Il rapporto sociale viene meno? Il licenziamento è conseguente

Il rapporto associativo è preminente rispetto al rapporto di lavoro, sussistendo una consequenzialità tra gli stessi. Per cui, in presenza di comportamenti lesivi di entrambi, non è necessario un distinto atto di licenziamento e, se il provvedimento di esclusione viene meno, il socio avrà diritto alla loro ricostituzione.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 9916/16, depositata il 13 maggio. Il fatto. Una donna conveniva in giudizio la cooperativa presso la quale aveva prestato servizio e di cui era socia, dopo che la stessa - dopo varie contestazioni disciplinari, tutte impugnate mediante richiesta di instaurazione di collegio arbitrale – le aveva comunicato l’esclusione da socio e la contestuale cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro. Dopo una complessa vicenda giudiziaria, la Corte d’appello di Genova, concludeva che il licenziamento era l’effetto automatico della cessazione del rapporto sociale che legava la donna alla cooperativa a differenza di quanto ritenuto in primo grado, il giudizio non avrebbe potuto comunque essere instaurato entro 270 giorni dall’impugnativa stragiudiziale di licenziamento, secondo quanto previsto dall’art. 32, l. n. 183/2010, che disciplina le decadenze in materia di contratto di lavoro a tempo determinato. La cooperativa propone ricorso in Cassazione. Un rapporto consequenziale. La cooperativa sostiene, in primis , che il licenziamento era stato intimato autonomamente anche se contestualmente al venir meno del rapporto sociale. Pertanto, l’impugnativa dell’atto di esclusione del socio e quella del licenziamento sono distinte e autonome. La Suprema Corte non è dello stesso parere affermando che il rapporto associativo è preminente rispetto al rapporto di lavoro, sostiene una consequenzialità tra gli stessi. Per cui, in presenza di comportamenti lesivi di entrambi, non è necessario un distinto atto di licenziamento e, se il provvedimento di esclusione viene meno, il socio avrà diritto alla loro ricostituzione. Ingiusta la duplicazione di condanne. La donna aveva ottenuto un lodo arbitrale, impugnando l’atto di esclusione da socio dinanzi a un collegio arbitrale. In virtù della provvisoria esecutività del provvedimento, la cooperativa aveva versato all’attrice una somma a titolo di risarcimento per il venir meno del rapporto di lavoro. In questo modo, vi era stata una duplicazione di condanne a carico della ricorrente e un ingiusto arricchimento a favore della controparte. Su questo punto la sentenza va cassata. Per il resto, il ricorso si intende respinto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 febbraio – 13 maggio 2016, n. 9916 Presidente Nobile – Relatore Esposito Svolgimento del processo 1.A. C. R., con ricorso depositato il 6/7/2012, adiva il Tribunale di Savona, giudice dei lavoro, esponendo di aver lavorato dal 1° ottobre 2008 all'11 agosto 2011 quale socia lavoratrice con contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della Cooperativa Sociale Quadrifoglio Onlus s.c. che, dopo molteplici strumentali contestazioni disciplinari, tutte impugnate mediante richiesta di instaurazione di collegio arbitrale, con lettera dell'11 agosto 2011 le era stata comunicata l'esclusione da socio e la contestuale conclusione di ogni rapporto di lavoro che l'atto di esclusione da socio era stato impugnato davanti alla Camera Arbitrale del Piemonte in forza di clausola compromissoria contenuta nello Statuto sociale. 2. II Tribunale dichiarava l'inammissibilità dei ricorso per mancata instaurazione dei giudizio entro il termine di 270 giorni dall'impugnativa stragiudiziale di licenziamento ai sensi dell'art. 32 I. 183/2010, ritenuto non applicabile il comma 1 bis della predetta disposizione, relativa al differimento della decorrenza dell'efficacia del termine predetto dal 31 dicembre 2011, trattandosi di fattispecie in cui trova applicazione per la prima volta il termine di 60 giorni di cui all'art. 6 comma 1 I. 604 del 1966, diverse dal licenziamento. 