Il divieto di intermediazione di manodopera negli appalti endoaziendali

Il divieto di intermediazione ed interposizione di manodopera nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti endoaziendali, caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore–datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione , senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

Non è necessario, infatti, per realizzare un'ipotesi di intermediazione vietata, che l'impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l'estraneità dell'appaltatore all'organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell'esecuzione dell'appalto, rimane priva di rilievo ogni questione inerente il rischio economico e l'autonoma organizzazione del medesimo. È quanto emerge dalla sentenza n. 23962/2015 della Corte di Cassazione, depositata il 24 novembre scorso. I requisiti di genuinità dell'appalto endoaziendale. Per decidere la controversia in oggetto, la Suprema Corte ha ricordato che la nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro vietato dall'art. 1, legge n. 1369/1960, in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell'art. 3 della stessa legge, concernente l'appalto lecito di opere e servizi all'interno dell'azienda con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore ne consegue che l'ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerato dal terzo comma del citato art. 1 impiego di capitali, macchine ed attrezzature forniti dall'appaltate , sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione – da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli – in particolare nel caso di attività esplicate all'interno dell'azienda appaltante, sempre che il presunto appaltatore non dia vita, in tale ambito, ad un'organizzazione lavorativa autonoma e non assuma, con la gestione dell'esecuzione e la responsabilità del risultato, il rischio di impresa relativo al servizio fornito. La verifica del giudice di merito. Aldilà dell'ipotesi di presunzione di interposizione fittizia prevista dal terzo comma dell'art. 1, legge n. 1369/1960, occorre di volta in volta procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se l'impresa appaltatrice, assumendo su di sé il rischio economico dell'impresa, operi in concreto in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'impresa committente, se sia provvista di una propria organizzazione di impresa, se in concreto assuma su di sé l'alea economica dell'attività produttiva oggetto dell'appalto, infine se i lavoratori impiegati per il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall'appaltatore ed agiscano alle dipendenze e nel suo interesse. Quando tutti questi elementi siano riscontrati come presenti ed i risultati dell'accertamento processuale convergano nel senso che l'impresa appaltatrice sia sprovvista di effettiva autonomia imprenditoriale ed abbia struttura e capitali del tutto inadeguati all'importanza dell'opera, i poteri decisionali siano riservati al committente e sia sottratta all'appaltatore ogni autonomia, sicché questo sia un semplice strumento per celare la realtà dei rapporti, il fatto che egli abbia anche potuto impiegare, nell'esecuzione dei lavori, capitale, attrezzature e mezzi propri, diventa circostanza del tutto marginale ed irrilevante ai fini del riconoscimento della sussistenza della situazione interpositoria ipotizzata dal primo comma del citato art. 1.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 ottobre – 24 novembre 2015, numero 23962 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza numero 950 del 30 novembre 2009, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pavia numero 210/2006, in accoglimento dell'appello proposto dall'INPS nei confronti della società Rastelli italiana srl, Esatri spa ed INAIL, condannava la suddetta società a pagare per contributi, la somma di Euro 37.574,00, oltre interessi e sanzioni civili dalle scadenze al 5 luglio 2002. Confermava nel resto. La contestazione era fondata sul ritenuto illecito ricorso, da parte della società, a prestazioni di manodopera di personale formalmente dipendente da una società cooperativa, con violazione dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, numero 1369. 2. Il Tribunale di Pavia, accogliendo l'opposizione, aveva annullato la cartella esattoriale emessa nei confronti della società Rastelli italiana srl per la riscossione dei contributi e delle sanzioni relativi alla ritenuta interposizione di manodopera nei confronti di 19 lavoratori della Cooperativa Italcoop scarl, violazione accertata con verbale del 15 giugno 2001. 