Fratello totalmente a carico del pensionato: spetta la pensione di reversibilità

Qualora una sentenza sia cassata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, è precluso al giudice di rinvio qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di una rivalutazione dei fatti accertati o di una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso. Consegue che, una volta accertato, alla stregua degli artt. 84 e 85 del d.P.R. n. 1092/1973, regolante le pensioni degli impiegati civili dello Stato, applicabile anche ai dipendenti del Banco di Napoli, il diritto alla pensione di reversibilità in favore, in mancanza di altri aventi causa, dei fratelli del pensionato, non potrà più essere sindacato nuovamente il principio di diritto già enunciato in sede di legittimità nella sentenza rescindente.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro con la sentenza n. 3963/16, depositata il 29 febbraio. Il caso in esame azione proposta dall’erede di soggetto richiedente il diritto alla pensione di reversibilità in quanto sorella convivente e a carico del pensionato deceduto. L’erede legittimo della sorella di un pensionato Banco Di Napoli agiva in giudizio al fine di ottenere il pagamento della pensione di reversibilità a suo tempo richiesta all’Inps ed al Banco di Napoli, in quanto sorella convivente e totalmente a carico del proprio fratello, pensionato Banco di Napoli. L’allora Pretore rigettava la domanda ed analogamente il Tribunale in grado di appello confermava la decisione del primo giudice. Ricorreva in Cassazione il richiedente il beneficio e la Corte di legittimità riformava la sentenza, rinviando alla Corte d’appello per la nuova decisione, in base ai principi di diritto enunciati. La Corte di merito dichiarava il diritto alla richiesta pensione di reversibilità, ponendola a carico di Sanpaolo Imi incorporante il Banco di Napoli . Avverso quest’ultima decisione propone ricorso la banca. Il requisito di nullatenenza in base alla normativa applicabile al caso esaminato. La vicenda trae origine dalla domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità proposta dalla sorella convivente e totalmente a carico di un pensionato Banco di Napoli. I giudici di merito a suo tempo rigettarono al domanda sul presupposto che la richiedente il beneficio pensionistico era sì convivente con il pensionato deceduto, ma non poteva considerarsi priva di reddito, poiché titolare di titoli per un importo di Lire 423.000.000 e godeva dell’usufrutto dell’abitazione già appartenuta al fratello. Decidendo sul ricorso proposto dall’erede legittimo della sorella del pensionato, la Corte di Cassazione aveva affermato spettare il diritto, poiché, alla stregua degli art. 84 e 85 del d.P.R. n. 1092/1973, regolante le pensioni degli impiegati civili dello Stato, applicabile anche ai dipendenti del Banco di Napoli, il diritto alla pensione di reversibilità spetta, in mancanza di altri aventi causa, ai fratelli del pensionato, purché abbiano un'età superiore ai sessanta anni e siano, oltreché conviventi e a carico dello stesso, nullatenenti. E, con particolare riguardo al requisito della nullatenenza, questo si considera integrato ove il soggetto non risulti possessore di redditi assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche, per un ammontare superiore, originariamente, a lire 960.000 annue, in seguito, ratione temporis , in lire 17.374.490, ai sensi del d.m. 20 dicembre 1991. Conseguentemente, il possesso del capitale in titoli di Stato, rientrando, questi ultimi, nel reddito imponibile soltanto a far data dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 461/1997, è ostativo alla condizione di nullatenenza solo da tale epoca. La condizione di nullatenenza era collegata dalla legge allora in vigore, non già al possesso di capitali, ma esclusivamente al possesso di redditi. In applicazione di detto principio il giudice del rinvio aveva pronunciato la sentenza oggi censurata con il nuovo ricorso in Cassazione. Precluso al giudice del rinvio sindacare il principio di diritto elaborato. La banca soccombente non concorda con la decisione della Corte d’Appello e propone dei motivi di ricorso che vanno sostanzialmente a rimettere in discussione quanto già analizzato ed affermato dalla Corte di legittimità nella prima pronuncia, sulla quale il giudice del rinvio aveva basato la propria decisione. E dunque, affermano gli Ermellini, viene violato il limite del giudizio di rinvio, in cui è precluso al giudice della fase rescissoria sindacare l’esattezza del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione. Secondo