I versamenti a fondi di previdenza integrativa hanno natura previdenziale

I versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l’inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Lo ha ribadito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23996/15, depositata il 24 novembre. Il caso. L’ordinanza in commento muove dalla domanda presentata da un dipendente in quiescenza dell’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura per il Molise per sentir accertato e dichiarato il suo diritto al computo nel trattamento pensionistico e nel TFR de contributo versato dall’ente sul conto individuale del lavoratore presso il fondo di previdenza integrativa Natura dei versamenti alla previdenza complementare le Sezioni Unite hanno da poco risolto il dilemma. La questione sollevata dal ricorrente, ricordano gli Ermellini, riguarda la natura dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza complementare, su cui si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite, per dirimere un contrasto formatosi in seno alla Sezione Lavoro con riferimento al periodo precedente la riforma della previdenza integrativa realizzata dal d.lgs. n. 124/1993. Primo orientamento natura retributiva. Secondo un primo orientamento, fino al momento dell’entrata in vigore della riforma della previdenza complementare, i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali previsti dalla contrattazione collettiva, avevano natura di debiti di lavoro ed erano esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, dato il nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa. Ne derivava che i versamenti effettuati dal datore di lavoro andavano considerati rilevanti ai fini del computo del TFR e dell’indennità di anzianità Cass. n. 545/11 . Secondo orientamento natura previdenziale. Per l’orientamento opposto, invece, già prima della riforma della previdenza complementare, i versamenti effettuati in favore dei fondi di previdenza non potevano essere considerati di natura retributiva, dal momento che non venivano corrisposti ai dipendenti ma erogati direttamente al fondo. Tale orientamento, inoltre, trovava ulteriore fondamento nella circostanza che detti versamenti erano stati esclusi dalla soggezione alla contribuzione ordinaria e assoggettati solo ad un contributo di solidarietà in favore delle gestioni pensionistiche di legge alle quali erano iscritti i lavoratori Cass. 9016/12 . La scelta delle Sezioni Unite. Proprio a quest’ultimo orientamento hanno dato seguito le Sezioni Unite, secondo cui, con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal d.lgs. n. 124/1993, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno – a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia una personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell’ambito dello stesso soggetto datore di lavoro – natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l’inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro Cass., SS.UU., n. 6349/15 . Alla luce del richiamato insegnamento delle Sezioni Unite, pertanto, la Corte ha ritenuto infondata la domanda di riliquidazione azionata nel presente giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 7 ottobre – 24 novembre 2015, n. 23996 Presidente Curzio – Relatore Garri Fatto e diritto E.D.P., dipendente in quiescenza dell'Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura nel Molise ARSIAM già Ente Regionale di Sviluppo Agricolo per il Molise -- ERSAM conveniva in giudizio l'INPDAP per sentir accertare e dichiarare il suo diritto al computo nel trattamento pensionistico e nel trattamento di fine servizio del contributo del 10% sulla retribuzione mensile globale versata dall'ente sul conto individuale del lavoratore presso il fondo di previdenza integrativa di cui al Regolamento del 16.04.1980, con condanna dell'Istituto previdenziale al pagamento dei relativi importi maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria. Il Tribunale di Campobasso dichiarava difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sulla domanda avente ad oggetto il calcolo della pensione nonché difetto di legittimazione passiva dell'INPDAP in relazione alla domanda di riliquidazione dell'indennità di buonuscita. La Corte di appello di Campobasso, ritenuta la legittimazione passiva dell'Istituto convenuto, ha respinto nel merito la domanda di riliquidazione dell'Indennità Premio di Servizio IPS . La decisione è stata adottata in dichiarata adesione all'orientamento espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 176 del 2013 che, in sede di interpretazione degli artt. 4 e 11 della 1. n. 152 dei 1968 - seppur con specifico riguardo al comparto sanità - nel verificare dell'indennità di qualificazione professionale e valorizzazione delle responsabilità nell'IPS, aveva escluso l'esistenza di una nozione di retribuzione onnicomprensiva utile ai fini della liquidazione dell'indennità premio di servizio ricordando che la retribuzione contributiva è costituita da stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della 13 mensilità e del valore degli assegni in natura , spettante per legge o per regolamento e formanti parte integrante dello stipendio stesso e proponendo quindi, una nozione restrittiva di stipendio o salario con esclusione degli emolumenti che non fanno parte di quelli specificatamente indicati dalla norma. Inoltre la Corte di merito, richiamando l'orientamento della Suprema Corte che ha affermato che le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza integrativa e complementare non si computano ne nell'indennità di anzianità ne nel trattamento di fine rapporto, ha escluso che il contributo affluito sul. conto previdenziale del lavoratore potesse essere utilizzato per il computo dell'IPS richiesta. Per la cassazione della sentenza ricorre E.D.P. sulla base di un unico articolato motivo con il quale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 33 L.R. 9 novembre 1977 n. 40 3 del Regolamento del Fondo di Previdenza del 16 Aprile 1980 approvato con deliberazione 11.12.1981 n. 219 9 bis comma 1 del d.l. 9.3.1991 n. 103 convertito in 1. 01.06.1991 n. 166 come modificato dall'articolo 1 comma 193 della 1. 23.12.1996 n. 662 2909 c.c. 1 comma 132 della l. 30.12.2004 n. 311 come modificato dall'articolo 14 septdecies del d.l. 30.05.2005 n. 115 convertito con 1. 17.09.2005 n. 168. Per altro profilo, poi, deduce l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo all'esclusione della natura retributiva dei contributi posti a carico dell'ERSAM e versati al Fondo di previdenza di cui al Regolamento del 16.4.1980. Sostiene in particolare che detti contributi, parametrati al 10% della retribuzione erogata, costituiscono un incremento della retribuzione stessa e come tali devono essere computati nell'Indennità Premio di Servizio. L'Inps è rimasto intimato. Con memoria ex articolo 378 c.p.c. il ricorrente nel prendere atto del sopravvenuto intervento da parte delle sezioni unite di questa Corte n. 6349 del 2015 chiede che vengano compensate le spese. Tanto premesso, il ricorso è manifestamente infondato alla luce della recente sentenza delle sezioni Unite di questa Corte n. 6349 del 30 marzo 2015 che ha composto il contrasto formatosi in seno alla sezione lavoro di questa Corte concernente la natura dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza complementare e, quindi, la loro computabilità ai fini del trattamento di fine rapporto e della indennità di anzianità , circoscritto al periodo di lavoro precedente la riforma della previdenza integrativa, operata con d.lgs. n. 124 del 1993. Tale contrasto era espresso dalla diversa soluzione adottata da Cass. 12 gennaio 2011 n. 545 e da Cass. 5 giugno 2012 n. 9016 a cui si aggiungano tra le altre Cass. 31 maggio 2012 n. 8695 e 4 aprile 2013 n. 8228 . In particolare, secondo l'orientamento espresso dalla prima delle suddette decisioni, fino alla data di entrata in vigore della riforma della previdenza complementare d.lgs. n. 124 del 1993 , i trattamenti pensionistici integrativi, erogati a seguito della costituzione di fondi speciali individuali o collettivi previsti dalla contrattazione collettiva, avevano natura di debiti di lavoro, esigibili dopo la cessazione del rapporto di lavoro, essendo in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa, con la conseguenza che i relativi versamenti effettuati dal datore di lavoro dovevano considerarsi rilevanti ai fini del computo del trattamento di fine rapporto e dell'indennità di anzianità cfr. Cass. n. 545/2011 cit. . L'opposto orientamento ritiene invece che, anche prima della riforma della previdenza complementare del 1993, i versamenti effettuati in favore dei fondi di previdenza non potevano essere considerati di natura retributiva, per la ragione essenziale che gli stessi non venivano corrisposti ai dipendenti ma venivano erogati direttamente al fondo cfr. Cass. n. 9016/ 2012 cit. . Secondo quest'ultimo orientamento la natura non retributiva di tali versamenti risulta avvalorata dal regime contributivo-previdenziale in quanto, a seguito della legge n. 166 del 1991, detti versamenti erano stati esclusi dalla soggezione alla contribuzione ordinaria e assoggettati solo a un contributo di solidarietà, nella misura del 10%, in favore delle gestioni pensionistiche di legge alle quali erano iscritti i lavoratori. In sostanza la mancata soggezione di tali versamenti all'ordinario obbligo contributivo attesterebbe la natura non retributiva degli stessi e, per conseguenza, l'esclusione delle somme versate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza integrativa e complementare dalla computabilità nell'indennità di anzianità maturata fino al 31 maggio 1982 e nel TFR, non operando quindi alcuna distinzione fra il periodo precedente e il periodo successivo alla più volte citata riforma della previdenza complementare del 1993. A quest'ultimo orientamento hanno dato seguito le sezioni unite che nel comporre il contrasto hanno affermato il seguente principio di diritto con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal d.lgs. 21 aprile 1993 n. 124, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno - a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia una personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell'ambito dello stesso soggetto datore di lavoro - natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l'inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro cfr. Cass. s.u. n. 6349 del 2015 cit. . Alla luce del richiamato orientamento la domanda di riliquidazione azionata nel presente giudizio è infondata. In conclusione e per le ragioni sopra esposte il ricorso manifestamente infondato deve essere rigettato con ordinanza ai sensi dell'articolo 375 c.p.c Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità stante la mancata costituzione dell'Inps, mentre patte ricorrente è tenuta al versamento dell'ulteriore importo, pari a quello già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'articolo 13 comma 1 bis del citato d.p.r