Il periodo di malattia del lavoratore rileva per la maturazione del requisito contributivo specifico

La neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio, che derivino da alcune obiettive situazioni impeditive, previste dall'art. 37 d. P.R. 26 aprile 1957 n. 818, ai fini dell'esclusione dei periodi medesimi in sede di verifica dei requisiti contributivi e, in particolare, del requisito del prescritto numero di contributi nell'ultimo quinquennio ai fini del diritto alla pensione di invalidità, è espressione di un principio generale del sistema previdenziale, diretto ad impedire che il lavoratore perda il diritto alla prestazione previdenziale allorché il versamento contributivo sia carente per ragioni a lui non imputabili ne consegue che non è necessario che la causa impeditiva operi nel corso di un rapporto di lavoro in atto, e che, in caso di mancata maturazione del requisito contributivo specifico, consistente nella contribuzione nell'ultimo quinquennio precedente la domanda per il pensionamento di invalidità imputabile ad infermità dell'assicurato, deve ritenersi sufficiente il requisito contributivo c.d. generico.

Così deciso dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 6585, depositata il 5 aprile 2016. Il caso in esame azione proposta dagli eredi di soggetto invalido, volta ad ottenere il diritto alla pensione di reversibilità. Gli eredi legittimi di un lavoratore affetto da patologia invalidante agivano in giudizio al fine di ottenere il riconoscimento alla pensione di reversibilità, a seguito del decesso del loro congiunto. Il Tribunale in primo grado rigettava la domanda e la Corte d’Appello rigettava il gravame proposto dagli eredi, confermando la decisione del primo giudice. Ricorrevano in Cassazione i congiunti del lavoratore deceduto. Non riconosciuto il requisito contributivo specifico. I ricorrenti si dolgono che i giudici di merito non hanno ritenuta la sussistenza dei requisiti richiesti dalla norma per il riconoscimento della pensione di invalidità in favore del loro congiunto deceduto e di conseguenza hanno negato il diritto alla pensione di reversibilità a loro favore. In particolare il primo giudice ha accertato che il lavoratore non avesse maturato al momento del decesso il diritto alla pensione di vecchiaia, né era stato riconosciuto il diritto alla pensione di invalidità non era stato provata in giudizio l’incapacità lavorativa assoluta e permanente infine non era maturato il requisito contributivo specifico di versamento negli ultimi 5 anni di almeno 156 contributi settimanali. Risultava assolto unicamente il requisito contributivo generico di decorrenza di assicurazione di oltre 5 anni, con versamento di 260 contributi settimanali. Il principio di neutralizzazione dei periodi di sospensione del lavoro e della contribuzione. Osservano i ricorrenti che i giudici di merito avrebbero dovuto valutare che nell’ultimo quinquennio considerato in giudizio, il lavoratore non aveva potuto svolgere regolare attività lavorativa, a causa della patologia diagnosticata e dimostrata e peraltro accertata in giudizio dallo stesso ctu nominato in primo grado. Patologie cirrosi epatica e diabete mellito altamente invalidanti e che già avevano dato luogo al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento in favore del lavoratore. La Corte d’Appello aveva così ritenuto, in assenza di prove circa la condizione di totale invalidità, la possibilità del lavoratore di svolgere attività lavorativa, nonostante la malattia. Inoltre, secondo i ricorrenti, la corte di merito non avrebbe fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte affermato dalla Suprema Corte, di neutralizzazione” del periodo non lavorato in conseguenza di malattia invalidante. I Giudici di legittimità ritengono fondate le censure proposte dai ricorrenti. Già in passato la Corte aveva avuto modo di affermare che la neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio, che derivino da alcune obiettive situazioni impeditive quali l'astensione facoltativa dal lavoro per maternità, la prestazione di lavoro all'estero, la malattia di una certa durata e altre - prevista dall'art. 37 d. P.R. 26 aprile 1957 n. 818, ai fini dell'esclusione dei periodi medesimi in sede di verifica