quanto più volte da questa affermato, qualora una sentenza sia cassata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, è precluso al giudice di rinvio qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di una rivalutazione dei fatti accertati o di una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso, con conseguente impossibilità di pervenire alla conferma della statuizione contenuta nella sentenza cassata sulla base di una rinnovata, e difforme, interpretazione della norma posta a fondamento di detto principio, considerando lo stesso come erroneamente enunciato con riferimento ad una fattispecie diversa da quella dedotta in giudizio. Il ricorso così proposto dalla banca ricorrente, in contrasto sia con i principi fissati in ambito di giudizio di rinvio, sia con quelli in materia di requisiti di nullatenenza, è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 dicembre 2015 – 29 febbraio 2016, n. 3963 Presidente Stile – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 15/4/2005, il Tribunale di Napoli, confermando la statuizione resa dal Pretore del lavoro della stessa sede, rigettò la domanda proposta da C.F.M. , quale erede di D.M. , diretta ad ottenere dall'Inps e dal Sanpaolo Imi spa incorporante la spa Banco di Napoli , la pensione di reversibilità che la D. aveva chiesto quale sorella convivente e a carico di D.A. , pensionato del Banco di Napoli dal 1 agosto 1966 e deceduto il 19 ottobre 1992. 2. Il Tribunale osservò che la convivenza non era stata dimostrata dal certificato di stato di famiglia risalente al 1964 e quindi non alla data della morte del pensionato, ed essendo irrilevante l'autocertificazione della originaria ricorrente che lo stato di impossidenza non era ravvisabile in considerazione del fatto che la richiedente, oltre alla pensione sociale e a quella volontaria casalinghe, possedeva, L. 423.000.000 in titoli e godeva dell'usufrutto della abitazione ereditati dal fratello. 3. Avverso detta sentenza il C. propose ricorso per cassazione. Questa Corte, con sentenza del 21 novembre 2008, n. 27792, accolse il motivo del ricorso principale proposto dal C. , cassò la sentenza del tribunale e rinviò alla Corte d'appello di Napoli per una nuova valutazione della controversia alla luce dei principi di diritto espressi. 4. Nella sentenza rescindente si legge che, nel cassare la sentenza, i giudici di legittimità - dopo aver premesso che la pensione di reversibilità spetta ai fratelli del pensionato, ai sensi del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 84 e 85 la cui vigenza è stata confermata dalla L. 8 agosto 1991, n. 274, art. 18 comma 2 , quando costoro abbiano una età superiore ai sessanta anni, nonché conviventi e a carico del pensionato e nullatenenti che il requisito della vivenza a carico si considera integrato quando il dante causa abbia fornito loro, in tutto o in parte preponderante, i necessari mezzi di sussistenza che, quanto alla nullatenenza, si considera in tale condizione chi non risulti possessore di redditi assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche, per un ammontare superiore, originariamente, a L. 960 mila, annue, mentre la soglia vigente ratione temporis era, pacificamente, di L. 17.374.490, ai sensi del D.M. 20 dicembre 1991 - precisarono che, nella specie, il Tribunale aveva omesso di considerare a in ordine alla convivenza tra i due fratelli D. , il certificato di stato di famiglia del 1992, rilasciato alla morte di D.A. b in ordine alla vivenza a carico, l'attestato dell'Inps di attribuzione degli assegni familiari per gli anni 1962/1964, ed il modello 740/92, relativo ai redditi dell'anno precedente, con cui il pensionato aveva dichiarato di avere a carico la sorella c in ordine all'esistenza del terzo requisito prescritto, e cioè la nullatenenza, il Tribunale, nell'affermare che nella dichiarazione dei redditi dell'anno 1993, la D. aveva denunziato redditi per oltre L. 32 milioni, superiori alla soglia di legge, non aveva spiegato se si trattasse dei redditi propri della ricorrente o di dichiarazione fatta dalla medesima sui redditi del fratello deceduto per il periodo anteriore alla morte, né aveva specificato di quali redditi si trattasse. Aggiunsero infine in ordine al possesso di oltre L. 423 milioni, in titoli di stato, ereditati dal fratello che la condizione di nullatenenza è collegata dalla legge non già al possesso di capitali, ma esclusivamente al possesso di redditi e che gli interessi sui titoli di stato non rientravano ratione temporis tra i redditi imponibili, ex art. 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 Istituzione e disciplina sull’imposta del reddito delle persone fisiche , perché a quel tempo vigeva solo il regime c.d. amministrato e non già il regime c.d. dichiarativo , ossia con dichiarazione nell’Irpef. 5. Riassunto il giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 12 dicembre 2013, la Corte ha accolto l’appello del C. ed ha riconosciuto il suo diritto, quale erede della D. , alla pensione di reversibilità a carico della Sanpaolo Imi s.p.a. a decorrere dal 1/11/1992. La Corte ha affermato che sussistevano i requisiti per l’attribuzione della pensione di reversibilità richiesta da D.M. , secondo le indicazioni dei giudici di legittimità ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Banco di Napoli in relazione all’art. 85,comma 2, d.p.r. n. 1092/1973, se letto nel senso statuito dalla Corte, atteso che non sussiste il contrasto lamentato con gli artt. 3 e 38 della Costituzione ha rigettato l’appello incidentale proposto dal Banco secondo cui graverebbe a suo carico solo il 15% della pensione, restando l’85% a carico dell’Inps, in forza della convenzione stipulata in data 15/2/1999 tra il Banco e l’Inps. Infine, ha condannato il Sanpaolo Imi s.p.a. al pagamento delle spese dell’intero giudizio. 6. Contro la sentenza, la Intesa Sanpaolo s.p.a. propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso il C. , il quale spiega ricorso incidentale, fondato su un unico motivo illustrato da memoria. L’Inps si difende depositando delega in calce al ricorso principale. Motivi della decisione Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi in quanto si tratta di impugnazioni avverso la stessa sentenza. 1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 cod.proc.civ., in riferimento all’art. 384 cod.proc.civ. Lamenta in sostanza che la Corte d’appello non avrebbe rispettato il decisum della Corte di cassazione, la quale si era limitata ad evidenziare i difetti e le lacune motivazionali che inficiavano la sentenza del tribunale napoletano, senza peraltro compiere alcun accertamento, peraltro precluso al giudice di legittimità. Il giudice del rinvio era vincolato a verificare proprio gli elementi evidenziati dalla Corte di legittimità vivenza a carico, verificazione dei redditi , ma tale verifica era stata del tutto omessa. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa interpretazione dell’art. 85 del d.p.r. 1092/1973, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Assume che la Corte d’appello, dopo aver richiesto che la banca depositasse i tabulati da cui rilevare il saggio di rendimento riconosciuto ai titoli di stato all’epoca dei fatti, ha omesso di valutarli e di procedere all’accertamento del reddito della ricorrente, necessario quantomeno per valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Assume che il limite reddituale indicato nell’art. 85 doveva intendersi riferito al complesso dei redditi posseduti dal soggetto, anche se non imponibili, e doveva quindi comprendere BPT e CCT, o quanto meno gli interessi prodotti da tali titoli, quali componenti reddituali ai sensi dell’art. 3 del d.p.r. 597 del 1973. Reitera l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 85, comma 2, del d.p.r. 1092/1973, implicitamente ritenuta rilevante dai giudici di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., qualora si fosse accertata la percezione da parte della ricorrente di interessi prodotti dai titoli di Stato in misura superiore al limite previsto ai fini dello stato di nullatenenza. 3. Con il terzo motivo censura la sentenza per la violazione e la falsa applicazione della legge n. 218/1990, nonché degli artt. 1 e 3 del decreto legislativo 357/1990. Sostiene che, a partire dal 1/1/1991, la posizione del dipendente D. era stata trasferita all’assicurazione generale dell’INPS, a carico del quale gravava l’obbligo di corrispondere l’85% della pensione, e che da tale data l’obbligo del Banco di erogare la pensione si era trasformato da primario in secondario, avendo assunto carattere integrativo delle prestazioni dovute dall’assicurazione generale. In forza del quadro normativo di riferimento e della convenzione stipulata dall’Inps e dagli enti creditizi, tra cui l’Intesa Sanpaolo s.p.a. , la Banca aveva assunto la posizione di un adiectus solutionis causa per la parte di pensione a carico dell’Inps, ma ciò non impediva che la eventuale condanna dovesse pronunciarsi nei confronti dell’istituto previdenziale. 4. I primi due motivi che si affrontano congiuntamente, sono infondati. 