I requisiti per la pensione di reversibilità vanno verificati esclusivamente in capo al de cuius

Ai fini della percezione della pensione di reversibilità è sufficiente che i requisiti amministrativi, contributivi ed anagrafici fossero posseduti dal dante causa e non anche dal superstite.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 9229 depositata il 6 maggio 2016. Il caso. La Corte di Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava la domanda proposta nei confronti dell’INPS dalla superstite di un pensionato deceduto, relativa al pagamento della pensione di reversibilità in relazione al trattamento pensionistico fruito in regime internazionale di pro rata dal coniuge defunto. Ad avviso dei Giudici merito, la pretesa della ricorrente doveva ritenersi infondata atteso il mancato possesso, da parte di quest’ultima, del requisito contributivo pari a 52 settimane previsto dall’art. 48 del Regolamento CEE n. 1408/1971 , legittimante il diritto iure proprio alla prestazione previdenziale rivendicata. Contro tale sentenza la richiedente proponeva ricorso alla Corte di Cassazione. I requisiti per ottenere la pensione di reversibilità devono sussistere in capo al de cuius. In particolare, ad avviso della ricorrente, la circostanza che il diritto alla pensione sorgesse iure proprio in capo al superstite non presupponeva il necessario possesso, da parte di quest’ultimo, dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge, atteso che la sussistenza di tali requisiti non è richiesta laddove il diritto alla pensione sia già maturato a favore del titolare in via diretta della prestazione, trattandosi in tal caso soltanto di trasmutare il titolo dell’erogazione, da pensione diretta a pensione di reversibilità, e riconoscere nella percentuale prevista la medesima prestazione fruita dall’originario titolare . Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. Ed infatti, richiamando un proprio recente precedente i.e. Cass. n. 24645/2015 la Corte precisa che se è vero che dottrina e giurisprudenza sono sempre state concordi nel ritenere che la pensione di reversibilità è acquisita dal superstite iure proprio e non iure hereditatis , tuttavia ciò non implica che i relativi requisiti [.] debbano essere riferiti al superstite [.] e/o all’assetto normativo in vigore al momento del decesso del pensionato anziché a quello in cui è stato collocato in quiescenza . Conclusione più che coerente se si considera che, come la stessa Cassazione ha precisato, argomentando diversamente si vanificherebbe le caratteristiche stesse e le finalità della prestazione, per ottenere la quale basta il rapporto mero coniugio o di parentela . Il diritto alla pensione già maturato, viene traslato direttamente in capo a coloro che possono beneficiarne. Principio, conclude la Corte, che trova riscontro anche nell’art. 13, R.D.L. n. 636/39, a mente del quale nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché per quest'ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione [] spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi . Anche solo dalla sua semplice lettura, pertanto, il dato normativo consente di affermare che la pensione di reversibilità spetta sulla base delle condizioni di assicurazione e contribuzione proprie del dante causa al momento del suo collocamento a riposo oppure, se non ancora titolare di pensione, a quella del decesso. In conclusione, ai fini della percezione della pensione di reversibilità, è del tutto irrilevante il possesso da parte del superstite dei requisiti contributivi richiesti dalla legge, dovendo essere operata una tale verifica solo in capo al de cuius .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 febbraio – 6 maggio 2016, n. 9229 Presidente Venuti – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 14 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava la domanda proposta da S.S.I. nei confronti dell’INPS, avente ad oggetto la condanna dell’Istituto al pagamento della pensione di reversibilità in relazione al trattamento previdenziale pensionistico fruito in regime internazionale di pro rata dal coniuge defunto. La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, aldilà dei rilevati profili di inammissibilità del ricorso in appello, per non essere state con esso formulate censure specifiche in ordine all’iter logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure, l’insussistenza nel merito della pretesa per difetto dei requisiti ed, in particolare del requisito contributivo pari a 52 settimane di cui all’art. 48 del regolamento CEE n. 1408/1971, legittimanti la spettanza iure proprio della prestazione previdenziale rivendicata. Per la cassazione di tale decisione ricorre la S. , affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS, che ha poi presentato memoria. Motivi della decisione I due motivi su cui si articola l’impugnazione proposta la ricorrente sono unitariamente volti a censurare l’erroneità della pronunzia resa dalla Corte territoriale sotto il profilo del travisamento del disposto dell’art. 22 l. n. 903//1965 che disciplina le prestazioni pensionistiche in favore dei superstiti, in particolare contestando l’assunto per cui la titolarità iure proprio della pensione di reversibilità presupporrebbe la ricorrenza in capo al beneficiario dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge e così, nella specie, trattandosi di pensione fruita dal coniuge defunto in regime internazionale, del requisito contributivo stabilito dall’art. 48 del regolamento CEE n. 1408/1971 pari a 52 settimane e sostenendo, di contro, che ciò non sia richiesto laddove il diritto alla pensione sia già maturato a favore del titolare in via diretta della prestazione, trattandosi in tal caso soltanto di trasmutare il titolo dell’erogazione, da pensione diretta a pensione di reversibilità, e riconoscere nella percentuale prevista la medesima prestazione fruita dall’originario titolare. In effetti, con il primo motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 329 e 434 c.p.c. nonché dell’art. 2099 c.c., la ricorrente deduce, in relazione a tale opposta opzione interpretativa ribadita in sede di gravame, l’erroneità del rilievo della Corte territoriale per cui l’accertamento operato dal giudice di prime cure del difetto del requisito contributivo ex art. 48, Reg. CEE n. 1408/1971 risulterebbe coperto dal giudicato mentre con il secondo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, l. n. 903/1965 e della normativa previgente da questo novellata nonché dell’art. 48 del regolamento CEE citato, ribadisce i termini dell’asserito travisamento esegetico. I due motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, meritano accoglimento in considerazione dell’orientamento accolto da questa Corte cfr., da ultimo, Cass. 3.12.2015, n. 24645 in base al quale, se è vero che dottrina e giurisprudenza cfr., per tutte, Cass. 3300/12 e Cass. 21545/08 sono sempre state concordi nel ritenere che la pensione di reversibilità è acquisita dal superstite iure proprio e non iure hereditatis , tuttavia ciò non implica che i relativi requisiti amministrativi, contributivi ed anagrafici debbano essere riferiti al superstite il che vanificherebbe le caratteristiche stesse e le finalità della prestazione, per ottenere la quale basta il rapporto di mero coniugio o di parentela e/o all’assetto normativo in vigore al momento del decesso del pensionato anziché a quello in cui è stato collocato in quiescenza e ciò stante il disposto dell’art. 13, comma 1, r.d.l. n. 636/39 e successive modificazioni e integrazioni Nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato, sempreché per quest’ultimo sussistano al momento della morte le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all’art. 9, n. 2 lett. a b e c , spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che al momento della morte del pensionato o assicurato non abbiano superato l’età di 15 anni o, per gli assicurati appartenenti alla categoria degli impiegati, quella di 18 anni, avvero siano riconosciuti inabili al lavoro dal quale si evince che la pensione di reversibilità spetta sulla base delle condizioni di assicurazione e contribuzione proprie del dante causa al momento del suo collocamento a riposo o, se non ancora titolare di pensione, a quella del decesso, tanto che tale prestazione viene anche definita a perfezionamento traslato . Ne consegue che il diritto sussiste per aver il superstite acquisito in via traslata il diritto già maturato dal pensionato, quale, nella fattispecie, era pacificamente il de cuius , alle condizioni amministrative, contributive e anagrafiche vigenti all’atto del suo collocamento in quiescenza, restando del tutto irrilevante nel giudizio de quo il dato relativo al possesso diretto da parte della ricorrente del requisito contributivo ed il relativo accertamento, definitivo o meno, operato in sede di merito. Il ricorso va dunque accolto e l’impugnata sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo, altresì, per l’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.