Portalettere non consegna tutta la posta: no alla restituzione della retribuzione

La Corte di Cassazione interviene sulla richiesta di restituzione della retribuzione formulata da Poste Italiane nei confronti di una dipendente con mansioni di portalettere, per essere la stessa rientrata dal giro di recapito senza aver consegnato tutta la corrispondenza che le era stata assegnata.

Della questione si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19145/15, depositata il 28 settembre. Il caso. La corte d’appello territoriale, in riforma della decisione del tribunale, rigettava la domanda proposta da Poste Italiane finalizzata ad ottenere la restituzione della retribuzione irrogata ad una dipendente con mansioni di portalettere, per essere la stessa rientrata dal giro di recapito senza aver consegnato due atti giudiziari ed aver accumulato giacenza di posta fino a 5 kg di invii ordinari e 200 kg di stampe. La corte di merito, infatti, aveva ritenuto violato il principio di immediatezza della contestazione e comunque non infondate le giustificazioni addotte dalla ricorrente circa l’irrazionale configurazione della zona a lei affidata. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione Poste Italiane, lamentando l’erroneità della pronuncia per contrasto di questa con la prevalente interpretazione dell’art. 7 l. n. 300/1970, che concepisce il principio in termini relativi, imponendo la considerazione di elementi condizionanti , quali la complessità dell’organizzazione aziendale. Il mancato rispetto di questa lettura del principio, inoltre, secondo la società ricorrente viene in considerazione sotto il profilo del vizio di motivazione. Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate. Il primo motivo, a giudizio degli Ermellini, risulta inammissibile la corte territoriale, infatti, secondo i Giudici del Palazzaccio ha tenuto in considerazione l’interpretazione invocata dalla società ricorrente, attinente alla relatività del principio di cui all’art. 7 l. n. 300/1970, come dimostra il riferimento al fine di semplificazione della procedura per l’irrogazione delle sanzioni - insito nel richiamo all’attribuzione al responsabile zonale del potere di procedere alla contestazione degli addebiti. Pertanto, tale motivo di ricorso si risolve nell’opporre una diversa valutazione della situazione di fatto a quella svolta dalla corte di merito. Ammissibili, invece, sono le censure contenute nel secondo motivo di ricorso formulato da Poste Italiane, in quanto effettivamente volte ad evidenziare l’incongruità logica della pronuncia della corte territoriale. Anche tale censura, tuttavia, secondo la Corte di nomofilachia si rivela infondata, dal momento che le ampie considerazioni su cui la corte stessa fonda la propria valutazione in ordine alla non tempestività della contestazione risultano immuni da qualsiasi vizio logico e giuridico. Non solo la mancata impugnazione dell’ulteriore ratio decidendi , attinente al merito del provvedimento e correttamente ancorata al rilievo dell’incongruità del provvedimento adottato a carico della lavoratrice con la successiva modifica della zona di recapito alla stessa assegnata - alla cui irrazionale delimitazione la lavoratrice stessa, al momento della presentazione delle proprie giustificazioni, respinte dalla società aveva imputato il disservizio contestatole -, si rivela in sé idonea a sostenere la conclusione cui approda la corte territorialmente competente. Per tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 maggio – 28 settembre 2015, n. 19145 Presidente Amoroso – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 16 dicembre 2009, la Corte d'Appello di Roma, riformava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava la domanda proposta da Poste Italiane S.p.A. di dalla retribuzione per giorni 3 dalla stessa Società irrogata a F.O., sua dipendente con mansioni di portalettere presso l'ufficio postale di Palestrina, per essere questa rientrata dal giro di recapito senza aver consegnato due atti giudiziari ed aver poi accumulato giacenza di posta fino a kg. 5 di invii ordinari e kg. 200 di stampe. La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto nella specie violato il principio di immediatezza della contestazione, inviata dalla Società alla O. il 16.3.2004, con riferimento a fatti di cui era a conoscenza già dal 5 e 10.1.2004 e, comunque, non prive di fondamento le giustificazioni addotte dalla ricorrente circa l'irrazionale configurazione della zona a lei affidata, tenuto conto della circostanza che la Società, pur avendo comminato la sanzione, aveva provveduto subito dopo alla modifica della zona secondo le indicazione della dipendente. Per la cassazione di tale decisione ricorre Poste Italiane S.p.A., affidando a due motivi l'impugnazione, rispetto alla quale la O. è rimasta intimata. Motivi della decisione Entrambi i motivi della proposta impugnazione sono intesi a censurare la conformità a diritto e la congruità logica del convincimento maturato dalla Corte territoriale circa la ravvisabilità nella specie della violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare. In effetti, con il primo motivo, la Società ricorrente denuncia l'erroneità della pronuncia per contrasto di questa con l'invalsa interpretazione dell'art. 7, 1. n. 300/1970, che concepisce il principio in termini relativi, imponendo la considerazione di elementi condizionanti, quali la complessità dell'organizzazione aziendale, con il secondo, il mancato rispetto di questa lettura del principio in questione viene dedotto sotto il profilo del vizio di motivazione. Ebbene, il primo motivo si rivela inammissibile atteso che, avendo la Corte territoriale tenuto conto dell'interpretazione invocata dalla Società ricorrente, attinente alla relatività del principio medesimo, come attesta il riferimento al fine di semplificazione della procedura per l'irrogazione delle sanzioni, insito nel richiamo all'attribuzione al responsabile zonale del potere di procedere alla contestazione degli addebiti, il motivo stesso si risolve nell'opporre a quella della Corte territoriale una diversa valutazione della situazione di fatto. Censure ammissibili, in quanto effettivamente volte ad evidenziare l'incongruità logica della pronunzia della Corte territoriale sono, invece, contenute nel secondo motivo, che, tuttavia, risulta infondato, dal momento che le ampie considerazioni su cui la Corte stessa fonda la propria valutazione in ordine alla non tempestività della contestazione si rivelano immuni da qualsiasi vizio logico e giuridico. Ciò senza contare la mancata impugnazione dell'ulteriore ratio decidendi, attinente al merito del provvedimento e saldamente ancorata al corretto rilievo dell'incongruità del provvedimento adottato a carico della lavoratrice a fronte della modifica successivamente apportata alla zona di recapito alla stessa assegnata, alla cui irrazionale delimitazione la lavoratrice medesima, in sede di presentazioni delle proprie giustificazioni, viceversa, respinte dalla Società, aveva imputato il disservizio contestatole ratio che si rivela di per sé idonea a sorreggere la conclusione cui approda la Corte territoriale. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali ed altri accessori di legge.