4.1. Il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni. Nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo. Nella seconda ipotesi, invece, la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà, non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici cfr. Cass. S.U. 28 ottobre 1997, n. 10598 Cass., 27 luglio 2004, n. 14134, e Cass., 22 aprile 2009, n. 9617 . Nella terza ipotesi, infine, la potestas iudicandi del giudice del rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità da ultimo, Cass., 7 agosto 2014, n. 17790 Cass., 27 agosto 2007, n. 18087 . 4.2. Alla stregua dei principi su richiamati e qui condivisi, deve rilevarsi che, nel cassare la precedente sentenza per vizi di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 85 del DPR cit., questa Corte di legittimità ha sottolineato che i presupposti relativi alla convivenza e alla vivenza a carico emergevano dai documenti versati in atti. Si legge infatti nella sentenza Nella presente fattispecie, quanto alla convivenza tra i due fratelli D. , il Tribunale ha però omesso di valutare il certificato di stato di famiglia del 1992, rilasciato alla morte di D.A. Quanto poi alla vivenza a carico, non vi è solo l’attestato dell’Inps di attribuzione degli assegni familiari per gli anni 1962/1964, ma anche il modello 740/92 relativo ai redditi dell’anno precedente, con cui il pensionato aveva dichiarato di avere a carico la sorella . Sulla base degli elementi in fatto sopra riportati e dei principi in critto, sembra invero incongrua la negazione da parte del Tribunale della esistenza di dette due condizioni convivenza e vivenza a carico . Se dunque è vero che nel corpo della sentenza la Cassazione ha censurato le carenze motivazionali della sentenza impugnata, sia quanto alla ricognizione dello stato di vivenza a carico, sia quanto allo stato di nullatenenza, avendo tenuto conto del capitale ereditato e non del reddito da questo ricavato, sia quanto alla dichiarazione Irpef della D. relativa all’anno 1992 non avendo chiarito in primo luogo se questa si riferisse ai redditi propri ovvero a quelli del fratello defunto e, in ogni caso, di quali redditi si trattasse , è altrettanto vero che la medesima Corte ha tracciato il percorso motivazionale del giudice del rinvio, individuando i documenti decisivi non valutati dal Tribunale e la loro valenza probatoria ai fini dell’accertamento dei menzionati requisiti della convivenza e della vivenza a carico. 4.3. Diversamente da quanto sostiene la Intesa Sanpaolo, la Corte d’appello non ha omesso la motivazione, ma recependo correttamente le indicazioni della Suprema Corte, ha proceduto ad un esame della documentazione indicata, ponendo a base dell’accertata convivenza lo stato di famiglia rilasciato all’epoca della morte del D. , e della vivenza a carico l’attestato Inps relativo agli assegni familiari e la dichiarazione dei redditi del dipendente da cui emergeva che la sorella era a suo carico pag. 3 della sentenza impugnata, depositata nel fascicolo della stessa odierna ricorrente . La Corte ha poi proceduto, sempre nel rispetto del decisum della sentenza rescindente, a valutare la dichiarazione dei redditi presentata dalla D. successivamente alla morte del fratello ed ha ritenuto che essa riguardasse redditi propri di quest’ultimo, non emergendo l’espletamento di alcuna attività lavorativa della D. pag. 3 cit. . Si è dunque in presenza di una motivazione certamente esistente, oltre che in linea con le indicazioni fornite dalla sentenza rescindente, sicché non sussiste la denunciata violazione dell’art. 132 cod.proc.civ 4.4 . Anche con riguardo ai titoli di Stato, la Corte territoriale ha rispettato il principio di diritto enunciato nella sentenza di rinvio che ha escluso il computo degli interessi prodotti dai titoli di stato nella base di calcolo del reddito ai fini del requisito della nullatenenza, offrendo un’interpretazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 597/1973 e dell’art. 85 del D.P.R. n. 1092/1973 vincolante per il giudice del merito. Si legge infatti nella sentenza rescindente Non vi è dubbio che i titoli di stato diano un interesse, interesse che viene qualificato dalla legge come reddito da capitale. Ed infatti il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi all’art. 41, annovera tra i redditi da capitale comma 2 a i buoni fruttiferi e i certificati di deposito con scadenza non inferiore a diciotto mesi emessi da istituti o aziende di credito . Vi è però il fatto che gli interessi sui titoli di stato non rientrano tra i redditi