Stato ansioso-depressivo e disturbo della personalità: valide comunque le dimissioni della lavoratrice

Non discutibili i problemi lamentati dalla donna. Essi, però, non hanno comportato uno stato di incapacità naturale. Ella era pienamente consapevole delle proprie azioni quando ha firmato le dimissioni da vigile urbano di un piccolo Comune.

Condizione ansioso-depressiva per la lavoratrice. Evidente il disturbo della personalità” che la affligge, ma che, tuttavia, non la rende incapace”. Proprio per questo, è impensabile ritenere viziate le dimissioni” date dalla donna, dipendente come vigile urbano di un piccolo Comune Cassazione, sentenza n. 8881/16, sezione Lavoro, depositata il 4 maggio . Dimissioni. Addio definitivo al posto di lavoro. Fatali le dimissioni messe ‘nero su bianco’ dalla donna, e ritenute non discutibili né dal Comune né dai giudici. Respinta, sia in Tribunale che in Corte d’appello, l’ipotesi di uno stato di incapacità naturale della lavoratrice all’epoca della rinuncia al proprio impiego. Per i giudici la donna ha vissuto sì una condizione ansioso-depressiva , ma tale disturbo della personalità non ha mai determinato uno stato di incapacità naturale . Ciò significa che ella ha firmato le dimissioni con consapevolezza. E difatti, aggiungono i giudici, le ha motivate con ragioni personali e familiari , richiamate peraltro anche nella successiva richiesta di riammissione in servizio . Ansia. E le valutazioni compiute dai giudici di primo e di secondo grado vengono ora condivise anche dalla Cassazione. Di conseguenza, la ex dipendente del Comune può abbandonare ogni speranza di ritrovare il proprio posto di lavoro. Nessun dubbio è possibile, anche secondo i Magistrati del ‘Palazzaccio’, sulla validità delle dimissioni firmate dalla rappresentante della Polizia municipale. Ciò perché è emerso che la donna, pur avendo avuto stati di ansia associati a sintomi psicotici , con vere e proprie crisi , non ha tuttavia subito alcun annullamento o riduzione della capacità di intendere e di volere al momento delle dimissioni. A dare solidità a questa considerazione, poi, anche le visite effettuate dalla donna, le relative diagnosi e, soprattutto, le relative terapie , concretizzatesi nella prescrizione medica di prodotti vitaminici ed integratori e nessun antidepressivo .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 dicembre 2015 – 4 maggio 2016, numero 8881 Presidente Amoroso – Relatore Riverso Svolgimento dei processo La Corte di Appello di Campobasso, con la sentenza numero 355/2013 depositata il 30.1.2013, e notificata il 28.3.2013 , confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda, presentata da D.M.L. allo scopo di ottenere l'annullamento delle sue dimissioni da Vigile Urbano del Comune di Cercemaggiore, rassegnate in data 1.8.2006 per incapacità naturale con conseguente ripristino del rapporto e condanna dei Comune al pagamento delle retribuzioni dovute o al risarcimento dei danno. La Corte d'Appello - alla luce delle prove raccolte in primo grado e della ctu ivi espletata - ha ritenuto invece che la ricorrente versasse in uno stato ansioso depressivo che ben può configurare un disturbo della personalità NAS senza determinare uno stato di incapacità naturale e che la ricorrente era stata indotta alle dimissioni da legittimi motivi personali c/o familiari come da ella addotto tanto nella lettera di dimissioni, tanto nella richiesta avanzata 12.2.2007 di riammissione in servizio. Per la cassazione della sentenza la D. si affida a due motivi. Resiste il Comune di Cercemaggiore con controricorso. Motivi della decisione 1.- Col primo motivo il ricorso deduce vizio di motivazione per violazione e falsa applicazione dell'articolo 428 c.p.c. anche in relazione all'articolo 2697 c.c. travisamento dei fatti ed illogicità della sentenza per contraddittorietà della consulenza tecnica d'ufficio. Vizio di motivazione su un fatto deciso del giudizio e violazione e falsa applicazione dell'articolo 115. e 116 c.p.c. Lamenta in sostanza la ricorrente che la Corte d'Appello avrebbe escluso la prova della incapacità naturale. Non avrebbe esaminato le censure rivolte nell'appello alla consulenza tecnica posta a base della sentenza di primo grado. Sarebbe inoltre la sentenza caduta in contraddizione allorchè - recependo le conclusioni della ctu - ha da una parte sostenuto che la D. fosse affetta dal disturbo della personalità NAS e dall'altra che le dimissioni fossero state rassegnate per motivi personali. 2.- Col secondo motivo il ricorso lamenta vizio di motivazione per omessa ammissione di prova testimoniale e mancato rinnovo ctu. 3.- 1 due motivi, che per la loro connessione logica possono essere esaminati unitariamente, sono da dichiarare inammissibili. Anzitutto non è vero che la Corte avrebbe escluso la prova sullo stato di incapacità transitoria della lavoratrice al momento delle dimissioni. II giudizio d'appello ha invece confermato la conclusione presa dal primo giudice sulla scorta di prove testimoniali e documentali univoche, assunte nel corso del giudizio e non fatte oggetto di alcuna censura in appello. La conclusione è altresì fondata sulla consulenza tecnica d'ufficio la quale ha pure concluso - sulla scorta del parere della psichiatra - che la ricorrente, pur avendo avuto stati di ansia associati a sintomi psicotici, non ha tuttavia subito alcun annullamento o riduzione della capacità di intendere e di volere al momento delle dimissioni. L'unica prova che la Corte non ha ammesso è stata quella dichiarata tardiva come risulta dal fatto che sarebbe stata dedotta all'udienza dei 19.5.2008 e non nel ricorso introduttivo del medico curante dr. P., oltretutto a giudizio della Corte su circostanze tanto generiche quanto ampiamente contraddette dalle sue stesse considerazioni mediche legali . Si tratta di una decisione conforme a diritto che non compete a questa Corte sindacare anche per difetto delle necessarie allegazioni, ai fini delle autosufficienza dei ricorso, non essendo state riportate in ricorso le circostanze su cui era stata richiesta la prova del dr. P 4.- Nemmeno è vero che la Corte non avrebbe esaminato le censure rivolte alla ctu nell'atto di appello. Al contrario, la sentenza si sofferma sui motivi per cui le crisi di cui soffriva la ricorrente non potevano aver comportato incapacità naturale al momento del dimissioni attraverso un'autonoma disamina dei fatti ed una ricostruzione storica dello svolgersi degli accadimenti a confutazione dei rilievi del gravame. Senza trascurare la valutazione delle visite effettuate, delle relative diagnosi, delle terapie con prodotti vitaminici ed integratori, nessun antidepressivo cui si era sottoposta la ricorrente e mettendo in evidenza le contraddizioni dello stesso dr. P. che mai fino al 2006 aveva diagnosticato qualsivoglia patologia mentale né depressione grave alla ricorrente, di cui egli parla solo a posteriori nella relazione datata 28.6.2007. 5.- D'altra parte è pure noto che secondo la giurisprudenza di questa Corte non sussiste vizio di motivazione allorchè il giudice di merito non proceda alla rinnovazione della ctu infatti Cass. sentenza numero 20227 del 24/09/2010 in tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto . 6.- Nessuna contraddizione sussiste poi nell'aver sostenuto che la ricorrente soffrisse di un disturbo della personalità NAS che non risultava aver determinato uno stato di incapacità naturale. Posto che, com'è noto, l'incapacità naturale intanto rileva in quanto sussista al momento dei fatto. 7.- In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, anche perché non è redatto in modo riassuntivo, con la sommaria esposizione dei fatti di causa. In secondo luogo perché chiede a questa Corte non di esaminare specifiche violazione di legge o contraddizioni logiche, ma di effettuare un nuovo riesame del fatto, precluso a questo giudice. Mentre neppure individua quale sia l'omessa valutazione dei fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le partì, secondo la nuova formulazione del numero 5 dell'articolo 360 c.p.c. 8.- In conclusione, le considerazioni sin qui svolte impongono di dichiarare l'inammissibilità del ricorso e di condannare la ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese dei giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo. Sussistono i presupposti di cui all'articolo 13,comma 1-quater D.P.R. numero 115 del 2002 per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara l'inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 100 per esborsi ed in € 3000 per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell'articolo 13,comma 1 quater D.P.R. numero 115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. Roma, così deciso nella camera di consiglio dei 22.12.2015