dei requisiti contributivi e, in particolare, del requisito del prescritto numero di contributi nell'ultimo quinquennio ai fini del diritto alla pensione di invalidità - è espressione di un principio generale del sistema previdenziale, diretto ad impedire che il lavoratore perda il diritto alla prestazione previdenziale allorché il versamento contributivo sia carente per ragioni a lui non imputabili. Non è dunque necessario che la causa impeditiva operi nel corso di un rapporto di lavoro, in atto sospeso, e che, in caso di mancata maturazione del requisito contributivo specifico, consistente nella contribuzione nell'ultimo quinquennio precedente la domanda per il pensionamento di invalidità imputabile ad infermità dell'assicurato, deve ritenersi sufficiente il requisito contributivo c.d. generico. Pertanto qualora, come nella specie, la sentenza impugnata abbia ritenuto ostativo al conseguimento della pensione di inabilità il difetto del requisito contributivo specifico, negando che potesse applicarsi il principio della neutralizzazione dei periodi assicurativi a fronte della malattia da cui era affetto l'interessato, consistente in una grave forma di cirrosi epatica e di diabete mellito, dovrà necessariamente essere cassata tale decisione, in quanto in contrasto con i principi diritto affermati dalla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha così cassato con rinvio la sentenza impugnata, per nuova decisione in conformità con i principi di diritto ribaditi.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 gennaio – 5 aprile 2016, n. 6585 Presidente Mammone – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata depositata il 14 dicembre 2011 respinge l’appello di F.R. , S.M. , S.B. e S.C. avverso la sentenza n. 2117/05 del Tribunale di Reggio Calabria, che aveva rigettato la domanda proposta dalle appellanti - nella rispettiva qualità di coniuge superstite e di figlie di S.A. - volta ad ottenere la corresponsione dall’INPS della pensione di reversibilità a seguito del decesso del predetto congiunto. La Corte d’appello di Reggio Calabria, per quel che qui interessa, precisa che a è pacifico che, al momento del decesso omissis S.A. non aveva maturato il diritto a pensione ai sensi dell’art. 9 del R.D.T. 14 aprile 1939, n. 636, in quanto non aveva compiuto i sessanta anni e neppure aveva maturato il requisito di 780 contributi settimanali b in relazione all’ipotesi di cui al n. 2 del citato art. 9 le ricorrenti non hanno provato l’avvenuto riconoscimento, in favore del congiunto, della pensione di invalidità, avendo soltanto prodotto la sentenza di riconoscimento della indennità di accompagnamento, con decorrenza dall’1 dicembre 1993 e quindi riguardante solo una parte del quinquennio antecedente il decesso, che rileva nella specie c il primo giudice proprio per accertare l’impossibilità del defunto di lavorare anche nella restante parte del quinquennio suddetto - ossia dal 15 settembre 1989 al 30 novembre 1993 - ha disposto una CTU medico-legale che si è conclusa in modo dubitativo, avendo il consulente affermato che, sebbene lo S. per la cirrosi epatica da cui era affetto presumibilmente non era in condizioni di lavorare, tuttavia essendo stato accertato che egli aveva effettivamente lavorato nell’arco di tempo considerato per alcuni periodi allora si può ipotizzare che fosse in condizioni di - sia pure ridotta - capacità lavorativa in particolare il consulente ha sottolineato che era stato appurato che, in varie occasioni, il defunto era stato assunto a termine dal Comune di Bova Marina come netturbino, tra un ricovero e l’altro, dovuti all’acutizzarsi della malattia d inoltre, il primo giudice ha rilevato l’assenza dei requisiti contributivi agevolati previsti dal medesimo n. 2 per i soggetti invalidi, essendo emerso dalla CTU contabile di primo grado che il defunto aveva maturato esclusivamente il requisito contributivo c.d. generico - previsto dalla lettera a della norma e consistente nella decorrenza dell’assicurazione da più di 5 anni con versamento di almeno 260 contributi settimanali - mentre non vi era il requisito contributivo c.d. specifico versamento, negli ultimi 5 anni, di almeno 156 contributi settimanali e sulla base delle suddette conclusioni