imponibili, recita infatti il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, Istituzione e disciplina sull’imposta del reddito delle persone fisiche all’art. 3, Base imponibile, che Sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile i redditi esenti e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta . È noto che fin ad una certa data gli interessi sui titoli di stato erano soggetti esclusivamente a ritenuta alla fonte, mentre solo con D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 84, vi fu la possibilità di farli rientrare nell’imponibile, dando però la facoltà ai loro possessori di chiedere ancora la ritenuta alla fonte art. 6 quando i titoli fossero in deposito in banca . Nell’anno 1992 i titoli di stato quindi non rientravano nell’imponibile Irpef perché a quel tempo vigeva solo il regime c.d. amministrato e non già il regime c.d. dichiarativo , ossia con dichiarazione nell’Irpef . La Corte ha dunque enunciato il seguente principio di diritto così nella massima Alla stregua degli artt. 84 e 85 del d.P.R. n. 1092 del 1973, regolante le pensioni degli impiegati civili dello Stato, applicabile anche ai dipendenti del Banco di Napoli, il diritto alla pensione di reversibilità spetta, in mancanza di altri aventi causa, ai fratelli del pensionato, purché abbiano un’età superiore ai sessanta anni e siano, oltreché conviventi e a carico dello stesso, nullatenenti, integrandosi il requisito della nullatenenza ove non si risulti possessori di redditi assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche, per un ammontare superiore, originariamente, a 960 mila annue, in seguito, ratione temporis , in lire 17.374.490, ai sensi del D.M. 20 dicembre 1991. Conseguentemente, il possesso del capitale in titoli di Stato, rientrando, questi ultimi, nel reddito imponibile soltanto a far data dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 461 del 1997, è ostativo alla condizione di nullatenenza solo da tale epoca, prima della quale, la condizione di nullatenenza è collegata, dalla legge, non già al possesso di capitali, ma esclusivamente al possesso di redditi . Con il motivo di ricorso, e precisamente con il secondo, la ricorrente intende contestare questa interpretazione dell’art. 85 del D.P.R. cit., in collegato disposto con l’art. 3 del D.P.R. n. 597/1973, ed opporre la diversa opzione ermeneutica in forza della quale, ai fini del requisito della nullatenenza, deve aversi riguardo al reddito complessivo, ancorché esente da tasse, e quindi anche ai BPT e CCT, quanto meno per gli interessi prodotti. Così facendo, tuttavia, viola i limiti del giudizio di rinvio, nel quale è precluso al giudice della fase rescissoria sindacare l’esattezza del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione v. da ultimo, Cass., 29 ottobre 2014, n. 23015 . 4.5. Quanto al problema della compatibilità costituzionale della norma così come interpretata a prescindere dall’ammissibilità della questione, sulla quale si registra un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte v. Cass., 21 dicembre 2007, n. 27082, secondo cui è possibile riproporre in sede di rinvio la questione di legittimità costituzionale, ancorché si riferisca alla medesima norma su cui si basa il principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione, atteso che l’effetto vincolante di detto principio non opera con riguardo alla sua validità costituzionale, la cui attestazione non compete al giudice ordinario, mentre per Cass., 9 aprile 2004, n. 6986, ciò deve escludersi in ragione della definitività del principio di diritto enunciato, cui adde Cass., 27 settembre 2002, n. 14022 , devono qui ribadirsi le osservazioni già svolte da questa Corte nella sentenza rescindente, che ne ha escluso la rilevanza in difetto di prove circa l’eventuale superamento da parte della D. del limite reddituale massimo consentito per integrare lo steso di nullatenenza per effetto degli interessi maturati sui titoli di stato posseduti. L’assunto della parte ricorrente, secondo cui il giudice del rinvio non avrebbe esaminato la documentazione prodotta in quella sede ed attestante i rendimenti dei titoli, non è sorretto da autosufficienza, non avendo la parte trascritto il contenuto dei tabulati e depositato gli stessi unitamente al ricorso per cassazione, così non assolvendo il duplice onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., e, a pena di improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte v. da ultimo, Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174 Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966 . 