Stop forzato al dirigente: undici mesi non bastano per parlare di danno alla professionalità

Respinta definitivamente la richiesta di risarcimento presentata da un ingegnere. Impossibile parlare di demansionamento. Inaccettabile la tesi di una lesione a bagaglio professionale e immagine del lavoratore.

Periodo di inattività limitato. Solo undici i mesi di stop forzato per il lavoratore, a seguito del trasferimento dell’ufficio. Alla luce di questo dato è esclusa l’ipotesi di un danno alla professionalità del dipendente, inquadrato come dirigente ingegnere” Cassazione, sentenza n. 4232/2016, sezione Lavoro, depositata oggi . Inattività. Già i giudici di merito hanno ritenuto non plausibili le richieste del lavoratore, dirigente ingegnere all’interno di una struttura trasferita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri prima alla Regione e poi all’ Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente . Due gli elementi decisivi, in negativo per il lavoratore primo, la durata di soli undici mesi di inattività secondo, la mancata partecipazione a selezione per progressione di carriera . Di conseguenza, secondo i giudici è illogico parlare di danno alla professionalità . E tale visione viene ora condivisa anche dai Magistrati della Cassazione. Pure in terzo grado, difatti, si ritiene non vi siano i presupposti per ipotizzare un danno al bagaglio professionale del lavoratore ed alla sua immagine verso l’esterno . E in questa prospettiva sono davvero poco significativi gli ulteriori elementi messi sul tavolo dal lavoratore, ossia l’esclusione dalle riunioni e l’ affidamento del coordinamento a un dipendente sottordinato .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 dicembre 2015 – 3 marzo 2016, n. 4232 Presidente Macioce – Relatore Buffa Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Genova, con sentenza del 8/6/2011, confermando sentenza del 2010 del tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda al risarcimento del danno alla professionalità da privazione delle mansioni lamentato da S.M. a seguito del trasferimento dell'ufficio idrografico e mareografico di Genova facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri alla Regione e poi a l l'ARPAL. In particolare, la corte territoriale ha valorizzato la durata di soli 11 mesi dell'inattività dedotta dal lavoratore e la mancata partecipazione a selezione per progressione di carriera il dipendente è poi andato in quiescenza per escludere un danno risarcibile alla professionalità, ritenendo superflue le prove richieste. Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore per unico motivo l'agenzia resiste con controricorso, illustrato da memoria. Il Collegio ha autorizzato la redazione di motivazione semplificata. Motivi della decisione Con unico motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per aver trascurato di verificare l'effettivo demansionamento del lavoratore ed il danno alla sua professionalità. Il ricorso è infondato. Questa Corte ha già precisato tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 26666 del 06/12/2005 che il prestatore di lavoro che chieda la condanna dei datore di lavoro al risarcimento dei danno subito a causa della lesione dei proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita - lesione che, per l'appunto, si profila idonea a determinare una dequalificazione dei dipendente stesso - è tenuto ad indicare in maniera specifica il tipo di danno che assume di aver subito ed a fornire la prova dei pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti e dei nesso di causalità con l'inadempimento prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una sua valutazione, anche eventualmente equitativa e che può essere data, ai sensi dell'art. 2729 cod. civ., anche attraverso l'allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti a tal fine, possono essere valutate nel caso di dedotto danno da demansionamento, quali elementi presuntivi, la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata dei demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione. Rimane, naturalmente, affidato al giudice di merito - le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità - il compito di verificare, di volta in volta, se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l'ammontare, anche, se dei caso, con liquidazione fondata sull'equità. Nella specie, la corte territoriale ha, con motivazione corretta ed adeguata, escluso la ricorrenza di un danno al bagaglio professionale del lavoratore ed alla sua immagine verso l'esterno, in considerazione della durata del preteso demansionamento e della mancata deduzione di elementi pur presuntivi idonei a dar ragione delle varie voci di danno asserite. Non vi sono elementi per sindacare tale valutazione della corte territoriale del resto, la ricorrente salvo il solo richiamo all'esclusione da riunioni e all'affidamento del coordinamento a dipendente sottordinato, elementi in sé insufficienti per l'accoglimento delle pretese attoree non deduce specifici elementi che non sarebbero stati valutati dal giudice di merito, indicativi dei lamentato danno alla professionalità. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro duemila per compensi, Euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura dei 15%.