Sì alla riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro

In tema di riscossione di quote associative sindacali dei dipendenti pubblici e privati a mezzo di trattenuta effettuata dal datore di lavoro, l’art. 52, d.P.R. numero 180/1950 come modificato dall’art. 13 bis, d.l. numero 35/2005, convertito dalla l. numero 80/2005 , nel disciplinare tutte le cessioni di credito da parte dei lavoratori dipendenti, non stabilisce alcuna limitazione al novero dei cessionari, a differenza di quanto previsto dall’art 5 dello stesso d.P.R. per i soli casi di cessione collegate all’erogazione di prestiti.

Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18548/15, depositata il 21 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia del giudice di prime cure , rigettava l’opposizione proposta da una società avverso il decreto ex art. 28 Stat. Lav. con cui il locale Tribunale aveva dichiarato il comportamento antisindacale da questa tenuto e consistito nel rifiuto di dare corso, in favore della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti, alle cessioni dei crediti costituiti dalle quote associative del sindacato relative a un gruppo di lavoratori. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la società. La questione sottoposta all’attenzione della S.C. riguarda dunquela sussistenza o meno di limitazioni normative che escludano la facoltà del lavoratore di consentire la trattenuta di quota associativa sindacale sulla propria retribuzione. Nessun divieto di riscossione di quote associative sindacali. Menzionando alcuni precedenti arresti della S.C. Cass., n. 21368/08 Cass., n. 9049/11 e Cass., n. 2314/12 , gli ermellini sintetizzano la posizione della giurisprudenza di legittimità e i principi di diritto affermati per poter rispondere alla questione. In primo luogo, il referendum del 1995, abrogativo dell’art. 26, comma 2, Stat. Lav. e il successivo d.P.R. n. 313/95, non hanno imposto un divieto di riscossione di quote associative sindacali tramite trattenuta operata dal datore di lavoro, ma hanno soltanto abolito l’obbligo. Ciò significa che i lavoratori possono richiedere al loro datore di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato a cui aderiscono e tale atto deve essere qualificato come cessione del credito. Pertanto, a seguito di tale qualificazione giuridica, non occorre, in linea generale, il consenso del debitore. A ciò, infine, non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto la cessione può riguardare solo una parte del credito e avere ad oggetto crediti futuri. Secondo la tesi della società ricorrente, i lavoratori dipendenti e dopo le recenti modifiche, anche quelli di aziende private non potrebbero cedere una parte della loro retribuzione alle associazioni sindacali a titolo di quote associatile, poiché la cessione sarebbe consentita soltanto in favore degli istituti di credito indicati agli artt. 15 e 53, d.lgs n. 180/1950. Il Collegio non condivide siffatta tesi, in quanto la limitazione relativa agli istituti di credito concerne solo le cessioni di credito retributivo collegate all’erogazione di prestiti. Nessuna limitazione al novero dei cessionari. L’art. 52 del suddetto d.P.R. invece, riguarda tutte le cessioni di credito dei lavoratori dipendenti, anche quelle non collegate all’erogazione di un prestito. La norma prevede sì una serie di condizioni e restrizioni la cessione di quote di stipendio operabili dai dipendenti non può essere superiore a un quinto e deve essere stabilita per periodi di massimo cinque o dieci anni a condizione che beneficino di uno stipendio fisso e continuativo , ma non contiene limitazioni del novero dei cessionari. Queste ultime limitazioni riguardano soltanto le cessioni in qualunque modo collegate a concessioni di prestiti e si rivolgono a soggetti che sono contemporaneamente erogatori di credito e cessionari. Rimangono pertanto escluse da tali limitazioni le cessioni completamente slegate dalla concessione di crediti, come sono quelle in favore delle associazioni sindacali per il pagamento delle quote associative. Ribadito pertanto questo principio di diritto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 luglio – 21 settembre 2015, n. 18548 Presidente Macioce – Relatore Blasutto Svolgimento del processo La Corte di appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, ha respinto l'opposizione proposta da Telecom Italia s.p.a. avverso il decreto ex art. 28 Stat. Lav. con cui il locale Tribunale aveva dichiarato antisindacale il comportamento da questa tenuto e consistente nel rifiuto di dare corso, in favore della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti - Confederazione Unitaria di Base di Milano, alle cessioni dei crediti costituiti dalle quote associative del sindacato ricorrente relative a ventotto lavoratori. Il giudice di primo grado aveva accolto l'opposizione di Telecom Italia, osservando che l'art. 1, comma 137, della legge n. 311 del 2004, come modificato