della CTU medica, correttamente il primo giudice ha escluso che nel suddetto quinquennio vi fosse una assoluta e permanente incapacità di lavoro, tale da consentire che la mancata maturazione del requisito contributivo specifico sia dipeso dalla malattia e da far ritenere quindi sufficiente il requisito contributivo generico, in applicazione del principio di neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio, invocato dalle interessate f conseguentemente, il primo giudice, la cui sentenza viene confermata, ha respinto la domanda per assenza di un presupposto essenziale per la richiesta pensione di reversibilità, visto che, in base all’art. 13, primo comma, del R.D.L. n. 636 del 1939 il riconoscimento di tale pensione in favore dei superstiti è subordinato alla sussistenza per l’assicurato defunto al momento della morte, delle condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all’articolo 9, n. 2, lettere a , e b . 2.- Il ricorso di F.R. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi resiste, con controricorso, l’INPS. Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso. 1.- Il ricorso è articolato in tre motivi. 1.1.- Con il primo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. a illegittimità e nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del combinato disposto degli artt. 414, n. 4, e 416 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello al pari del primo giudice rilevato la mancanza del requisito sanitario e di quello contributivo d’ufficio , data l’assenza di specifiche contestazioni al riguardo da parte dell’INPS b violazione dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e dell’art. 360-bis cod. proc. civ. nonché dell’art. 111 Cost., per non avere la Corte reggina considerato che i fatti posti alla base della domanda di applicazione del principio di neutralizzazione del periodo mancante della prestazione lavorativa a causa di malattie, proposta nell’atto introduttivo del giudizio. dovevano considerarsi pacifici data l’assenza di specifiche contestazioni al riguardo da parte dell’INPS, secondo il principio di non contestazione affermato dalla giurisprudenza di legittimità in sede di nomofilachia, principio che per la stessa giurisprudenza assume carattere ancor più pregnante laddove il convenuto sia un ente previdenziale, che ha il dovere istituzionale di esercitare la vigilanza sulle situazioni ostative all’esercizio dei diritti degli assicurati e di farlo tempestivamente. 1.2.- Con il secondo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. prue. civ. a illegittimità e nullità della sentenza impugnata per violazione degli arti. 9. 10 e 13 del R.D.L. n. 636 del 1939, come sostituito dalla legge n. 218 del 1950 nonché dell’art. 37 del d.P.R. n. 818 del 1957, sostenendosi che la Corte reggina, se avesse correttamente applicato le indicate norme, avrebbe dovuto accogliere la domanda della ricorrente volta al riconoscimento del proprio diritto alla pensione di reversibilità proposta ex ad. 13 del R.D.L. n. 636 cit. , in quanto nella specie, come risulta dalla sentenza impugnata, il requisito della contribuzione generica era sussistente mentre quello della contribuzione specifica, riguardante il quinquennio antecedente la data del decesso dell’assicurato, era solo parzialmente mancante risultano accreditati i contributi per 42 settimane anziché per 52 settimane , ma essendo tale carenza dipesa da gravi malattie invalidanti come risulta dal riconoscimento al defunto dell’indennità di accompagnamento dal dicembre 1993 al 15 settembre 1994, data del decesso per colmare tale lacuna avrebbe dovuto farsi applicazione del principio di neutralizzazione dei periodi di assenza dal lavoro b violazione dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e dell’art. 360-bis cod. proc. civ. nonché dell’art. 111 Cost., per non avere la Corte territoriale applicato il principio di neutralizzazione del periodo di interruzione della prestazione lavorativa a causa di malattie altamente invalidanti cirrosi epatica e diabete mellito che riducono in modo significativo la capacità di lavoro, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità c violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 6 e 9 della CEDU, per non