Mantenimento dei diritti del lavoratore in caso di trasferimento d’azienda

In ogni ipotesi di ritrasferimento, in applicazione dei secondo comma dell’art. 2112 c.c., il concedente è corresponsabile per tutti i debiti dell'affittuario verso i dipendenti correlati al rapporto di lavoro.

Ad affermarlo la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4423/16, depositata il 7 marzo. Il fatto. Il Tribunale di Vibo Valentia rigettava il ricorso del lavoratore che aveva impugnato il licenziamento orale intimatogli dalla società datrice di lavoro e chiesto il ripristino del rapporto. La Corte d’appello di Catanzaro accoglieva il gravame e dichiarava l’illegittimità del licenziamento, condannando la società al ripristino del rapporto. La Corte respingeva, invece, la domanda del lavoratore nei confronti degli altri appellati, quali proprietari dell’azienda ceduta in affitto alla società datrice e poi a loro restituita a seguito di cessazione dl contratto d’affitto, in quanto non era stato provato se all’atto della cessazione del rapporto di affitto il lavoratore era ancora in forza alla predetta società o se era stato già licenziato. Il lavoratore propone ricorso per cassazione, censurando la sentenza per violazione o falsa applicazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 132, n. 4, c.p.c sostiene il ricorrente che la Corte d'appello, pur avendo riconosciuto l'inefficacia del licenziamento orale intimatogli dalla società affittuaria e pur avendo ritenuto applicabile nella fattispecie la norma di cui all'art. 2112 c.c., in tema di trasferimento d'azienda, per effetto della restituzione di quest'ultima ai proprietari che in origine l'avevano ceduta, ha finito per negare, contraddicendosi, la responsabilità solidale di costoro per il credito vantato da esso lavoratore. Onere della prova del datore di lavoro. Il Supremo Collegio ritiene il motivo di ricorso fondato. La Corte territoriale ha, infatti, sbagliato nell’aver preteso che fosse il lavoratore a dover provare che il rapporto di lavoro era ancora in forza con l’affittuaria all’atto della cessazione dell’affitto d’azienda, nonostante fosse stata accertata l’inefficacia del licenziamento orale intimatogli da quest’ultima, con conseguente affermazione del perdurare del rapporto lavorativo. Mentre sarebbe stato onere della società affittuaria, che intendeva valersi degli effetti ad essa favorevoli derivanti dalla retrocessione dell'azienda, dimostrare che il rapporto di lavoro si era legittimamente risolto in epoca antecedente alla restituzione dell'azienda. Sul punto, infatti, ricorda il Collegio come la S.C. ha già avuto modo di statuire che l'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti integranti un trasferimento di ramo d'azienda incombe sul datore di lavoro cedente che intenda avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c., trattandosi di eccezione al principio generale del necessario consenso del lavoratore ceduto . Trasferimento d’azienda. E ancora, sostengono i Giudici, l'art. 2112 c.c., nel regolare la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sè il cessionario senza soluzione di continuità e, pertanto, sia nel caso di restituzione dell'azienda da parte del cessionario all'originario cedente per cessazione del rapporto di affitto, sia nel caso di nuova azienda costituita dal conduttore di bene immobile con pertinenze, atteso che in ogni ipotesi di ritrasferimento, in applicazione dei secondo comma della norma citata, il concedente è corresponsabile per tutti i debiti dell'affittuario verso i dipendenti correlati al rapporto di lavoro, ivi incluso quello attinente al regolare versamento dei contributi assicurativi o al risarcimento del danno conseguente all'omessa o irregolare contribuzione . Queste le ragioni in base alle quali la S.C. ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 novembre 2015 – 7 marzo 2016, n. 4423 Presidente Venuti - Relatore Berrino Svolgimento dei processo Con sentenza pubblicata il 4.1.2010 il giudice del lavoro del Tribunale di Vibo Valentia rigettò il ricorso col quale C.C. aveva impugnato il licenziamento orale intimatogli dalla società Joghè s.r.l. e chiesto il ripristino del rapporto con condanna della stessa al pagamento delle retribuzioni fino alla riammissione in servizio. A seguito di impugnazione di tale decisione da parte del C., la Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 10/10 - 5/12/2013, ha accolto il gravame ed ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento orale intimato l'1/1/1999, condannando la società Joghè s.r.l. al ripristino del rapporto, con corresponsione delle retribuzioni maturate dalla stessa data del recesso, nonché al pagamento della somma di € 13.702,58 a titolo di differenze retributive, oltre accessori di legge, mentre ha respinto la domanda dei lavoratore nei confronti di G. U., G. M.R., G.C.M.G. e M.M La Corte territoriale ha spiegato che il ricorrente aveva provato di aver lavorato come direttore di sala-ristorante alle dipendenze della società appellata, ricevendo una retribuzione inferiore a quella dovutagli, dal 26/5/1998 al 31/12/1998, prima di essere licenziato verbalmente. La stessa Corte ha ritenuto, però, di rigettare la domanda proposta nei confronti degli altri appellati, quali proprietari dell'azienda ceduta in affitto alla società Joghè s.r.l. e poi a loro restituita a seguito di cessazione del contrato d'affitto, in quanto non era stato provato se all'atto della cessazione del rapporto di affitto il lavoratore era ancora in forza alla predetta società o se era stato già licenziato. Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.C. con un solo motivo. Rimangono solo intimati la società Joghè s.r.l. ed i predetti proprietari dell'azienda. Motivi della decisione Con un solo motivo il ricorrente censura l'impugnata sentenza per violazione o falsa applicazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 132, n. 4, c.p.c. assumendo che la Corte d'appello di Catanzaro, pur avendo riconosciuto l'inefficacia del licenziamento orale intimatogli dalla società affittuaria Joghè s.r.l. e pur avendo ritenuto applicabile nella fattispecie la norma di cui all'art. 2112 cod. civ., in tema di trasferimento d'azienda, per effetto della restituzione di quest'ultima ai proprietari che in origine l'avevano ceduta, ha finito per negare, contraddicendosi, la responsabilità solidale di costoro per il credito vantato da esso lavoratore. In particolare, il ricorrente contesta la conclusione secondo cui nel caso di specie non era possibile l'applicazione nei confronti dei proprietari dell'azienda, ai quali la stessa era stata restituita, degli effetti della citata norma del codice civile a causa della ritenuta mancanza di prova, da parte del ricorrente, della circostanza che egli fosse ancora in forza alla datrice di lavoro che l'aveva licenziato. Al contrario, aggiunge il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare la norma di cui all'art. 2112 c.c. anche nei confronti dei proprietari ai quali l'azienda era stata restituita ed estendere ai medesimi la condanna al pagamento delle differenze retributive ed alla reintegra nel posto di lavoro. Il ricorso è fondato. Invero, ha ragione il ricorrente a dolersi della erroneità della decisione della Corte d'appello la quale, da un lato, ha riconosciuto senza ombra di dubbio che per effetto della inefficacia del licenziamento orale intimato dall'affittuaria dell'azienda il rapporto di lavoro col C. era destinato a perdurare con tutte le conseguenze di carattere economico fino al suo ripristino, accertando, altresì, che a seguito della cessazione del rapporto di affitto d'azienda questa era tornata ai suoi proprietari, con conseguente configurabilità di un'ipotesi di cui all'art. 2112 c.c., e, dall'altro, ha ritenuto, tuttavia, di dover rigettare la domanda proposta nei confronti dei proprietari dell'azienda ceduta in affitto alla società Joghè s.r.l., ai quali la stessa era stata reàítuita alla cessazione dei contratto d'affitto, in quanto non era stato provato se all'atto della cessazione del rapporto di affitto il lavoratore era ancora in forza alla predetta società o se era stato già licenziato. L'errore in cui è incorsa la Corte territoriale è stato, perciò, quello di aver preteso che fosse il C. a dover provare che il rapporto di lavoro era ancora in forza con l'affittuaria all'atto della cessazione dell'affitto d'azienda, nonostante fosse stata accertata l'inefficacia del licenziamento orale intimatogli da quest'ultima, con conseguente affermazione dei perdurare del rapporto lavorativo, mentre sarebbe stato onere della società affittuaria, che intendeva avvalersi degli effetti ad essa favorevoli derivanti dalla retrocessione dell'azienda, dimostrare che il rapporto di lavoro si era legittimamente risolto in epoca antecedente alla restituzione dell'azienda. Infatti, a tal riguardo questa Corte Cass. sez. lav. n. 4601 del 6/3/2015 ha già avuto modo di statuire che l'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti integranti ' un trasferimento di ramo d'azienda incombe sul datore di lavoro cedente che intenda avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 cod. civ., trattandosi di eccezione al principio generale del necessario consenso dei lavoratore ceduto. Analogamente si è affermato Cass. Sez. 3, n. 9012 dei 16/4/2009 che l'art. 2112 cod. civ., nel regolare la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sè il cessionario senza soluzione di continuità e, pertanto, sia nel caso di restituzione dell'azienda da parte del cessionario all'originario cedente per cessazione del rapporto di affitto, sia nel caso di nuova azienda costituita dal conduttore di bene immobile con pertinenze, atteso che in ogni ipotesi di ritrasferimento, in applicazione dei secondo comma della norma citata, il concedente è corresponsabile per tutti i debiti dell'affittuario verso i dipendenti correlati al rapporto di lavoro, ivi incluso quello attinente al regolare versamento dei contributi assicurativi o al risarcimento del danno conseguente all'omessa o irregolare contribuzione. Pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata e la causa va rimessa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Reggio Calabria che nel pronunziarsi nuovamente sul merito della vicenda si atterrà ai suddetti principi. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le ,,spese, alla Corte d'appello di Reggio Calabria.