Per il trasferimento del ramo d’azienda occorre il requisito della preesistenza

In tema di trasferimento del ramo d’azienda, il novellato art. 2112 c.c. non ha fatto venir meno il requisito della preesistenza del ramo d’azienda, non potendosi identificare quest’ultimo in una struttura creata ad hoc qualificata dalle parti come tale solo in occasione del trasferimento.

Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19141/15, depositata il 28 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, rigettava la domanda di alcuni lavoratori che contestavano il trasferimento di ramo d’azienda a cui appartenevano. A fondamento del rigetto, la Corte capitolina adduceva il novellato articolo 2112, comma 5, c.c. Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda , come sostituito dal d.l. n. 276/03 , che non prevedeva come requisito del trasferimento la preesistenza del ramo d’azienda, se quest’ultimo poteva essere identificato come tale al momento del trasferimento. Avverso tale decisione, i lavoratori ricorrono per cassazione con distinti ricorsi che la S.C. ritiene di riunire. Nozione di ramo d’azienda. Gli ermellini ritengono che i ricorsi siano fondati. A fondamento della sua decisione, viene richiamato il consolidato orientamento secondo cui costituisce ramo d’azienda” qualsiasi entità economica organizzata che, in occasione del trasferimento, preservi la sua identità. Il requisito della preesistenza. Ciò presuppone in ogni caso una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma e non anche una struttura produttiva creata appositamente in occasione del trasferimento o come tale identificata esclusivamente dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come una manifestazione fuori controllo di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una identità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità Cass., n. 17901/14 . Del resto, continuano i giudici di legittimità, non può ammettersi un trasferimento di ramo d’azienda in ordine alla sola decisione, presa dal cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento, in quanto ciò contrasterebbe sia con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23, sia con gli artt. 4 e 36 Cost., i quali vietano di rimettere discipline imperative di tutela dei lavoratori a un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi. Alla stessa conclusione perviene la Corte di Giustizia UE con la sentenza Lorenzo Amatori e altri C 458/12, secondo cui l’articolo 1, par.1, lett. a e b, direttiva 2001/23/CE deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che, in occasione di un trasferimento di una parte di impresa, ammetta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. Inoltre, la stessa sentenza comunitaria va letta non nel senso che non occorre ai fini del trasferimento il requisito della preesistenza, ma che gli Stati membri hanno la facoltà di estendere l’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso si non preesistenza del ramo d’azienda. Ribadisce infatti la Corte che ai fini dell’applicazione della suddetta direttiva 2001/23, l’entità economica in questione deve godere, nel periodo che precede il trasferimento, di un’autonomia funzionale sufficiente. Risulta pertanto errata la sentenza in esame nella parte in cui ha ritenuto che in virtù del novellato articolo 2112 c.c., le parti potessero al momento del trasferimento identificare il ramo d’azienda da cedere. Per questi motivi, la Suprema Corte cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 aprile – 28 settembre 2015, numero 19141 Presidente Vidiri – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale di Roma, rigettava la domanda dei lavoratori in epigrafe, proposta nei confronti della Praoil Oleodotti Italiani S.p.A. già Italmode Trasporti Logistica Integrata S.p.A. avente ad oggetto la contestazione del trasferimento di ramo d'azienda, indicato convenzionalmente come Area Centro , cui essi lavoratori del polo di Roma appartenevano, alla BT Trasporti S.p.A. Unipetrol S.P.A. e Logipetrol S.P.A A base del decisum la Corte del merito, per quello che rileva in questa sede, poneva il fondante rilevo secondo il quale la fattispecie rientrava nel novellato art. 2112 cc comma 5 - come sostituito dal dl numero 276 del 2003 - che, a differenza della precedente formulazione, non prevedeva più il requisito della preesistenza del ramo d'azienda ben potendo questo essere identificato come tale al momento del trasferimento. Questa sentenza è impugnata, con due separati ricorsi, dai lavoratori in epigrafe sulla base di un'unica censura, illustrata da memoria. Resiste con distinti controricorsi, specificati da memoria, l'Eni S.P.A. già Praoil Oleodotti Italiani S.p.A. e già Italmode Trasporti Logistica Integrata S.p.A. . Motivi della decisione I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l'impugnazione della stessa sentenza. Con l'unico motivo di ambedue i ricorsi, i ricorrenti, deducendo violazione e - falsa applicazione dell'art. 2112 cc, anche in relazione alle Direttiva nnumero 985/50/CE e 23/2001/CE, sostengono, formulando il relativo quesito di diritto, l'erroneità della sentenza impugnata per aver la Corte del merito ritenuto che, a seguito della novella di cui al d.lgs numero 276 del 2003, sia venuto meno il requisito della preesistenza del ramo d'azienda non potendosi identificare il ramo d'azienda in una struttura creata ad hoc identificata dalle parti come ramo d'azienda solo in occasione del trasferimento. I ricorsi sono fondati. La giurisprudenza di questa Corte è oramai orientata nel ritenere operante, anche a seguito del D.Lgs. numero 276 del 2003, art. 32 il principio per cui per ramo d'azienda , ai sensi dell'art. 2112 cc, deve intendersi ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità - come del resto previsto dalla prima parte dell'art. 32 del D.Lgs. numero 276 del 2003 - presupponendo ciò comunque una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste , e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa 1 esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità Cfr. Cass. 12 agosto 2014 numero 17901, Cass. 15 aprile 2014 numero 8757, Cass. 4 dicembre 2012 numero 21711 e nello stesso senso Cass. 8 giugno 2009 numero 13171 e Cass. 9 ottobre 2009 numero 21-481 . Del resto, come pure affermato da questa Corte,non può ammettersi un trasferimento di ramo d'azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente,di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un unica funzione al momento del trasferimento. Tanto, infatti, contrasterebbe, e con le direttive comunitarie nnumero 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest'atto un entità economica che conservi la propria identità ossia un assetto già formato,e con gli artt. 4 e 36 della Cost. che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori sent. numero 115 del 1994 della Corte Cost. ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l'assenza di riferimento oggettivi Cfr. 15 aprile 2014 numero 8757 e Cass. 4 dicembre 2012 numero 21711 cit. . Né a diverse conclusioni può indurre la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia resa nella causa Lorenzo Amatori e altri C-458/12, secondo la quale l'articolo 1, paragrafo 1, lettere a e b , della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell'ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un'entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. La richiamata pronuncia,infatti,come già rimarcato da Cass. 12 agosto 2014 numero 17901 cit., interviene su questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trento che muove dall'errato presupposto che la norma interna, quale quella dettata dall'articolo 2112, comma 5, del codice civile, consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un'entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Inoltre la sentenza comunitaria va letta,non nel senso che non occorre, ai fini di cui trattasi, il requisito della preesistenza, ma che è consentito agli stati membri prevedere una norma che estenda l'obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso di non preesistenza del ramo d'azienda. D'altro canto la stessa Corte, nella citata sentenza, ribadisce che, ai fini dell'applicazione della richiamata direttiva 2001/23, l'entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un'autonomia funzionale sufficiente. Alla stregua delle svolte considerazioni, pertanto, non è corretta in diritto la sentenza impugnata la quale ha ritenuto che ai sensi del novellato art. 2112 cc le parti potessero al momento del trasferimento identificare il ramo d'azienda da cedere. I ricorsi in esame vanno, quindi, accolti. La sentenza impugnata va, di conseguenza, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, farà applicazione del principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. La Corte accoglie i ricorsi cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.