avere la Corte d’appello rispettato il principio di effettività della tutela giurisdizionale, non avendo esaminato il prospetto sinottico contenuto nella CTU medica, non avendo considerato l’infermità e la relativa durata, avendo erroneamente chiesto al CTU di appurare l’assoluta e permanete incapacità di lavoro per l’intero quinquennio richiesto e non avendo acquisito l’esito della domanda proposta il 6 giugno 1992 per il riconoscimento dell’invalidità al lavoro. Si deduce che la Corte reggina ha respinto l’appello sul presupposto della insussistenza, nel quinquennio di riferimento, della assoluta e permanente incapacità di lavorare, senza considerare che questo requisito è richiesto per il riconoscimento della pensione di inabilità e non per la neutralizzazione della mancata prestazione lavorativa conseguente all’accertata infermità del dipendente, per la quale è, invece, sufficiente l’esistenza, della malattia - indipendentemente dalla sua natura definitivamente invalidante o meno - e di una posizione assicurativa, contraddistinta da contribuzione inferiore al minimo, per ragioni non imputabili all’assicurato ma dovute alla malattia stessa. Nel suindicato quadro sinottico il consulente ha evidenziato che il lavoratore - che, in un primo momento, è stato impiegato nell’edilizia e poi, a partire dal 31 marzo 1987, alla dipendenze del Comune di Bova Marina, con contratti a termine - fin dal 1986 è risultato affetto dalla malattia altamente invalidante che, con gravità crescente, lo ha portato al decesso. A fronte di tale situazione l’assunto della Corte territoriale sulla ipotizzabilità di periodi di miglioramento delle condizioni di salute compatibili con lo svolgimento di prestazioni lavorative non è stato positivamente accertato, visto che anche nella relazione del CTU è stato prospettato come meramente ipotetico, mentre nella stessa relazione viene affermato con certezza che la malattia diagnostica e dimostrata era pregiudizievole per l’espletamento di attività lavorativa ed è stata indicata la percentuale di tale incidenza. Tale ultima affermazione avrebbe dovuto portare la Corte d’appello a presumere che, per tutto il quinquennio in oggetto, il lavoratore non abbia potuto lavorare a causa della malattia, anziché dare rilievo poziore all’ipotesi della possibilità del lavoratore di esplicare attività lavorativa, nonostante la malattia. Ne consegue che, sulla base di una erronea premessa, la Corte reggina non ha garantito alla attuale ricorrente una tutela giurisdizionale effettiva, non ricercando la verità sostanziale, secondo quanto richiesto anche dai principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost 1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5. cod. proc. civ., insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione su un fatto, neppure controverso fra le parti, ma decisivo per il giudizio, concernente l’esistenza della malattia nel quinquennio richiesto per il riconoscimento della neutralizzazione del periodo non lavorato. Si replicano, sotto un diverso profilo, le censure svolte sul punto nei precedenti motivi e si sostiene che sarebbe stata illogica la scelta compiuta dal giudice di espletare la CTU per accertare la sussistenza o meno di periodi compatibili con la possibilità di lavorare - anziché per accertare l’invalidità del lavoratore - e poi concludere per la insussistenza della invalidità assoluta, peraltro appurata dalla sentenza di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento per il periodo ivi previsto, che comunque, ai fini della richiesta pensione di reversibilità, non doveva sussistere né per tutto il quinquennio né nella misura del 100%. Si aggiunge, infine, che, ai fini della prova presuntiva, l’unico elemento utile era quello della impossibilità del defunto di lavorare per tutto il quinquennio, mentre la circostanza che le sue condizioni di salute erano compatibili con lo svolgimento di attività lavorativa in periodi ulteriori rispetto a quelli lavorati è una mera ipotesi, cioè non può considerarsi un fatto noto ai fini della prova presuntiva. II - Esame delle censure. 2.- L’esame dei motivi di censura porta al rigetto del primo motivo e all’accoglimento del secondo e del terzo motivo nei limiti di seguito indicati. 3.- La non accoglibilità del primo motivo deriva dalle seguenti considerazioni. 3.1.- Per costante e condiviso orientamento di questa Corte il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado la violazione non ricorre nel caso in cui il giudice appello fondi la decisione su un argomento che totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga l’accoglimento o il rigetto Infatti nel primo caso l’esame della censura è inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata Cass. 19 maggio 2006, n. 11756 Cass. 17 luglio 2007, n. 15882 Cass. 14 gennaio 2015. n. 452 . Nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata si desume che gli elementi denunciati sono stati considerati, sicché la suddetta censura è inammissibile e neppure può essere intesa come denuncia di vizio di motivazione, mancando specifiche argomentazioni al riguardo, salvo restando che, in materia, il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti dalla legge, vigente al momento della domanda e può, a tal fine, fare ricorso ai poteri istruttori d’ufficio, anche in appello vedi, per tutte Cass. 29 gennaio 2015, n. 1704 . 3.2.- Inammissibile è anche l’altro profilo di censura con il quale, sostanzialmente, si sostiene che la mancata conformazione alla giurisprudenza di questa Corte in materia di principio di non contestazione rappresenterebbe, ex dell’art. 360-bis cod. proc. civ., una violazione della funzione di nomofilachia assegnata a questa Corte dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, nonché dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost Ebbene, deve essere ricordato che nel nostro ordinamento, com’è noto, non esiste una norma che imponga la regola dello stare decisis . Infatti, tale regola - per costante e condiviso indirizzo della giurisprudenza di legittimità - costituisce soltanto un valore o, comunque. una direttiva di tendenza, immanente nell’ordinamento processuale soprattutto in tema di norme procedurali per le quali l’esigenza di un adeguato grado di certezza si manifesta con maggiore evidenza , ma la cui presenza è compatibile con la possibilità di discostarsi da un orientamento interpretativo del giudice di legittimità - investito istituzionalmente della funzione della nomofilaehia - purché lo si faccia con apprezzabili ragioni giustificative e salvo restando che un indirizzo interpretativo di una Sezione semplice della Corte di cassazione, privo di una sufficiente stabilità di applicazione, non viene considerato, di per sé, come espressione della nomofilaehia Cass. SU 31 luglio 2012, n. 13620 Cass. 15 ottobre 2007, n. 21553 Cass. 13 maggio 2003, n. 7355 . Tale assetto deriva dall’applicazione del precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge art. 101 Cost. e non è stato modificato con le riforme del codice di rito susseguitesi negli ultimi anni, con le quali il legislatore ha cercato di attribuire al precedente - se qualificabile come diritto vivente , perché corrispondente ad un orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di cassazione - rilevanza giuridica più incisiva rispetto atta sola valenza persuasiva, tradizionalmente riconosciutagli e, di recente, riconfermata da Cass. 9 gennaio 2015, n. 174 , senza tuttavia mutare la caratteristica saliente del nostro sistema giuridico, pur sempre improntato ad un modello di civil law che non riconosce carattere propriamente vincolante al precedente giudiziario, appunto perché tale carattere compete solo alle legge. A ciò va aggiunto che con l’art. 360-bis, primo comma, cod. proc. civ., non sono stati introdotti nuovi motivi di ricorso accanto a quelli previsti dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., in quanto il legislatore ha unicamente segnato le condizioni per la rilevanza delle ipotesi ivi previste come strumenti per l’utilizzazione di uno specifico strumento con funzione di filtro , sicché sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi denunciabili arg. ex Cass. 29 ottobre 2011 n. 18551 . 4.- Per le anzidette ragioni è inammissibile anche il profilo di censura con il quale, nel secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e dell’art. 360-bis cod. proc. civ. nonché dell’art. 111 Cost., per non avere la Corte territoriale applicato il principio di neutralizzazione, come inteso dalla giurisprudenza di legittimità. 