L’eccezione di aliunde perceptum è un’eccezione in senso lato

Con la pronuncia in commento, il Supremo Collegio si è pronunciato sulla condanna comminata ad una società alla reintegra di un dipendente nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni.

Se ne è occupata la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23465/15, depositata il 17 novembre. Il caso. La Corte d’appello dichiarava la nullità del patto di prova e del successivo licenziamento comminato da una s.r.l. ad un proprio dipendente, condannandola alla reintegra del medesimo nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni, quantificati nelle retribuzioni maturate e non percepite dal recesso all’effettiva reintegra, e rigettando l’eccezione attinente all’ aliunde perceptum . Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione la società. L’eccezione di aliunde perceptum è un’eccezione in senso lato. La s.r.l., in particolare, lamentava che la Corte territoriale non le aveva permesso di provare l’ aliunde perceptum , stante l’asserita genericità della prova articolata. Secondo parte ricorrente, l’eccezione in parola sarebbe un’eccezione in senso lato, come tale introducibile anche durante il procedimento di secondo grado - come nel caso di specie -, nel rispetto del principio di allegazione dei fatti sopravvenuti nel primo atto utile ad essi successivo. Gli Ermellini hanno chiarito che la Corte di merito ha dato atto dell’inutilità della circostanza di prova non ammessa - formulata in modo generico - a dimostrare l’effettività della conoscenza ad opera del datore di lavoro dello svolgimento da parte del lavoratore di attività remunerata in un momento storico successivo al maturarsi della decadenza, nonché del rilievo della circostanza nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza dei fatti. Tale prova, secondo i Giudici di Piazza Cavour, è indispensabile per quanto qui interessa, anche a qualificare, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, l’eccezione di aliunde perceptum come eccezione in senso lato Cass. n. 26828/13 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 luglio – 17 novembre 2015, n. 23465 Presidente Amoroso – Relatore Esposito Svolgimento del processo 1.La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 9/4/2009, confermava la decisione del giudice di prime cure che, accogliendo la domanda avanzata nei confronti di Rom Trans s.r.l. da, il quale aveva rappresentato di essere stato assunto verbalmente dalla società convenuta il 2/1/2002 con mansioni di autista di bilico, di avere ricevuto formale lettera di assunzione con prova di tre mesi in data 24/1/2002 e di essere stato licenziato il 19/4/2002, aveva dichiarato la nullità del patto di prova e dei successivo licenziamento, condannando la società convenuta alla reintegra del medesimo nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni, quantificati nelle retribuzioni maturate e non percepite dal recesso all'effettiva reintegra, oltre accessori, e rigettando, altresì l'eccezione attinente all'aliunde perceptum. 2. Con ricorso per cassazione la Rom trans s.r.l. deduce due motivi di ricorso. Resiste il M. con controricorso. Motivi della decisione 1.Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c., 2697 c.c. in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per aver ritenuto l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di fatto dal 2/1/2002 al 23/1/2002 in assenza dei presupposti. Osserva che la sentenza aveva dato rilevanza alle deposizioni dei testi escussi, senza che potessero trarsi elementi per la sussistenza del vincolo della subordinazione e in evidente contrasto con le dichiarazioni dei M. in sede di interrogatorio libero. Rileva che la Corte d'Appello non aveva operato correttamente sotto il profilo logico e formale nell'esame e nella valutazione di tutte le prove acquisite al processo, nel rispetto degli artt. 2094 e 2697 c.c. 2.11 motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, mancando la trascrizione delle dichiarazioni testimoniali dalle quali la ricorrente pretende di trarre elementi a sostegno della propria tesi. Esso è, altresì, infondato poiché attiene alla ricostruzione fattuale della vicenda storica ed alla valutazione dei materiale probatorio che ha consentito detta ricostruzione. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha avuto modo di chiarire v. Sez. L, Sentenza n. 3161 del 05/03/2002, Rv. 552824, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014, Rv. 629382 che non è attribuito al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti dei proprio convincimento. Ne consegue che il vizio di motivazione deve emergere dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Non assume rilevanza, invece, la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità dall'art 360 n. 5 c.p.c. - non equivale alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata. Una simile revisione si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, estranea alla funzione attribuita dall'ordinamento al giudice di legittimità. In concreto l'infondatezza del motivo si coglie poiché la ricorrente si limita a prospettare una non consentita diversa ricostruzione dei medesimi fatti mediante la differente valutazione delle risultanze processuali. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c., 2697 c.c. in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c. perché la Corte territoriale non aveva permesso al datore di lavoro di provare l'aliunde perceptum, stante l'asserita genericità della prova articolata. Osserva che trattasi di eccezione in senso lato, introducibile anche nel corso del procedimento di secondo grado, come nella specie avvenuto, nel rispetto del principio di allegazione dei fatti sopravvenuti nel primo atto utile ad essi successivo. Rileva che ne è derivata una insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio e ciò rispetto al dettato dell'art. 2697 c.p.c. e dell'art. 244 c.p.c. Richiama a conforto dell'assunto Cass. 20500/2008, in forza della quale l'allegazione può avvenire anche nel giudizio di rinvio, purché avvenga nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza dei fatti, dovendo il datore di lavoro fornire la prova del momento di acquisizione della notizia . Rileva che non poteva richiedersi al ricorrente la prova negativa del fatto di non avere avuto conoscenza della circostanza in epoca precedente e che l'eccezione era stata sollevata nella memoria difensiva depositata dal nuovo procuratore prima della discussione del giudizio di seconde cure, ancorché dopo l'atto d'appello. 2. Anche il secondo motivo è infondato. La Corte territoriale, infatti, ha dato atto della inutilità della circostanza di prova non ammessa, per come genericamente formulata, a dimostrare l'effettività della conoscenza ad opera del datore di lavoro dello svolgimento da parte dei lavoratore di attività remunerata in un momento storico successivo al maturarsi della decadenza, nonché del rilevo della circostanza nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza dei fatti. Tale prova è indispensabile ai fini d'interesse, pure a qualificare, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'eccezione di aliunde perceptum come eccezione in senso lato per tutte Cass. Sez. L, Sentenza n. 26828 del 2013 . 8. In forza delle svolte argomentazioni il ricorso deve essere integralmente rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore anticipatario che ne ha fatto richiesta. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dal M., liquidate in complessivi € 3.500,00, di cui € 100,00 per esborsi ed € 3.400,00 per compensi professionali, oltre spese generali e accessori come per legge, con distrazione.