3. La Corte d'Appello, dopo aver affermato che il pagamento del debito contributivo effettuato dall'intermediario Cooperativa Italcoop scarl aveva effetto estintivo, rilevava che residuava un credito per contributi pari a Euro 37.574,00, e che, quanto alle sanzioni ed interessi, gli stessi erano dovuti sino alla data del 5 luglio 2002, data in cui perveniva all'INPS la richiesta di ricalcolo degli importi recati dall'avviso bonario. 4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l'INPS prospettando un motivo di ricorso. 5. Resiste con controricorso e ricorso incidentale articolato in due motivi, la società Rastelli Italiana srl. 6. L'INPS resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza di appello. 1.1. Sempre in via preliminare, va disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale proposta dalla società in quanto lo stesso, in ragione dell'esposizione dei fatti, che ripercorre le vicende di causa, e delle censure, soddisfa i requisiti di cui all'art. 366, comma 1, cpc. 2. Ha priorità logico-giuridica l'esame del ricorso incidentale, in quanto volto a contestare la ritenuta interposizione illecita di manodopera. 3. Con il primo motivo del ricorso incidentale è prospettata la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, della legge numero 1369 del 1960, e degli artt. 1411, 1655 e 2909 cc art. 360, numero 3, cpc . Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360, numero 5, cpc . La ricorrente incidentale censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto sussistere l'interposizione illecita. Ed infatti, il giudice di secondo grado avrebbe posto a fondamento della propria decisione l'inesistenza di un contratto di appalto in forza del quale Italcoop avrebbe reso la propria prestazione di servizi, per il tramite dei suoi soci, a vantaggio della Rastelli Italiana, senza valutare né motivare, in modo sufficiente ed adeguato, in merito. Sussisteva, infatti, un contratto di appalto tra altra società, la Rastelli Raccordi e Italcoop, e poiché Rastelli Italiana era unica cliente di Rastelli Raccordi, era evidente che quest'ultima aveva interesse a che parte dei servizi appaltati ad Italcoop fossero resi a vantaggio di Rastelli Italiana, venendo in rilievo un contratto a favore di terzi. Peraltro, l'INPS non aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Pavia numero 182/06, emessa nei confronti della Rastelli Raccordi e passata in giudicato, che riteneva esistente un contratto di appalto tra Rastelli Raccordi ed Italcoop. Né, come invece ritenuto dalla Corte d'Appello, poteva assumere rilievo dirimente la circostanza che i soci della cooperativa svolgessero attività pertinenti il ciclo produttiva della società. In modo contraddittorio, il giudice di appello contestava la natura del rapporto associativo dei 19 lavoratori di cui al rapporto ispettivo, senza spiegare a quale titolo, se non erano soci, gli stessi partecipavano ad assemblee e riunione della cooperativa, tenuto conto, altresì, che il teste Gallo riferiva che i soci pagavano la quota associativa. Apoditticamente, poi, era stato negato dalla Corte d'Appello che per Italcoop sussistesse il rischio di impresa, atteso che indice evidente di ciò poteva essere considerata la stipula di un assicurazione contro i danni cagionabili a terzi. Nessun teste, infine, aveva riferito circa l'esercizio del potere disciplinare da parte di Rastelli Italiana nei confronti dei soci Italcoop. 4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cc art. 360, numero 3, cpc . Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio art. 360, numero 5, cpc . La società censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto che non era dimostrato che la cooperativa, che non si discuteva fosse in sé dotata di mezzi strumentali, avesse utilizzato, per l'attività svolta in Rastelli, mezzi e attrezzature proprie. Poiché vi era il riconoscimento della natura genuina dell'imprenditore Italcoop, si sarebbe dovuto riconoscere che tale imprenditore era libero di organizzare autonomamente l'esecuzione dei servizi appaltati, non potendo il giudice sindacare le scelte imprenditoriali, e spettando all'INPS di provare la pretesa creditoria. 5. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati. 5.1. La nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro, vietato dall'art. 1 della legge numero 1369 del 1960, in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell'art. 3 della stessa legge, concernente l'appalto lecito di opere e servizi all'interno dell'azienda con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore ne consegue che l'ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal terzo comma del citato art. 1 impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante , sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione - da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli -, in particolare nel caso di attività esplicate all'interno dell'azienda appaltante, sempre che il presunto appaltatore non dia vita, in tale ambito, ad un'organizzazione lavorativa autonoma e non assuma, con la gestione dell'esecuzione e la responsabilità del risultato, il rischio di impresa relativo al servizio fornito. 5.2. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare Cass., numero 1676 del 2005 con riguardo al suddetto divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, occorre di volta in volta - al di là della richiamata ipotesi di presunzione di interposizione fittizia prevista dal terzo comma dell'art. 1 cit. per il caso di fornitura all'appaltatore da parte del committente di capitale, macchine ed attrezzature - procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se l'impresa appaltatrice, assumendo su di sé il rischio economico dell'impresa, operi concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'impresa committente se sia provvista di una propria organizzazione d'impresa se in concreto assuma su di sé l'alea economica insita nell'attività produttiva oggetto dell'appalto infine se i lavoratori impiegati per il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall'appaltatore ed agiscano alle sue dipendenze e nel di lui interesse. Quando tutti questi elementi siano riscontrati come presenti ed i risultati dell'accertamento processuale convergano nel senso che l'impresa appaltatrice sia sprovvista di effettiva autonomia imprenditoriale ed abbia struttura e capitali del tutto inadeguati all'importanza dell'opera, i poteri decisionali siano riservati al committente e sia sottratta all'appaltatore ogni autonomia, sicché questo sia un semplice strumento per celare la realtà dei rapporti, il fatto che egli abbia anche potuto impiegare, nell'esecuzione dei lavori, capitale, attrezzature e mezzi propri, diventa circostanza del tutto marginale ed irrilevante ai fini del riconoscimento della sussistenza della situazione interpositoria ipotizzata dal primo comma dell'art. 1 della legge numero 1369 del 1960. 5.3. Si è, altresì, affermato Cass., numero 11720 del 2009 che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro art. 1 della legge 23 ottobre 1960, numero 1369 , in riferimento agli appalti endoaziendali , caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore - datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione , senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, non essendo necessario, per realizzare un'ipotesi di intermediazione vietata, che l'impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l'estraneità dell'appaltatore all'organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell'esecuzione dell'appalto, rimane priva di rilievo ogni questione inerente il rischio economico e l'autonoma organizzazione del medesimo. 5.4. Nella fattispecie in esame, la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, senza invertire l'onere della prova, con congrua e adeguata motivazione che si sottrae alle censure denunciate con le quali, peraltro, per come prospettate in relazione alla vantazione delle risultanze istruttorie, documentali e per testi, si chiede alla Corte un inammissibile riesame nel merito. In proposito, si può rilevare che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, primo comma, numero 5, cpc in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione Cass., sentenza numero 9233 del 2006 . Ed infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito rinterpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il peso probatorio di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice Cass., numero 13054 del 2014 . Pertanto, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili Cass., numero 11511 del 2014 . 5.5. La Corte d'Appello di Milano ha rilevato la mancanza di un contratto di appalto tra la Rastelli Italiana e la Italcoop. Tale circostanza, in sé, non è stata contestata dalla ricorrente incidentale, la quale ha fatto un generico e non decisivo riferimento, richiamando la sentenza numero 182/06 del Tribunale di Pavia, al contratto di appalto stipulato tra Italcoop e altra società, la Rastelli Raccordi, contratto del quale assume apoditticamente la concorrente natura di contratto a favore di terzo. Il giudice di secondo grado, in ragione di un'accurata disamina delle risultanze istruttorie, rilevava la presenza, al momento della visita ispettiva, dei soci lavoratori in tutti i reparti produttivi lo svolgimento da parte degli stessi dell'attività di montaggio sia manuale che mediante l'uso di macchine la circostanza che i soci addetti al montaggio nove lavoratori riferivano che, per problemi nella lavorazione, si rivolgevano al sig. C. dipendente della Rastelli Italiana