3. Con sentenza 15 luglio 2013 la Corte d'appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, rilevava che il venir meno del rapporto di lavoro subordinato non derivava da un atto negoziale di licenziamento, ma era l'effetto automatico dell'esclusione della socia dalla cooperativa, ai sensi dell'art. 5 comma 2 I. n. 142 dei 2001, sostituito dall'art. 9 c.1 lett. D n. 30 dei 2003, come poteva evincersi dalla delibera comunicata. Di conseguenza, non poteva trovare applicazione il termine di decadenza di cui all'art. 32 l. 183/2010, non estensibile ad ipotesi non contemplate, trattandosi di norma di stretta interpretazione. Pertanto, rilevato che il provvedimento era stato dichiarato illegittimo in sede arbitrale, riteneva travolto l'effetto automatico ad esso connesso. 4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Cooperativa Sociale Quadrifoglio Onlus s.comma sulla base di quattro motivi. Resiste la R. con controricorso, illustrato mediante memorie ex art. 378 c.p.comma Motivi della decisione 1.Preliminarmente va disattesa l'eccezione d'inammissibilità dei ricorso per tardività, formulata nel controricorso. La ricorrente, infatti, ha fornito la prova dei rispetto del termine per impugnare, decorrente dalla notifica della sentenza intervenuta il 2/9/2013, mediante produzione documentale, non contestata, dalla quale si evince l'avvenuta consegna dei plico per la notifica all'ufficiale giudiziario il 2/11/2013. La notificazione, pertanto, deve ritenersi tempestiva, atteso che gli effetti della notificazione a mezzo posta, in ragione delle modifiche apportate dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263 alla legge 20 novembre 1982, n. 890, vanno ricollegati, per il notificante, alla mera consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. 2.In ordine alle censure proposte, con la prima la ricorrente deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. Rileva che la Corte è incorsa in una grave violazione laddove ha ritenuto che la comunicazione effettuata dalla Cooperativa alla R. con missiva del 6/8/2011 non integrasse, in dipendenza o contestualmente all'esclusione da socio, un atto di licenziamento disciplinare, giacché contenente espliciti richiami all'art. 7 l. 300/1970 e all'art. 42 CCNL e, quindi, alla sostanziale natura disciplinare della conclusione dei rapporto lavorativo, coerente con le molteplici contestazioni disciplinari che l’avevano preceduta, natura confermata dalla circostanza che la stessa R. aveva accompagnato all'impugnativa arbitrale l'impugnazione del licenziamento. 3. Deduce, ancora, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 116 c.p.c., degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché degli artt. 1 e 5 I. 142/2001, in relazione anche alla l. n. 604/1966 e all'art. 42 ccnl coop sociali Cass. 24692/2010, 850/2005,9112/2005 . Rileva che il licenziamento si pone come autonomo, ancorché intimato contestualmente all'esclusione del socio. Osserva, altresì, che la sentenza impugnata è in contraddizione con il tenore letterale e l'interpretazione logica della 1. n. 142/2001, come modificata con la l. 30/2003 in ragione dell'espressione testuale in forza della quale il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione successivamente un ulteriore rapporto di lavoro . Ne consegue che secondo la tesi della ricorrente il il socio lavoratore deve chiedere sempre il ripristino in ambito giudiziale di entrambi i rapporti con distinte domande, le quali sono sempre comunque connesse per pregiudizialità. In presenza di comportamenti che ledono il contratto sociale oltre che il rapporto di lavoro e da cui consegua tanto l'esclusione dei socio quanto la sanzione dei licenziamento, il principio secondo cui non è necessario un distinto atto di licenziamento non implica che quest'ultimo, ove intervenga, resti esente dal regime procedurale di cui alla I. 604/1966 e dalla I. 183/2010. Da ciò l'inammissibilità dei ricorso per decorso dei termine di decadenza. 