5.- Per il resto, il secondo e il terzo motivo - da trattare insieme perché intimamente connessi - sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. 5.1.- In linea con quanto già ritenuto in altre pronunce di questa Corte, il d.P.R. n. 818 del 1957, non ha carattere speciale, ma detta invece una regola di portata generale - ancorché derogatoria rispetto alle ipotesi normali in cui si richiede la corrispettività fra versamenti contributivi e prestazione previdenziale erogata all’assicurato - poiché il suddetto nesso di sinallagmaticità, ove operasse indiscriminatamente, sarebbe improprio in un sistema previdenziale basato sulla tutela del lavoratore a fronte di eventi che ne riducano o eliminino le capacità reddituali, finendo per comportare la perdita della prestazione previdenziale anche quando il versamento contributivo non avvenga per ragioni non imputabili al lavoratore assicurato. Deve quindi darsi continuità all’interpretazione secondo cui la neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio, che derivino da alcune obiettive situazioni impeditive quali l’astensione facoltativa dal lavoro per maternità, la prestazione di lavoro all’estero, la malattia di una certa durata e altre - prevista dal D.P.R. n. 818 del 1957, art. 37 ai fini dell’esclusione dei periodi medesimi in sede di verifica dei requisiti contributivi e, in particolare, del requisito del prescritto numero di contributi nell’ultimo quinquennio ai fini del diritto alla pensione di invalidità - è espressione di un principio generale del sistema previdenziale, diretto ad impedire che il lavoratore perda il diritto alla prestazione previdenziale allorché il versamento contributivo sia carente per ragioni a lui non imputabili, con la conseguenza che non è necessario che la causa impeditiva operi nel corso di un rapporto di lavoro, in atto sospeso, e che, in caso di mancata maturazione del requisito contributivo specifico, consistente nella contribuzione versata nell’ultimo quinquennio precedente la domanda per il pensionamento di invalidità imputabile ad infermità dell’assicurato, deve ritenersi sufficiente il requisito contributivo cosiddetto generico vedi Cass. 8 gennaio 2009, n. 166 Cass. 4 giugno 2003, n. 8895 Cass. 16 aprile 1999, n. 2326 . 5.2.- La Corte d’appello di Reggio Calabria non si è attenuta al suddetto principio, la cui operatività non è condizionata alla assolutezza dell’invalidità ma alla sua presenza e all’efficacia della stessa sulla capacità lavorativa non nel senso di azzerarla, ma nel senso di non consentire all’assicurato di completare il periodo contributivo prescritto a causa della malattia. La conclusione adottata dalla Corte territoriale finisce con l’essere penalizzante e discriminante, riservando un trattamento peggiore a coloro che, come S.A. . cerchino di svolgere qualche lavoro benché colpiti da una malattia invalidante e non essendo titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato rispetto a chi, affetto dalla medesima malattia ed avendo anche la migliore situazione della titolarità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si astenga dallo svolgere qualunque lavoro. Il tutto azzerando l’utilità dei contributi effettivamente versati e comunque facendo uso improprio della prova presuntiva, fondata su una lettura della relazione del 13 illogica - che anche l’Istituto controricorrente mostra di condividere - in base alla quale pur dandosi conto che la CTU medico-legale si era conclusa con un giudizio di incertezza in ordine alla derivazione causale dalla patologia della riscontrata insufficienza del requisito contributivo specifico nell’ultimo quinquennio di vita del lavoratore, si è ritenuto di negare che potesse applicarsi il principio della neutralizzazione dei periodi assicurativi, a fronte della pacificamente grave malattia da cui era affetto l’interessato e che ne ha determinato il decesso, sol perché questi in alcuni limitati periodi, tra un ricovero e l’altro, aveva lavorato come netturbino con contratti a termine presso il Comune di Bova Marina, presumibilmente per procurarsi un piccolo guadagno, nonostante il quadro clinico così compromesso. 5.3.- Né va omesso di considerare che - diversamente da quanto sostiene anche l’INPS controricorrente - la norma che prevede il principio di neutralizzazione suddetto non solo non fa riferimento ad una malattia necessariamente invalidante ma neppure esclude i lavoratori titolari di contratti a termine, limitandosi a fare riferimento alla sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio avvenuta dopo l’inizio del rapporto stesso, per le cause previste dalla legge, tra le quali rientra la malattia dell’assicurato nei termini che seguono. Infatti, in particolare, l’art. 37 del d. P.R. 26 aprile 1957, n. 818 Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti al secondo comma, lettera d , contempla i periodi di malattia, comprovati con certificato rilasciato da un ente previdenziale o da una pubblica amministrazione ospedaliera che eccedano i limiti stabiliti dall’art. 56, lettera a , punto 2. del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 . Quest’ultima norma, a sua volta, stabilisce, per quel che qui interessa, che, dopo l’inizio dell’assicurazione sono computati utili a richiesta dell’assicurato a agli effetti del diritto alla pensione e della determinazione della misura di questa 2 i periodi di malattia tempestivamente accertata, indipendentemente dalla natura definitivamente invalidante o meno dell’infermità . Ne deriva che la premessa da cui è partita la Corte reggina - di considerare corretto l’assunto del primo giudice di escludere l’operatività del principio di neutralizzazione cit. e quindi la sufficienza del requisito contributivo generico sul presupposto che nel quinquennio considerato non era stata accertata una assoluta e permanente incapacità di lavoro dipendente dalla malattia - per giungere a negare il diritto alla pensione di reversibilità data la mancanza del requisito contributivo specifico, non è conforme alla suddetta normativa, oltre che alla su richiamata giurisprudenza di questa Corte. III – Conclusioni. 6.- In sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere respinto mentre il secondo e il terzo motivo vanno accolti, nei limiti e per le ragioni suindicati, con assorbimento di ogni altro profilo di censura. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente In base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte la neutralizzazione dei periodi di sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio, che derivino da alcune obiettive situazioni impeditive specificamente indicate - prevista dall’art. 37 d.P.R. 26 aprile 1957. n. 818, ai fini dell’esclusione dei periodi medesimi in sede di verifica dei requisiti contributivi e, in particolare, del requisito del prescritto numero di contributi nell’ultimo quinquennio ai fini del diritto alla pensione di invalidità - è espressione di un principio generale del sistema previdenziale. diretto ad impedire che il lavoratore perda il diritto alla prestazione previdenziale allorché il versamento contributivo sia carente per ragioni a lui non imputabili. Pertanto, non e necessario che la causa impeditiva operi nel corso di un rapporto di lavoro, in atto sospeso. e che, in caso di mancata maturazione del requisito contributivo specifico, consistente nella contribuzione nell’ultimo quinquennio precedente la domanda per il pensionamento di invalidità imputabile ad infermità dell’assicurato, deve ritenersi sufficiente il requisito contributivo c.d. generico. Inoltre, la normativa che prevede il suddetto principio di neutralizzazione non esclude i lavoratori titolari di contratti a termine, limitandosi a fare riferimento alla sospensione del rapporto assicurativo previdenziale obbligatorio avvenuta dopo l’inizio del rapporto stesso, per le cause previste dalla legge. Infine, qualora la causa impeditiva sia la malattia dell’assicurato, l’art. 56, lettera a , punto 2, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 richiamato dal citato an. 37, secondo comma, lettera d , testualmente stabilisce che è sufficiente che si tratti di malattia tempestivamente accertata, indipendentemente dalla natura definitivamente invalidante o meno dell’infermità . P.Q.M. La Corte rigettato il primo motivo, accoglie il ricorso per la pane rimanente. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione.