Contratti di solidarietà e sgravi contributivi: chiedi – con domanda specifica – e ti sarà dato

La concessione del trattamento di integrazione salariale e la riduzione della contribuzione sono due benefici autonomi pertanto, per ottenere il contributo di solidarietà, è necessaria una domanda amministrativa specifica.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5318/16, depositata il 17 marzo. Accadeva che La Corte d’appello di Genova condannava l’INPS a corrispondere a una s.p.a. ingenti somme di denaro con i relativi interessi legali e anatocistici, a titolo di benefici contributivi che le legge prevede per tutte quelle imprese che – secondo l’art. 5, d.l. 148/1993, convertito in l. n. 236/1993 – stipulano contratti di solidarietà, riducendo l’orario di lavoro, per evitare o diminuire le eccedenze di personale nel corso delle procedure di mobilità. Secondo il dettato normativo, tale agevolazione consiste in una riduzione dell’ammontare della contribuzione previdenziale e assistenziale dovuto per i lavoratori interessati al trattamento di integrazione salariale. Viene corrisposta per un periodo massimo di due anni in misura pari alla metà del monte ore retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario, erogata in rate trimestrali e ripartita in parti uguali tra l'impresa e i lavoratori interessati. Per questi ultimi, il contributo non ha natura di retribuzione ai fini degli istituti contrattuali e di legge ivi compresi gli obblighi contributivi previdenziali e assistenziali. Ai soli fini pensionistici si terrà conto per il periodo della riduzione dell'intera retribuzione di riferimento”. Secondo i giudici liguri, per poter beneficiare dei contributi in esame occorre la presentazione di una domanda amministrativa ad hoc , distinta da quella di conguaglio delle somme anticipate a titolo di CIGS mentre, con riguardo agli interessi anatocistici, ritenevano che dovessero decorrere dalla data della sentenza di primo grado, in quanto prima il credito relativo alla sorte non era liquido. Contro tale pronuncia la s.p.a. ricorre in Cassazione. Occorre una domanda specifica. Gli Ermellini respingono al mittente tutte le doglianze presentate per quanto riguarda le modalità attraverso cui ottenere il contributo di solidarietà, essi aderiscono alla tesi dei giudici di secondo grado, per i quali è necessaria una domanda amministrativa specifica. Non si dimentichi, del resto, che l’art. 443 c.p.c., in riferimento alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, deve essere inteso nel senso di considerare la presentazione della domanda condizione essenziale per il sorgere del diritto che il privato intende tutelare. In altre parole, il diritto trova la sua origine nella domanda all’ente previdenziale e può essere tutelato in virtù della stessa. Due benefici autonomi. I Supremi Giudici, dunque, non negano che la stipulazione dell’accordo di riduzione dell’orario di lavoro sia presupposto comune sia per la concessione del trattamenti di integrazione salariale che della riduzione della contribuzione. Tuttavia, li considerano due benefici autonomi del primo è titolare il lavoratore che, in caso di inottemperanza da parte del datore di lavoro, potrà rivolgersi all’ente previdenziale del secondo è titolare l’impresa che beneficia, appunto, di una riduzione sulla contribuzione dovuta per i lavoratori interessati dal trattamento di integrazione salariale. In materia di previdenza, cambia anche la nozione di liquidità del credito. Alla luce di quanto detto, proprio la necessità di una domanda amministrativa autonoma per l’ottenimento dei contributi di cui si tratta, fa sì che gli interessi anatocistici decorrano dalla data della domanda giudiziale questo perché in materia di previdenza e assistenza sociale, la nozione di liquidità del credito va riferita al momento in cui l’avente diritto entra a disposizione delle relative somme, con chiusura del procedimento amministrativo di pertinenza. Per quanto finora detto, il ricorso si intende respinto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 febbraio – 17 marzo 2016, n. 5318 Presidente Napoletano – Relatore Cavallaro Fatto Con sentenza depositata il 14.1.2010, la Corte d'appello di Genova, in parziale riforma della statuizione di primo grado, condannava l'INPS a corrispondere a Whitehead Alenia Sistemi Subacquei s.p.a. l'importo di € 107.139,50 con interessi legali dal 14.3.1996 e l'importo di € 14.463,37 con interessi legali dal 28.3.2003, oltre interessi anatocistici non decorrenza dalla sentenza di primo grado. La Corte in particolare riteneva che, nell'ipotesi di stipulazione di contratti di solidarietà, la presentazione di una domanda amministrativa ad hoc fosse necessaria per accedere ai benefici contributivi di cui all'art. 5, d.l. n. 14811993 conv. con I. n. 236/1993 , non potendo all'uopo giovare la domanda di conguaglio delle somme anticipate a titolo di CIGS, e, quanto agli interessi anatocistici, riteneva che non potessero decorrere che dalla data della sentenza di primo grado, per non essere anteriormente liquido il credito relativo alla sorte. Per la cassazione di questa pronuncia ricorre Whitehead Alenia Sistemi Subacquei s.p.a. affidandosi a tre motivi. L'INPS resiste con controricorso illustrato con memoria Diritto Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1, d.l. n. 726/1984 conv. con I. n. 863/1984 in combinato disposto con l'art. 5, d.l. n. 148/1993 conv. con I. n. 23611993 , per avere la Corte di merito ritenuto che, onde fruire dei benefici accessori previsti a favore di datori di lavoro che stipulino contratti di solidarietà, fosse necessaria un'apposita domanda amministrativa, distinta da quella di conguaglio delle somme anticipate a titolo di CIGS. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1219 c.c. nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale ritenuto che, avendo essa ricorrente presentato due distinte domande di conguaglio relative a periodi differenti, la prima delle quali rigettata dall'Istituto sul presupposto poi rivelatosi erroneo già nel giudizio di primo grado che fosse maturata la decadenza, la reiezione di detta domanda costituiva l'INPS in mora ex re, onde non sarebbe stata necessaria una nuova domanda amministrativa ai fini della costituzione in mora. Da ultimo, con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1224 e 1284 c.c. e degli artt. 163 e 189 c.p.c., nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata fissato la decorrenza deg11 interessi anatocistici alla data della pronuncia di primo grado, invece che alla data della domanda giudiziale, nonostante quello fatto valere fosse un credito liquido, I tre motivi possono essere trattati congiuntamente, tutti involgendo la questione se, ai fini dell'accesso ai benefici contributivi ex art. 5, d.l. n. 148/1993 cono. con I. n. 236/1993 , sia necessaria un'apposita domanda amministrativa o possa ritenersi sufficiente quella di conguaglio delle somme anticipate a titolo di CJGS, e sono infondati. In termini generali, va osservato che il principio della previa proposizione della domanda amministrativa, quale condizione di accesso ad una determinata prestazione previdenziale o ad un determinato beneficio consistente nella riduzione dell'ammontare dei contributi dovuti agli enti previdenziali, costituisce principio generale dell'ordinamento, coerente con l'evoluzione che le politiche sociali hanno impresso all'antica nozione di status civitatis in termini di status activus processualis, avente come contenuto il potere di avvalersi dei procedimenti stabiliti dalla legge per rendere effettive le posizioni giuridiche soggettive che vi si ricollegano. Si tratta di un principio positivamente stabilito non soltanto nella legislazione che istituisce e regola le diverse provvidenze, ma altresì - ed in termini generali - nell'art. 443 c.p.c., il quale, nel prevedere che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui all'art. 442 c.p.c. non è procedibile se non quando siano esauriti o si debbano considerare esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa, viene ormai costantemente interpretato da questa Corte di legittimità nel senso che la presentazione della domanda amministrativa è viceversa condizione di proponibilità dell'azione giudiziaria, con ciò dovendosi intendere che, a differenza del ricorso introduttivo del procedimento contenzioso amministrativo di cui all'art. 443 c.p.c., la presentazione della domanda condiziona lo stesso sorgere dei diritto del privato da tutelare eventualmente davanti all'autorità giudiziaria, diritto che non può ritenersi sorto unitamente allo speculare obbligo dell'ente previdenziale anteriormente al perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva che nella presentazione della domanda all'ente previdenziale trova appunto il suo incipit cfr. in tal senso Cass. n. 732 del 2007 . Tanto premesso in via generale, va rilevato che l'art. 5, d.l. n. 148/1993 conv. con I. n. 236/1993 , prevede, per quanto qui interessa, che i datori di lavoro che stipulino accordi di riduzione dell'orario di lavoro ai sensi dell'art. 1, d.l. n. 726/1984 conv. con I. n, 863/1984 , beneficiano di una riduzione dell'ammontare della contribuzione previdenziale e assistenziale da essi dovuta per i lavoratori interessati al trattamento di integrazione salariale. Ora, per quanto la stipulazione dell'accordo di riduzione dell'orario di lavoro costituisca presupposto comune sia della concessione dei trattamento di integrazione salariale che del beneficio della riduzione della contribuzione, si tratta - come correttamente rilevato dalla Corte territoriale - di due benefici autonomi, giacché del primo è titolare in senso giuridico il lavoratore, che avrà azione soltanto verso l'ente previdenziale nel caso in cui il datore di lavoro non gli anticipi il trattamento, del secondo è invece titolare l'impresa, che beneficia appunto di una riduzione sulla contribuzione dovuta per i lavoratori che sono interessati dal trattamento di integrazione salariale. Né deve indurre in errore la circostanza che la domanda di trattamento di integrazione salariale vada proposta dal datore di lavoro, invece che dall'assicurato si tratta infatti di una peculiarità del regime giuridico della provvidenza che si spiega agevolmente in relazione al fatto che beneficiaria in senso funzionale ne è l'impresa, che risparmierà sull'ammontare delle retribuzioni dovute, ma che non può riflettersi sulla questione della sua titolarità in senso giuridico. D'altra parte, attesa l'autonomia dei due benefici, altrettanto correttamente la Corte ha negato che gli accessori sulle somme tardivamente corrisposte a parte ricorrente a titolo di benefici ex art. 5, d.l. n. 148/1993, cit., potessero decorrere anteriormente alla presentazione della domanda del 283.2003 all'uopo infatti non poteva giovare la precedente domanda del 14.3.1996, dal momento che quest'ultima concerneva solo l'autorizzazione al conguaglio delle somme anticipate a titolo di trattamento di integrazione salariale e la sua reiezione poteva comportare mora ex re solo per il rimborso dì queste ultime. Constatata con ciò l'infondatezza dei primi due motivi del ricorso, resta da dire che la riconosciuta necessità di un'autonoma domanda amministrativa per ciò che concerne i benefici di cui all'art. 5, d.l. n. 148/1993, cit., rende palese l'infondatezza anche del terzo motivo, volto a contestare la decorrenza degli interessi anatocistici alla data della pronuncia di primo grado, invece che alla data della domanda giudiziale, sul rilievo che tratterebbesi di credito liquido è sufficiente sul punto rilevare che la nozione di liquidità del credito rilevante nell'ambito delle provvidenze di previdenza e assistenza sociale non va desunta dall'art. 1282 c.c., ma va riferita al completamento dei procedimento amministrativo di spesa con messa a disposizione dell'avente diritto delle relative somme, che non può ovviamente sussistere nel caso di inadempimento Cass. n. 17126 del 2002 . Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.q.m. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in € 100,00 per esborsi, € 5.000,00 per compensi e accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dei 10.2.2016.