dall'art. 13 bis della legge n. 80 del 2005, aveva esteso ai dipendenti di imprese private il divieto di cui all'art. 1 T.U. n. 180 del 1950 - che dispone la insequestrabilità, l'incedibilità e l'impignorabilità dei crediti retributivi dei pubblici impiegati - prevedendo deroghe in ipotesi eccezionali, non ricorrenti nella specie. La Corte di appello ha ritenuto, invece - che la nuova normativa non avesse introdotto un divieto generale di cessioni di credito di natura retributiva, ma avesse disciplinato, rendendola più rigida, per i lavoratori pubblici e privati, la cessione del quinto dello stipendio finalizzata all'estinzione di prestiti monetari, di talché dovesse procedersi a distinguere la regolamentazione a seconda che la causa della cessione fosse o meno riconducibile al pagamento di prestiti in denaro contratti dai lavoratori oppure al pagamento di debiti diversi - che la giurisprudenza di legittimità, in epoca successiva al referendum abrogativo del 1995, aveva ribadito che i lavoratori possono, nell'esercizio della loro autonomia privata, attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato -cessione che non richiede in via generale il consenso del debitore - richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso e che il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento, il quale, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato cui aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività - che il referendum aveva eliminato la norma attributiva di un diritto, ma non aveva vietato il ricorso a tutti i possibili strumenti negoziali che consentono di realizzare lo scopo di versare ai sindacati la quota associativa mediante trattenuta sulla retribuzione e, nella specie, ciò era avvenuto con idonea manifestazione di volontà dell'avente diritto. Per la cassazione di tale sentenza Telecom Italia s.p.a. propone ricorso affidato ad un motivo, cui resiste il Sindacato, che ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione Con unico motivo la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 1, 5 e 52 d.P.R. n. 180/1950 art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , sostenendo che, poiché l’art. 1 cit. concernente l'insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti, è stato modificato dall'art. 1, comma 137, L. 311/2004 con l'aggiunta, al primo comma, delle parole nonché le Aziende private , sarebbero divenuti incedibili, fuori dei casi consentiti dalla legge stessa come modificata dall'art, 13 bis del d.l. n. 35/2005, conv. in L. n. 80/2005 , anche i compensi erogati ai propri dipendenti dai datori di lavoro e, avendo la previsione portata generale, non sarebbe possibile distinguere il tipo di cessione, quale sia la finalità per la quale viene compiuta. Formula il prescritto quesito di diritto, a norma dell'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie ratione temporis, con cui chiede se l'art. 53 del d.P.R n. 180/1950 conceda al lavoratore dipendente di un datore di lavoro privato la facoltà di cedere il proprio credito retributivo, sia pur nei limiti di un quinto, anche per ipotesi diverse dalla estinzione di un prestito presa in considerazione dall'art. 5 del medesimo d.P.R Il ricorso è destituito di fondamento. La questione oggetto del giudizio è se sussistano limitazioni normative tali da escludere la facoltà del lavoratore di consentire la trattenuta di quota associativa sindacale sulla propria retribuzione. Con sentenza di questa Corte n. 21368 del 2008 si è affermato che il referendum del 1995, abrogativo del comma 2 dell'art. 26 dello statuto dei lavoratori, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo, sicché i lavoratori, nell'esercizio dell'autonomia privata e mediante la cessione del credito in favore del sindacato, possono chiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato. Qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporta in concreto, a suo carico, un onere aggiuntivo insostenibile in rapporto all'organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex artt. 1374 e 1375 cod. civ., deve provarne l'esistenza. L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l'efficacia della cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, mentre il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale . Detti principi sono stati riconfermati dalle sentenze di questa Corte n. 9049 del 2011 e n. 2314 del 2012 e, in quest'ultima pronunzia, si è elaborata la seguente sintesi sulla posizione della giurisprudenza di legittimità cfr., in particolare, Cass., S.U., 28269/2005 Cass., 21368/2008 Cass., 9049/2011 cit. e sui principi di diritto affermati a Il referendum del 1995, abrogativo dell'art. 26 st. lav., comma 2, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, ma è soltanto venuto meno il relativo obbligo. I lavoratori, pertanto, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono S.U. 28269/2005 . b Tale atto deve essere qualificato cessione del credito art. 