5. Questi stessi limiti di autosufficienza si rinvengono nel terzo motivo, atteso che la parte non ha trascritto né prodotto unitamente al ricorso per cassazione la convenzione del 15/2/1999 stipulata dall’Inps e dal Banco di Napoli, in forza della quale si assume sussistente l’obbligo dell’Istituto di provvedere al pagamento dell’85 % della pensione. Il motivo è comunque infondato, alla luce di quanto dispone l’art. 6 del d.lgs. n. 357/1990, che, sotto la rubrica Convenzioni con l’INPS per l’erogazione diretta e complessiva della pensione da parte del datore di lavoro , prevede che 1. Il pagamento unitario del trattamento pensionistico complessivo, risultante dalla somma della quota a carico della gestione speciale e di quella determinata ai sensi dell’art. 4, è effettuato per conto dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dagli enti creditizi di cui all’art. 1 ovvero dalle società da essi risultanti ai sensi dell’art. 1 della legge 30 luglio 1990, n. 218, previa stipulazione di apposita convenzione, che deve prevedere il pagamento delle pensioni alla stessa scadenza di quelle erogate dagli originari fondi o enti nonché sistemi di conguaglio fra le somme per prestazioni erogate per conto dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e i contributi allo stesso dovuti. 2. Il soggetto erogatore ai sensi del comma precedente è sostituto d’imposta a norma dell’art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 . Dalla chiara,formulazione della norma si evince che il pagamento unitario del trattamento pensionistico complessivo è effettuato per conto dell’INPS dagli stessi enti creditizi, previa stipulazione di apposita convenzione soggetta a particolari condizioni art. 6, comma 1 . Tale disposizione comporta una semplificazione del rapporto previdenziale, intercorrente tra lavoratore, datore ed ente di previdenza, in quanto sono accentrate in un unico soggetto l’istituto datore tanto la contribuzione per la parte competente al datore che la erogazione della prestazione previdenziale Cfr. Cass., ord. 9 febbraio 2009, n. 3114 Cass., ord. 15 ottobre c2010, n. 21364 . Ne discende che l’ente creditizio è l’unico soggetto obbligato al pagamento nei confronti del dipendente, salvo l’eventuale esercizio del diritto di rivalsa per la quota a carico dell’ente previdenziale, anche nelle forme previste del conguaglio. 6. Con il ricorso incidentale il C. lamenta la violazione la falsa applicazione dell’art. 429, comma 3, cod.proc.civ. e 5 l. n. 205/2000, nella parte in cui la sentenza ha omesso di condannare la Intesa Sanpaolo al pagamento, sulle somme dovute a titolo di pensione, degli interessi e della rivalutazione monetaria. Il motivo è fondato. Risulta invero che con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ha chiesto la condanna della Intesa Sanpaolo al pagamento della pensione di reversibilità oltre interessi e rivalutazione . Deve invero ritenersi inapplicabile la L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, sul divieto di cumulo d’interessi e rivalutazione monetaria riguardando questo le prestazioni dovute da enti gestori di previdenza obbligatoria, mentre nella specie il trattamento è dovuto, sia pure pro quota , dallo stesso datore di lavoro in tal senso, Cass., 28 ottobre 2008, 25889 Cass., 27 aprile 1994, n. 3995 Cass., 14 ottobre 2015, n. 20717 v. pure Cass., 12 luglio 2004, n. 12868 , dovendo nel contempo pure ritenersi la inapplicabilità alla presente fattispecie, ratione temporis , della disposizione dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, siccome intervenuta successivamente alla maturazione del diritto. 7. In definitiva, va accolto il ricorso incidentale e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, perché provveda a riconoscere al ricorrente la rivalutazione monetaria sulle somme dovute a titolo di pensione di reversibilità per il periodo compreso fra la data in cui si sono verificate le condizioni di responsabilità del debitore e quella dell’effettivo pagamento, nonché degli interessi legali sull’importo rivalutato e per il periodo prima precisato. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio. Deve invece essere rigettato il ricorso principale. Poiché esso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002. In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame Cass., ord. 13 maggio 2014 n. 10306 . P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi accoglie il ricorso incidentale e rigetta quello principale cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.