Collegato lavoro: ancora dubbi sull’entrata in vigore

Il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine decadenziale di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6, l. n. 604/1966 e, quindi, non attiene solo all’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche all’inefficacia di tale impugnativa, se nei successivi 270 giorni, l’interessato non provvede al deposito o della domanda giudiziale o della richiesta di conciliazione avanti la Direzione Territoriale del lavoro.

Questa la decisione della Corte di Cassazione contenuta nella sentenza 22824/2015, depositata il 9 novembre 2015. Il lavoratore testardo”. Nel maggio 2009 quindi prima dell’entrata in vigore del Collegato Lavoro , un dipendente veniva licenziato per giusta causa. Ritenendo il licenziamento illegittimo, il lavoratore lo impugnava nell’immediatezza, depositando, inoltre, istanza ex art. 410 c.p.c Nel giro di pochi mesi, la commissione di conciliazione competente redigeva verbale negativo. Dopo tre anni, il lavoratore promuoveva un nuovo tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c, risoltosi in maniera negativa e seguito, quindi, da ricorso giudiziale. I primi gradi di giudizio dichiaravano la decadenza del lavoratore dal diritto di impugnare il licenziamento, essendo stato depositato il ricorso ben oltre i 270 giorni dall’impugnazione stragiudiziale del licenziamento. Tale principio viene stravolto dalla Corte di Cassazione. La successione delle norme nel tempo. Il quadro normativo di riferimento è costituito dall’art. 6, l. n. 604/1966 nella sua formulazione ante e post Collegato Lavoro e dall’art. 32 comma 1 bis del Collegato Lavoro. L’art. 6, nella sua formulazione originaria, disponeva il termine decadenziale di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento tale termine decorreva dalla data di comunicazione del licenziamento o dalla data di comunicazione dei motivi, qualora questa non fosse contestuale al licenziamento medesimo. Il Collegato Lavoro, con l’art. 32, comma 1, ha mantenuto il termine decadenziale di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento, aggiungendo un ulteriore termine, di 270 giorni, dall’impugnazione stragiudiziale, per procedere o al deposito del ricorso giudiziale o al deposito dell’istanza di conciliazione avanti alla commissione competente solitamente, Direzione Territoriale del Lavoro . Inoltre, il termine di 60 giorni per l’impugnazione non riguardava solo il licenziamento ritenuto illegittimo, ma anche l’impugnazione di contratti a termine irregolari, trasferimenti, cessioni di rapporti di lavoro etc A seguito del collegato Lavoro si aprono quindi due possibili scenari di impugnazione impugnazione del licenziamento o altro entro 60 giorni dalla sua comunicazione e deposito del ricorso entro i 270 giorni successivi alla data di impugnazione impugnazione stragiudiziale del licenziamento o altro nei 60 giorni e deposito istanza di conciliazione nei successivi 270, seguita, a pena di inefficacia, dal deposito del ricorso nei 60 giorni successivi all’eventuale rifiuto/mancato raggiungimento della conciliazione. L’entrata in vigore graduata del Collegato Lavoro. Il quadro esposto è complicato dal d.l. n. 225/2010, che ha introdotto il comma 1 bis all’art. 32 del Collegato Lavoro, secondo cui, in sede di prima applicazione , le disposizioni relative al termine decadenziale di 60 giorni, acquistano efficacia a decorrere dal 31.12.2011 e non dall’entrata in vigore del Collegato Lavoro prevista per il dicembre 2010 . Secondo il datore di lavoro resistente, il differimento dell’entrata in vigore del termine decadenziale valeva solo per le nuove ipotesi previste dal Collegato la formulazione originaria dell’art. 6, l. n. 604/1966 prevedeva il termine di 60 giorni solo per l’impugnazione del licenziamento, mentre l’art. 32 del Collegato Lavoro estende tale termine all’impugnazione dei provvedimenti di trasferimento, all’apposizione illegittima del termine ai contratti di lavoro, alla cessione del contratto di lavoro etc. In sostanza, secondo la società, il differimento valeva solo per queste nuove” ipotesi, poiché solo ad esse può riferirsi la locuzione in sede di prima applicazione . Secondo la Corte, invece, il legislatore non ha limitato la proroga dell’efficacia alle ipotesi in precedenza non contemplate, ma ha dato per scontato che l’intera disposizione novellata avesse, in linea generale, una sua prima applicazione, con la conseguenza che i termini decadenziali di 60 e 270 giorni trovano applicazione per tutte le ipotesi previste dall’art. 32, a partire dal 31.12.2011. Nel caso di specie, quindi, non si riscontra alcuna decadenza. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento entro 60 giorni ed entro 270 giorni dal 31.12.2011 e non dall’esito negativo della conciliazione ha depositato il ricorso per ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento. Benché si sia allungato il brodo, il lavoratore non è decaduto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 luglio – 9 novembre 2015, n. 22824 Presidente Venuti – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1. A.L., dipendente della Zincheria Noschese s.r.l. Unipersonale dal 14 ottobre 2005 al 20 maggio 2009 quale impiegato di concetto, con mansioni di responsabile della produzione, è stato licenziato per giusta causa con lettera del 20 maggio 2009, pervenutagli il 22 maggio successivo. 1.1. Il 10 giugno 2009 ha depositato istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. presso la Direzione Provinciale del lavoro, già trasmessa alla datrice di lavoro il 9 giugno 2009, con cui ha impugnato il licenziamento e ha chiesto l'immediata reintegrazione nel posto di lavoro. 1.2 . Il 17 novembre 2009 la commissione di conciliazione di Salerno ha redatto verbale negativo di conciliazione. 1.3 . In data 21-25 settembre 2012 ha promosso un nuovo tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. nuova formulazione ex lege 183/2010 presso la direzione territoriale del lavoro di Salerno e in data 1 ottobre 2012 la datrice di lavoro ha dichiarato di non aderire alla procedura di conciliazione. 1.4. Con ricorso del 30 novembre 2012 ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale del lavoro di Salerno, formulando una pluralità di domande per quel che qui rileva, ha impugnato il licenziamento, chiedendo la reintegrazione nelle mansioni svolte prima del demansionamento, e la condanna della società al risarcimento del danno dalla data del licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, commisurato alla retribuzione globale prevista dalla C.C.N.L. applicato, oltre al versamento dei contributi previdenziali. Nello stesso ricorso ha chiesto che sia dichiarata l'invalidità della contestazione disciplinare del 16 marzo 2009 e della relativa sanzione che sia dichiarata, anche in via incidentale, la sua dequalificazione a far tempo dall'aprile 2006, con la condanna della datrice di lavoro al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, oltre al risarcimento del danno connesso all'impugnato licenziamento e alla sua natura discriminatoria. 1.5. Con ordinanza del 21 gennaio 2013 Tribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile il ricorso perché tardivamente proposto e la tardività è stata ravvisata nella violazione del disposto dell'art. 32, comma primo, legge n. 183/2010, sostitutiva dei primi due commi dell'art. 6 della legge n. 604/1966, applicabile anche ai licenziamenti già intimati e stragiudizialmente impugnati prima della sua entrata in vigore, nonché nella violazione dell'art. 2, comma 54, d.l. n. 225/2010, convertito in legge n. 10/2011 cosiddetto Decreto Milleproroghe che, con introduzione del comma 1 bis nell'art. 32 l. n. 183/2010, non ha differito l'efficacia dell'intera novella al 31/12/2011, ma ha lasciato ferma l'immediata applicazione del termine di decadenza di 270 giorni, successivi all'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, di cui al secondo comma del novellato art. 6 legge n. 604/1966. Ha inoltre ritenuto inammissibili le ulteriori domande proposte dall'A. ed aventi ad oggetto fatti costitutivi diversi dall'impugnazione del licenziamento. 1.6. L'ordinanza è stata confermata con sentenza del 19 settembre 2013, resa in sede di opposizione dallo stesso tribunale salernitano. 1.7. Proposto reclamo dall'A. , con sentenza depositata in data 8 aprile 2014 la Corte d'appello di Salerno lo ha rigettato e confermato la sentenza. 1.8. In sintesi, la Corte ha ritenuto tardiva l'azione giudiziaria proposta con ricorso 30 novembre 2012, non potendosi attribuire alcuna efficacia alla raccomandata del 21 settembre 2012, successiva di tre anni all'adizione ex art. 410 c.p.c. della commissione provinciale ai fini del tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto ultronea perché ripetitiva ” dell'istanza conciliativa già proposta e conclusasi con verbale negativo del 17 novembre 2009. Ha così affermato che, trattandosi di un licenziamento intimato prima dell'entrata in vigore della legge Fornero e impugnato nel termine di 60 giorni previsto dall'art. 6 l. n. 604/1966, il ricorso giudiziario avrebbe dovuto essere proposto nel termine di 270 giorni a far tempo dalla data di entrata in vigore della legge n. 