1260 c.c. e segg. S.U. 28269/2005 . c In conseguenza di detta qualificazione, non necessita, in via generale, del consenso del debitore cfr. art. 1260 c.c. S.U. 28269/2005 . d Non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto la cessione può riguardare solo una parte del credito ed avere ad oggetto crediti futuri S.U. 28269/2005, nonché Cass. 10 settembre 2009, n. 19501 . Quanto ai profili che involgono le conseguenze dei successivi interventi legislativi sulla materia in esame, vale a dire la L. 31 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 137, il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella L. 14 maggio 2005, n. 80 e la L 23 dicembre 2005, n. 266, il Collegio aderisce ai principi affermati da Cass. 2314 del 2012, confermati da Cass. n. 20733 del 2013, n. 27430 del 2014 e da n. 11057 del 2015, ai quali intende dare ulteriore continuità. Di seguito si riporta, in sintesi, l'ordine argomentativo della sentenza n. 2314/2012. Il Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e le cessioni degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 , è stato modificato ed integrato dai tre interventi legislativi prima richiamati. L'art. 1 prevedeva, e prevede tuttora, la insequestrabilità, impignorabilità, e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti corrisposti ai propri dipendenti dalle Amministrazioni pubbliche. Con la legislazione successiva tali limitazioni sono state estese alle retribuzioni corrisposte dalle aziende private. A sua volta, l'art. 5 pone dei limiti alla possibilità, per i dipendenti pubblici, di contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote di stipendio o del salario fino ad un quinto dell'ammontare . Gli artt. 15 e 53, individuano gli istituti autorizzati, in via esclusiva, a concedere prestiti ai dipendenti pubblici. Anche queste limitazioni sono state estese ai dipendenti di imprese private. L'art. 52 stabilisce che i dipendenti pubblici e ora anche i dipendenti privati possono fare cessioni di quote di stipendio in misura non superiore ad un quinto e per periodi massimi di cinque o dieci anni a condizione che siano provvisti di stipendio fisso e continuativo ulteriori modifiche della disposizione introdotta dalla recente legislazione non rilevano ai fini della questione in esame . La tesi della società ricorrente è che i lavoratori dipendenti dopo le recenti modifiche, anche quelli di aziende private non potrebbero cedere una parte della loro retribuzione alle associazioni sindacali a titolo di quote associative, perché la cessione sarebbe consentita solo in favore degli istituti di credito indicati negli artt. 15 e 53 del D.Lgs. su richiamato. Tale tesi non è condivisibile. Infatti, la limitazione concernente gli istituti di credito riguarda solo le cessioni di credito retributivo collegate all'erogazione di prestiti cfr. il combinato disposto degli artt. 5, 15 e 53 del T.U. . Al contrario, l'art. 52 riguarda tutte le cessioni del credito dei lavoratori dipendenti, anche quelle non collegate all'erogazione di un prestito. La norma prevede una serie di condizioni e restrizioni, ma non contiene limitazioni del novero dei cessionari. Queste ultime, specifiche limitazioni sono circoscritte alle sole cessioni in qualsiasi modo collegate a concessioni di prestiti e riguardano soggetti che, al tempo stesso, sono erogatori di credito e cessionari. Tali specifiche limitazioni non riguardano, pertanto, cessioni del tutto slegate dalla concessione di crediti, come sono quelle in favore delle associazioni sindacali per il pagamento delle quote associative. Il Collegio, nel confermare in questa sede la riferita soluzione interpretativa, intende ribadire il principio secondo cui, in tema di riscossione di quote associative sindacali dei dipendenti pubblici e privati a mezzo di trattenuta ad opera del datore di lavoro, il D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 52, come modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 13-bis, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, nel disciplinare tutte le cessioni di credito da parte dei lavoratori dipendenti, non prevede limitazioni al novero dei cessionari, in ciò differenziandosi da quanto stabilito dall'art. 5, del medesimo D.P.R., per le sole ipotesi di cessioni collegate all'erogazione di prestiti. Ne consegue che è legittima la suddetta trattenuta del datore di lavoro, attuativa della cessione del credito in favore delle associazioni sindacali, atteso, altresì, che una differente interpretazione sarebbe incoerente con la finalità legislativa antiusura posta a garanzia del lavoratore che, altrimenti, subirebbe un'irragionevole restrizione della sua autonomia e libertà sindacale. Pertanto, il ricorso va respinto. Le spese del giudizio di legittimità, poste a carico della società soccombente, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Esse vanno distratte. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge, con distrazione.