4. I motivi esposti vanno trattati congiuntamente in ragione dell'intima connessione. Essi muovono entrambi dalla premessa della ritenuta autonomia tra l'impugnativa dell'atto di esclusione del socio e l'impugnativa del licenziamento contestualmente intimato. Tale premessa è smentita dalla elaborazione giurisprudenziale di legittimità sul punto. Ed invero questa Corte, interpretando l'art. 5 comma 2, nel testo modificato dalla I. n. 30 del 2003 il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie ed in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c. , ha evidenziato l'intento dei legislatore di affermare la preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro, recuperando alla dimensione societaria e protezioni favoristiche introdotte ex novo con la legge quadro del 2001, w evidente collegamento con la soppressione, nell'art. 1 del testo originario della legge di riforma, del riferimento ad un rapporto di lavoro non solo ulteriore ma anche distinto da quello associativo . Ha affermato, pertanto, che il legislatore ha, in particolare, previsto un rapporto di consequenzialità fra il recesso o l'esclusione del socio e l'estinzione dei rapporto di lavoro, che esclude la necessità, in presenza di comportamenti che ledono il contratto sociale oltre che il rapporto di lavoro, di un distinto atto di licenziamento, così come l'applicabilità delle garanzie procedurali connesse all'irrogazione di quest'ultimo . Un simile rapporto implica, tra l'altro, che, rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro in tal senso Cass. n. 14741 del 5///2011, rv. 61/913, conforme Sez. L, Sentenza n. 2802 del 12/02/2015, Rv. 634384 La delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto d, licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell'art. 2533 cod. civ., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall'atto costitutivo, dall'assemblea . Ne consegue che correttamente, in linea con la descritta opzione ermeneutica, la Corte territoriale ha ritenuto travolto, a seguito della dichiarazione di illegittimità in sede arbitrale del provvedimento, l'effetto automatico del provvedimento medesimo sul rapporto di lavoro, talché le censure in disamina risultano infondate. 5. Con la terza censura la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5 I. 142/2001 in relazione anche al D.L. n. 1 del 24 gennaio 2012 che ha modificato il D.lgs. 168 del 27 giugno 2003 360 e dell'art. 40 c.p.comma n. 3 e 4 c.p.comma Rileva che ai sensi dell'art. 5 citato, ove si ritenesse fondato il ragionamento della Corte territoriale, in ragione della connessione per pregiudizialità tra domande astrattamente appartenenti al giudice del lavoro e al giudice ordinario, la competenza di entrambe le questioni sarebbe devoluta al Tribunale delle imprese. 6.Anche questa censura è infondata. Al riguardo è sufficiente rilevare che le disposizioni per l'istituzione delle sezioni specializzate in materia di impresa, secondo quanto previsto dall'art. 2 co. 6 del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1 e convertito con modificazioni dalla I. 24 marzo 2012 n. 27, trovano applicazione limitatamente ai giudizi instaurati successivamente al 20 settembre 2012 centottantesimo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione dei decreto, pubblicato in GU del 24 marzo 2012 , laddove la controversia oggetto dei giudizio è stata instaurata prima di tale data, il 6 luglio 2012. 7.Con l'ultimo motivo la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 c.p.comma in relazione anche all'art. 132 n. 4 c.p.comma Rileva che la Corte territoriale ha omesso di considerare che a seguito del lodo arbitrale la società aveva corrisposto in forza delle provvisoria esecutorietà una somma a titolo di risarcimento dei danni che corrisponde alla retribuzione persa dalla R. nel periodo da agosto 2011 a marzo 2012. La condanna della Cooperativa al pagamento delle retribuzioni dal 26/8/2011 ha generato, pertanto, una duplicazione di condanne a carico della società e un indebito arricchimento della socia lavoratrice. 8. La censura va accolta nei termini che seguono. Dal contenuto del lodo arbitrale, allegato al ricorso nel rispetto dei canoni di cui agli artt. 366 comma 6 e 369 comma 4 c.p.c., si evince che la liquidazione del danno effettuata in sede arbitrale ha fatto riferimento al trattamento economico connesso al rapporto di lavoro. Ne discende che è fondato il rilievo attinente a una possibile duplicazione delle determinazioni economiche contenute nel lodo arbitrale a seguito della statuizione contenuta nella sentenza impugnata concernente l'obbligo di pagamento delle retribuzioni posto a carico della società. La sentenza, pertanto, va cassata sul punto, rimettendo in sede di rinvio ogni determinazione affinché siano evitate duplicazioni risarcitorie. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.