183/2010, avvenuta il 24 novembre 2010, e quindi entro il 21 agosto 2011, dovendo peraltro tenersi conto del disposto dell'art. 252 disp. att. c.c 1.9. Contro la sentenza il lavoratore propone ricorso per cassazione fondato in otto motivi, cui resiste con controricorso la società. Motivi della decisione 1. Deve preliminarmente darsi atto che, benché l'esposizione del fatto contenuta in ricorso non sia sommaria, poiché la parte ha riportato il contenuto di tutti gli atti e delle difese svolte nelle pregresse fasi del giudizio, il ricorso ha comunque raggiunto lo scopo di illustrare l'intera vicenda processuale e di enucleare le ragioni della decisione delle precedenti fasi di merito. Anche i motivi di ricorso, trattati congiuntamente, consentono di enucleare le specifiche censure mosse alla sentenza e di definire la questione sottoposta all'esame di questo Collegio. 2. Con i motivi di ricorso il lavoratore ha censurato la sentenza ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nelle sue varie formulazioni prima e successivamente all'intervento dell'art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 , dell'art. 2, comma 54, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in legge 26 febbraio 2011, n. 10 cosiddetto decreto Mille proroghe , degli artt. 11 e 12 delle disposizioni sulla legge in generale, dell'art. 410 c.p.c. in combinato disposto col comma primo, seconda parte, dell'art. 32,1. n. 183/2010 dell'art. 252 disp., att. c.c., nonché per omesso, contraddittorio e illogico esame del fatto decisivo e oggetto del giudizio, relativo all'impugnativa giudiziale del licenziamento entro i nuovi termini di decadenza fissati dalla novella del 2010. 3. I motivi, che si affrontano congiuntamente perché involgono l'unica questione costituita dall'esatta interpretazione delle norme previste dalla legge n. 183/2010, come integrate dal cosiddetto decreto Mille proroghe”, in tema di decadenza nella impugnativa dei licenziamenti, sono fondati. La questione è stata già oggetto di esame da parte di questa Corte Cass., 23 aprile 2014, n. 9203 Cass., 7 luglio 2014, n. 15434 che l'ha decisa nei termini che qui si riprendono e, riassuntivamente, si espongono. 4. Il quadro normativo di riferimento è costituito dall'art. 6, commi 1 e 2, legge n. 604/1966, che nel testo originario, così disponevano 1. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. 2. Il termine di cui al comma precedente decorre dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento ”. 4.1. La legge n. 183/2010, art. 32, comma 1, ha sostituito i primi due commi dell'art. 6 come segue Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa informa scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretta ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo . 4.2. Come è stato rilevato in dottrina, la norma, nel modificare l'art. 6 della l. n. 604 del 1966, ha sostanzialmente creato una nuova fattispecie decadenziale, costruita su una serie successiva di oneri di impugnazione strutturalmente concatenati tra loro e da adempiere entro tempi ristretti. L'ipotesi ordinaria - stante la facoltatività del tentativo di conciliazione - è quella del lavoratore che, dopo aver comunicato al datore di lavoro l'atto negoziale di impugnativa del licenziamento, proponga direttamente il ricorso al giudice in tal caso, deve rispettare il suddetto termine di 270 giorni. È tuttavia possibile che il lavoratore richieda il tentativo di conciliazione o l'arbitrato. In tal caso opera un doppio termine, con una triplice linea di sbarramento temporale , a pena di inefficacia dell'impugnativa di licenziamento entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento il lavoratore deve comunicare l'impugnativa del licenziamento entro il successivo termine di duecentosettanta giorni successivamente ridotti a 180 giorni per effetto della modifica introdotta dall'art. 1, comma 38, della legge 28 giugno 2012, n. 92, applicabile ai licenziamenti intimati dopo la data della sua entrata in vigore deve comunicare al datore di lavoro la richiesta del tentativo di conciliazione o di arbitrato entro l'ulteriore termine di sessanta giorni dall'eventuale rifiuto della conciliazione o dell'arbitrato ovvero dal mancato raggiungimento dell'accordo per espletarlo deve depositare il ricorso al giudice. Per la richiesta del tentativo di conciliazione alle commissioni di conciliazione istituite presso la Direzione provinciale del lavoro, opera l'art. 410, comma 5, c.p.c. che prevede che copia della richiesta del tentativo di conciliazione debba essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte. Se il datore di lavoro intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, la richiesta si intende rifiutata dal datore di lavoro e ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. In tal caso per il lavoratore scatta l'ulteriore termine di 60 giorni, entro il quale deve depositare il ricorso al giudice, termine decorrente dal momento in cui il lavoratore è a conoscenza del rifiuto della procedura conciliativa che il datore di lavoro può comunicargli. Vi è un'ulteriore alternativa alla richiesta del tentativo di conciliazione, che è la comunicazione al datore di lavoro della richiesta di avvalersi della procedura arbitrale di cui all'art. 412 quater c.p.c., ipotesi questa che esula dal caso in esame. 4.2. Il d.l. n. 225/2010, art. 2, comma 54, convertito con modificazioni nella legge n. 10/2011, ha poi introdotto, alla legge n. 183 del 2010, art. 32, il comma 1 bis, del seguente tenore In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, comma 1, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011 . 5. La questione controversa riguarda essenzialmente l'interpretazione di tale ultima disposizione e, in particolare, l'accertamento del suo effettivo ambito di applicazione. Le difficoltà discendono dal fatto che, nella sostanza, il comma 1 novellato riproduce, accorpandole, le previsioni di cui ai primi due commi originali dell'art. 6, mentre è nuova l'introduzione dell'ulteriore termine di decadenza di duecentosettanta giorni nel testo precedente alla riforma Fornero di cui al comma 2 novellato. 5.1. Come è stato già osservato nel precedente di questa Corte Cass., n. 9203/2014 , le ragioni che hanno indotto il legislatore a differire nel tempo l'efficacia di una norma costituente la mera riproposizione di quella preesistente che, come tale, avrebbe continuato a mantenere, medio tempore, la propria applicabilità non sono di agevole comprensione. È pertanto necessario muovere dall'inciso In sede di prima applicazione , contenuto nel citato art. 32, comma 1 bis, che fa riferimento all'ambito di novità insito nelle disposizioni in parola, rendendo quindi necessario individuare quali siano tali novità. 5.2. Come si è detto, il comma 1 del novellato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, non configura un'innovazione sostanziale della precedente disciplina, sicché le novità , della cui prima applicazione si discute, vanno necessariamente ricercate nel contesto normativo in cui si inserisce la disposizione di cui è stata differita l'efficacia. 5.3. La società resistente individua tale elemento di novità nel fatto che il termine di decadenza stragiudiziale è stato esteso anche ad ipotesi in precedenza non contemplate dalla L. n. 604 del 1966, art. 6 ossia, a tutti i casi di invalidità del licenziamento comma 2 ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 2 e 4 e successive modificazioni comma 3, lett. a al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto comma 3, lett. b al trasferimento ai sensi dell'art. 2103 c.c. comma 3, lett. c all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 2 e 4 e successive modificazioni comma 3, lett. d ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 2 e 4, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge stessa comma 4, lett. a ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al D.Lgs. n. 368 del 2001 e già conclusi alla data di entrata in vigore della legge stessa comma 4, lett. b alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'art. 2112 c.c. comma 4, lett. c in ogni altro caso in cui sia stata chiesta la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto comma 4, lett. d . 5.4. Secondo la resistente, quindi, solo per queste ulteriori ipotesi dovrebbe ritenersi che le disposizioni di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, siano di prima applicazione e che solo in relazione a tali ipotesi debba riferirsi il differimento dell'efficacia delle disposizioni medesime sancito dal ridetto L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis. 5.5. Deve però rilevarsi che, se l'estensione dell'onere di impugnativa stragiudiziale a casi in precedenza non previsti configura indubbiamente un elemento di novità, ancora più incisivo e generalizzato è l'ulteriore elemento di novità costituito dal fatto che la stessa impugnazione stragiudiziale diviene inefficace se non è seguita dal deposito del ricorso giudiziale o dalla richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato nel termine disposto dal novellato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2. 5.6. Il legislatore non ha testualmente limitato la proroga dell'efficacia del comma 1 novellato alle ipotesi in precedenza non contemplate, ma ha disposto il differimento dell'entrata in vigore del comma 1 dando per presupposto che la disposizione novellata abbia, in linea generale, una sua prima applicazione letteralmente, del resto, si dice In sede di prima applicazione e non già, ad esempio, nei casi di sua prima applicazione o altra similare il che non può non essere riferito proprio al diretto collegamento tra impugnazione stragiudiziale e decorrenza del termine parimenti di decadenza per il deposito del ricorso giudiziale. Si può, infatti, ipotizzare un nesso inscindibile tra le due parti del testo normativo riformato, Vale che dalla temporanea inapplicabilità della prima discende la temporanea inapplicabilità anche della seconda . In sostanza, il primo e il novellato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1 vengono a costituire, integrandosi fra loro, una disciplina unitaria, articolata - e qui sta appunto l'elemento generalizzato di novità - nella previsione di due successivi e tra loro connessi termini di decadenza Cass., n. 9203/2014, cit. . Può dunque convenirsi che è la stessa lettera della legge, attraverso l'espresso richiamo al testo dell'art. 6 della legge n. 604 del 1966 come novellato ad opera dell'art. 32 del Collegato Lavoro, ad indurre l'opzione interpretativa secondo cui la sospensione degli effetti si estende anche al termine di duecentosettanta giorni, con la conseguenza che la decadenza ivi prevista diviene a sua volta non applicabile anteriormente al 31 dicembre 2011. 5.7. Diversamente opinando, del resto, si dovrebbe giungere alla conclusione che l'art. 6, comma 1, novellato rimarrebbe applicabile, anche prima del 31 dicembre 2011, nelle ipotesi che già ricadevano sotto la disciplina del testo originario, mentre il medesimo art. 6, comma 1, novellato non sarebbe in vigore sempre fino al 31 dicembre 2011 nelle ulteriori ipotesi originariamente non previste il che equivarrebbe a dire che una norma di cui è stata differita, senza ulteriore specificazione, l'entrata in vigore, resterebbe non di meno in vigore in alcuni casi si verrebbe cioè, in via ermeneutica, a determinare la contemporanea vigenza e non vigenza di una medesima disposizione di legge, il che costituisce un risultato illogico e, al tempo stesso, contrario alla lettera della legge stessa. 5.8. Può dunque affermarsi, in conformità con i precedenti citati cui adde, Cass., 13 novembre 2014, n. 24233 Cass., ord. 2 luglio 2015, n. 13563 , che la legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in L 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere in sede di prima applicazione il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 e dunque non solo l'estensione dell'onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l'inefficacia di tale impugnativa, prevista dal medesimo art. 6, comma 2 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l'omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato . 6. In base a queste considerazioni, deve aversi riguardo alle scansioni temporali dei fatti rilevanti ai fini del decidere, quali accertate dai giudici del merito 1 intimazione del licenziamento in data 22 maggio 2009 2 impugnativa stragiudiziale ricevuta dalla parte datoriale il 9 giugno 2009 3 richiesta di tentativo di conciliazione effettuata in data 25 settembre 2012 4 dichiarazione della datrice di lavoro di non adesione alla procedura di conciliazione comunicata in data 1 ottobre 2012 5 deposito del ricorso giudiziario in data 30 novembre 2012. Se ne deve dedurre che, stante la tempestività della richiesta del tentativo di conciliazione, comunicata nel termine di duecentosettanta giorni dall'entrata in vigore del novellato art. 6 l. n. 604/1966 31 dicembre 2011 , e del deposito del ricorso giudiziario, effettuato nel termine di sessanta giorni dal rifiuto della conciliazione da parte della società convenuta, il ricorrente non è incorso in alcuna decadenza. Quanto alla precedente richiesta di tentativo di conciliazione effettuata in data 10 giugno 2009 ai sensi dell'art. 410 c.p.c. all'epoca vigente, e prevista a pena di improcedibilità del ricorso giudiziario ex art. 412 bis c.p.c., essa deve ritenersi tamquam non esset , in difetto di norma espressa che preveda la consumazione del potere di richiederlo nuovamente ovvero sempre nell'assetto legislativo precedente alla riforma del 2010 di un termine di decadenza per il promovimento del giudizio. 7. In definitiva il ricorso va accolto nei termini sopra esposti per l'effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolti, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli.