infondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla società, trattandosi di licenziamento collettivo inefficace per violazione dell'obbligo di esame congiunto delle parti, oltre che illegittimo per violazione dei criteri legali di scelta dei lavoratori da licenziare e nullo per mancanza dei presupposti oggettivi, per cui l'azione tesa a far valere la nullità per mancanza di uno dei requisiti del negozio aveva natura dichiarativa ed era da ritenere imprescrittibile. Inoltre, secondo la stessa Corte, era infondata anche l'eccezione di intervenuta acquiescenza al licenziamento, avendolo il lavoratore impugnato due volte ed avendo il medesimo proposto per due volte il tentativo obbligatorio di conciliazione. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società I.C.G. - Ingegneria Costruzioni Generali s.p.a. in liquidazione con due motivi. Resiste con controricorso T.F Le parti depositano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1442 cod. civ., nonché degli artt. 4, commi 9 e 12, e 5, comma 3, della legge n. 223 dei 23.7.1991, oltre che dell'art. 18 della legge 2.5.1970 n. 300, evidenziando l'errore in cui è incorsa la Corte di merito nel dichiarare l'inefficacia del licenziamento, nonostante la controparte l'avesse impugnato oltre il termine di decadenza di sessanta giorni dalla sua avvenuta comunicazione. Al riguardo la ricorrente fa, altresì, notare quanto segue - Il licenziamento del 15.5.1997, intimato nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223/1991, era stato regolarmente impugnato la prima volta dal T. in data 20.5.1997 tale procedura era stata successivamente revocata, per essere poi rinnovata, ma la nuova impugnativa era stata proposta dal T. solo il 26.9.2003, cioè ad oltre cinque anni di distanza da quella precedente, allorquando era già maturata la prescrizione quinquennale di cui all'art. 1442 cod. civ. Orbene, secondo tale tesi difensiva, fatto salvo il caso del licenziamento verbale da ritenersi inesistente, il legislatore ha inteso parificare, sia nel termine di impugnazione che negli effetti della invalidazione, tutte le forme di invalidità del recesso, vale a dire quelle della illegittimità, della inefficacia e della annullabilità. Sarebbe, quindi, erronea, secondo la ricorrente, la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, secondo la quale, rispetto alla inefficacia dei negozio derivante dalla violazione degli obblighi di esame congiunto tra le parti nell'ambito della procedura di cui alla legge n. 223/1991, non opererebbe la prescrizione quinquennale prevista per l'azione di annullamento. 2. Col secondo motivo, proposto per omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente si duole dell'errore in cui è incorsa la Corte di merito nella parte in cui non le ha accolto l'eccezione sollevata con riferimento alla segnalata acquiescenza dei dipendente al licenziamento, in ragione dei notevole lasso di tempo trascorso prima della proposizione dell'azione giudiziaria da parte dei T. il quale, nelle more, aveva rinvenuto una nuova occupazione. Osserva la Corte che, con riferimento al primo motivo, diverse decisioni di questa Corte Cass. Sez. Lav. n. 5107 del 3.3.2010, n. 5545 del 9.3.2007 e n. 18216 del 21.8.2006 hanno avuto modo di modificare un precedente orientamento, precisando quanto segue - L'ordinamento prevede per la risoluzione dei rapporto di lavoro una disciplina speciale, diversa da quella ordinaria, all'interno della quale è stato inserito un termine breve di decadenza sessanta giorni per l'impugnazione dei licenziamento da parte del lavoratore L. n. 604 del 1966, art. 6, v, anche L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 all'evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici e garanzia della certezza della situazione di fatto determinata dal recesso datoriale, ritenendo tale certezza valore preminente. Ne consegue che al lavoratore che non abbia impugnato nel termine di decadenza suddetto il licenziamento è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità dei recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalle leggi speciali L. n. 604 del 1966, art. 8 e L. n. 300 del 1970, art. 18 . Peraltro, se tale onere non viene assolto, il giudice non può conoscere della illegittimità del licenziamento neppure per ricollegare, di per sè, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune. La decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, nella misura in cui non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del licenziamento. Né il sistema delle preclusioni può ritenersi diverso qualora si tratti, come nella fattispecie, dell'impugnativa riguardante vizi del procedimento del licenziamento collettivo, tanto che si è già chiarito Cass. Sez. Lav. n. 10235 del 4.5.2009 che la decadenza dall'impugnativa del licenziamento, individuale o collettivo, preclude l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, in quanto l'inadempimento dei datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale, sia sul piano extracontrattuale, ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell'illegittimità del recesso. Principio affermato in controversia in cui il lavoratore, pur non invocando l'applicazione, in suo favore, dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, aveva esperito unicamente azione risarcitoria per ritenuta illegittimità dei comportamento datoriale, ravvisata nel mancato rispetto dei criteri dettati dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 per l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, senza tuttavia allegare un diverso fatto ingiusto accompagnatosi al licenziamento . Quanto alla correlata questione del regime prescrizionale applicabile si è affermato Cass. Sez. Lav. n. 24366 dell'1/12/2010 che in tema di impugnativa di licenziamento, una volta che, a mezzo di atto stragiudiziale, sia stata evitata la decadenza prevista dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo deve essere in ogni caso proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 1442 cod. civ., che decorre dal giorno di ricezione dell'atto di intimazione, a nulla rilevando che a seguito della successiva assoluzione da imputazioni penali sia emersa l'erroneità del presupposto alla base dei provvedimento dei datore di lavoro, atteso che l'errore rilevante ai fini del decorso della prescrizione dalla sua scoperta è quello in cui è incorsa la parte che esercita l'azione di annullamento e non quello della controparte. in senso conf. v. anche Cass. Sez. Lav. n. 18732 del 6.8.2013 secondo cui la prescrizione quinquennale dell'azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo determina - al pari della decadenza dall'impugnativa del licenziamento - l'estinzione del diritto di far accertare l'illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela dì diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso . Pertanto, escluso il caso dell'azione volta a far dichiarare l'inesistenza del licenziamento per difetto del requisito ad substantiam della forma scritta - che è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro da considerarsi ancora giuridicamente in atto v. Cass. sez. lav. n. 7495 del 5/6/2000, n. 16955 dell'1/8/2007, n. 15106 del 10/9/2012 - si ritiene di dover dare continuità ai suddetti precedenti, non essendo condivisibile la specificazione operata dalla Corte di merito in ordine alla ritenuta imprescrittibilità dell'azione diretta a far valere l'inefficacia dei licenziamento in quanto azione di accertamento, a sua volta connessa alla considerazione che il richiamo all'art. 18 della legge n. 300/1970 sarebbe inerente alle conseguenze della reintegrazione e del risarcimento dei danni in favore del lavoratore e non strumentale alla riconduzione dell'azione - volta a far dichiarare l'inefficacia dei licenziamento - a quella di annullamento per illegittimità dello stesso provvedimento -Invero, tali affermazioni finiscono per rivelarsi contrarie al principio fondamentale della certezza dei rapporti giuridici nell'ambito delle preclusioni dipendenti da cause di decadenza e di estinzione dei diritti all'interno dello stesso sistema dell'impugnativa dei licenziamenti. Tra l'altro, non può non osservarsi che la richiesta di reintegrazione e di risarcimento rappresenta la conseguenza diretta della forma di invalidità del licenziamento che si intende far valere e rispetto alla quale non è possibile eludere il regime delle preclusioni scaturenti dalle previste cause di decadenza e di prescrizione in materia di impugnativa dei licenziamento per le ragioni sopra esposte. Quindi, il primo motivo del ricorso è fondato e lo stesso merita di essere accolto. Rimane, invece, assorbito l'esame del secondo motivo che verte sulla eccezione, avente carattere subordinato, della sopraggiunta acquiescenza del lavoratore agli effetti dei licenziamento per il rinvenimento di altro impiego nelle more del giudizio. La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2°, cod. proc. civ., col rigetto della domanda dei T Infatti, quest'ultimo aveva impugnato solo in data 26.9.2003 il licenziamento intimatogli il 15.5.1997 all'esito della riattivazione, in data 13.2.1997, della procedura di cui alla legge n. 223/1991, per cui in ogni caso è dirimente la considerazione che alla data di proposizione dell'impugnazione era già maturato il termine di prescrizione quinquennale per l'esercizio della relativa azione decorrente dalla ricezione del provvedimento di licenziamento. Motivi di equità dovuti al diverso esito dei giudizi di merito rispetto a quello attuale ed alla particolarità della questione trattata inducono questa Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dei primi due gradi di giudizio. Le spese del presente giudizio seguono, invece, la soccombenza del controricorrente e vanno liquidate come da dispositivo a suo carico. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nei merito, rigetta la domanda del lavoratore. Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna T. F. al pagamento delle spese dei presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.