srl. la non attendibilità della testimonianza del teste M. , secondo il quale, i soci della cooperativa svolgevano esclusivamente operazioni di movimentazione dei pezzi manualmente e anche di pulizia, in quanto la stessa era rimastra priva di riscontri e in contrasto con le altre testimonianze. Quanto al reparto zincatura dall'esito delle testimonianze emergeva che i soci della cooperativa caricavano e scaricavano i pezzi, o in alcune occasioni si occupavano della zincatura di piccoli pezzi. Tali risultanze consentivano di validare quanto riferito dal teste S. , operaio di Rastelli Italiana srl i soci della cooperativa aiutavano gli operai della Rastelli italiana srl per permettere una maggiore produzione di raccordi. C. e Sa. erano i capi reparto che fornivano le istruzioni a noi operai e ai soci della cooperativa . Dalle risultanze istruttorie risultava che tutti i soci avevano dichiarato di non aver mai pagato una quota associativa, alcuni avevano partecipato a riunione o assemblee, altri no. Tale esito istnittorio non è adeguatamente censurato dalla ricorrente incidentale che, in proposito, richiamava la testimonianza del solo teste Rosario Gallo, procuratore speciale di Italcoop. I soci a fine giornata dichiaravano il numero di ore lavorato al responsabile di Rastelli Italiana srl, C. , che le annotava su un foglio. Proprio in ragione dell'ampia e articolata istruttoria, la Corte d'Appello, disattendendo la decisione del giudice di primo grado, atteso che, in particolare, non risultava provato che per l'attività svolta presso la Rastelli Italiana srl la cooperativa utilizzasse mezzi propri, e dunque fosse soggetta ad un rischio economico diverso da quello di retribuire le ore lavorate, emergeva che i soci della cooperativa svolgevano attività appartenenti al ciclo produttivo della società in stretta collaborazione con gli operai della stessa, con un impegno non marginale nell'ambito dei singoli reparti, impegno protratto negli anni e coordinato dai capi reparto C. , M. , Sa. , di Rastelli Italiana srl agli operai dipendenti residuavano solo le mansioni più qualificate. Né, da un lato, la mancata prova dell'utilizzo di mezzi propri può essere sopperita con il richiamo all'autonomia organizzativa dell'imprenditore, secondo quanto dedotto in particolare nel secondo motivo del ricorso incidentale dall'altro il rischio d'impresa non può sostanziarsi nella stipula di un'assicurazione contro i danni a terzi. Correttamente e con congrua motivazione, non adeguatamente censurata con i motivi di - ricorso incidentale, la Corte d'Appello ha ritenuto che la mancanza di qualsivoglia organizzazione tecnica da parte della cooperativa, sia in termini di organizzazione dei mezzi di produzione, che di controllo tecnico del risultato, demandato esclusivamente ai dipendenti della Rastelli che svolgevano la costante verifica del lavoro anche dei soci della cooperativa, escludeva che si potesse parlare di appalto di opere o di servizi e quindi che potesse trovare applicazione l'art. 3, comma 1, della legge numero 1369 del 1960. 6. Con l'unico motivo del ricorso principale l'INPS prospetta violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge numero 1369 del 1960. L'INPS censura la statuizione della sentenza della Corte d'Appello che attribuisce effetti liberatori al versamento effettuato dalla c.d. società interposta Cooperativa Italcoop scarl. Ed infatti, ad avviso dell'Istituto, il pagamento dei contributi da parte dell'intermediario e cioè del datore di lavoro apparente, non avrebbe effetto estintivo rispetto al debito contributivo del datore di lavoro effettivo, nella specie società Rastelli italiana srl. In tal senso depone la natura pubbliche delle obbligazioni contributive e delle relative sanzioni, che evidenzia l'interesse degli Istituti preposti alla funzione assistenziale e previdenziale a che dette obbligazioni siano adempiute proprio dai soggetti specificatamente indicati dalla legge, senza che sia ipotizzabile una fungibilità in merito. Né, è configurabile l'adempimento del terzo ex art. 1180 cc, laddove si consideri che l'effetto estintivo si può avere solo se il solvens è consapevole di essere estraneo al rapporto obbligatorio, mentre il terzo effettua il pagamento nell'erronea convinzione di esservi tenuto. L'INPS contesta, quindi la giurisprudenza di legittimità richiamata nella sentenza della Corte d'Appello Cass., numero 12509 del 2004, numero 657 del 2008, numero 1666 del 2008 , che fa leva sulla circostanza dell'affidamento del terzo e sull'apparenza della situazione giuridica, omettendo di rilevare che il sistema di interessi fondante la teoria dell'apparenza è di natura solo privatistica. Infine il ricorrente richiama Cass., numero 20143 del 2010 che si è discostata dall'orientamento secondo il quale i pagamenti effettuati dall'intermediario avrebbero effetto estintivo. 6.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. La vicenda attiene alla rilevanza e agli effetti del pagamento da parte del terzo - interposto o cosiddetto datore di lavoro fittizio - nell'ambito di una fattispecie vietata dalla legge divieto di interposizione di manodopera ex art. 1 della legge numero 1369 del 1960 . Con la sentenza numero 8451 del 2010, ai cui principi, enunciati anche tenendo conto di quanto statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza 22910 del 2006, si intende dare continuità, si è affermato che per quel che riguarda la problematica concernente la dedotta esistenza di effetti liberatori in relazione al versamento dei contributi effettuato dalla società c.d. interposta, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare, sin dalla sentenza numero 12509 del 2004 che alla luce del disposto di cui all'art. 1180 cc, deve ritenersi che l'obbligazione può essere adempiuta con effetti satisfattivi anche da un terzo ed ha altresì rilevato, con riferimento ai pagamenti di contributi effettuati dal datore di lavoro fittizio appaltatore o interposto , l'irripetibilità da parte dello stesso dei contributi già versati, non essendo possibile ritenere ai sensi dell'art. 2036 cc la scusabilità dell'errore sulla identità dell'effettivo debitore, e non potendosi consentire, nell'ottica di assicurare al lavoratore una maggiore protezione, che sia annullata la posizione contributiva costituita a suo favore da parte del datore di lavoro apparente. In particolare questa Corte, esaminando analoga fattispecie, di contributi previdenziali pagati dal datore di lavoro apparente, ed identica questione di diritto, ha affermato il principio che in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non e configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali rimane, tuttavia, salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'art. 1180 cc, comma 1, ivi compreso lo stesso datore di lavoro fittizio Cass., numero 1666 del 2008 , rilevando altresì, con riferimento all'argomento apparentemente ostativo tratto dall'art. 2036 cc, comma 1, secondo cui chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base ad un errore scusabile, può ripetere ciò che ha pagato in tal modo eliminando l'effetto satisfattivo a favore del terzo, che deve escludersi che possa considerarsi scusabile l'errore sull'identità dell'effettivo debitore di chi è corresponsabile della violazione della legge numero 1369 del 1960, art. 1. Ed ha rilevato che tale conclusione è conforme alle finalità della legge numero 1369 del 1960, che mira ad assicurare al lavoratore una maggiore protezione e non certo intende esporre lo stesso ad azioni di ripetizione delle retribuzioni già corrispostegli, ne, con riferimento ai contributi previdenziali, intende consentire che sia annullata la posizione contributiva costituita a suo favore da parte del datore di lavoro apparente Cass., numero 1666 del 2008 . A tale conclusione non osta il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 22910 del 2006, secondo cui gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, gravano solo sull'appagante o interponente , sicché non può configurarsi una concorrente responsabilità del'appaltatore o interposto in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi. Tale principio, tenuto presente sia dalla sentenza impugnata sia dalla giurisprudenza di legittimità citata, esclude una responsabilità concorrente dell'interposto, ma non impinge sulla norma dell'art. 1180 cc, comma 1, relativa all'effetto liberatorio del pagamento del terzo, quale deve ritenersi l'interposto, proprio in conseguenza di quanto affermato dalle Sezioni Unite”. Né, a diverse considerazioni induce la sentenza numero 20143 del 2010, richiamata dall'INPS, rispetto alla quale si sono distaccate le successive sentenze numero 23844 del 2011, numero 28061 del 2011, numero 463 del 2012, numero 17516 del 2015, che hanno riaffermato che, in tema di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l'incidenza satisfattiva ai sensi dell'art. 1180, primo comma, cc dei pagamenti eventualmente eseguiti, dal datore di lavoro fittizio, nei confronti del quale, per la sua posizione di corresponsabile della violazione dell'art. 1 della legge numero 1369 del 1960, deve essere esclusa la scusabilità dell'errore sull'identità dell'effettivo debitore, con conseguente irripetibilità della somma eventualmente versata a titolo di contributi. 7. Entrambi i ricorsi devono essere rigettati. 8. In ragione della reciproca soccombenza sono compensate tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.