La disciplina italiana è conforme alla direttiva comunitaria? Alle Sezioni Unite l’ardua sentenza

Con un’ordinanza interlocutoria la sezione Lavoro della Cassazione decide di rimettere alle Sezioni Unite la delicata questione della conformità della normativa italiana sui contratti a termine alla direttiva comunitaria n. 70/1999.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18149, depositata il 18 settembre. Il caso. La Suprema Corte con la presente ordinanza interlocutoria ha chiesto alle Sezioni Unite di chiarire se la normativa italiana sul contratto acausale” concernente il settore postale sia conforme alla direttiva comunitaria n. 70/1999. La normativa italiana. La disciplina speciale introdotta nel 2005 per il settore delle poste consentiva di concludere contratti a termine senza l’indicazione della causale. Tuttavia, tale prerogativa poteva essere esercitata entro determinati limiti temporali e quantitativi, in osservanza delle ordinarie regole che stabiliscono una durata massima per tutti i rapporti di lavoro susseguitesi nel tempo 36 mesi, eccetto diversa previsione dei contratti collettivi, comprensivi di proroghe e rinnovi indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro e nel rispetto delle disposizioni che sanciscono l’obbligo di osservare un intervallo minimo tra un contratto e l’altro. La direttiva comunitaria. Ci si chiede se la disciplina appena menzionata sia conforme alla direttiva europea n. 70/1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. Tale direttiva fissa alcuni principi condivisi in materia di lavoro a tempo determinato che tutti gli Stati membri dell’Unione devono perseguire al fine di prevenire gli abusi nella successione di tali rapporti. In assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in una maniera che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, la direttiva indica agli Stati membri le misure che dovranno introdurre l’individuazione di motivi oggettivi per la giustificazione del rinnovo dei contratti, la fissazione di una durata massima dei contratti a tempo determinato che si succedono nel tempo o, da ultimo, la fissazione di un numero dei rinnovi dei contratti. Una propensione per la conformità. Dai richiami ad alcune precedenti pronunce della Corte di Lussemburgo che furono decise nel senso di una conformità tra disciplina nazionale e direttiva comunitaria, l’ordinanza interlocutoria sembra tendere anch’essa in questa direzione. In particolare, viene menzionata la sentenza della Corte di Giustizia che nella causa C 268/06, Impact aveva stabilito che rientra nel potere discrezionale degli Stati membri decidere quali misure adottare per prevenire gli abusi in materia, con l’unico obbligo di dover adottare almeno une delle tre misure previste dalla normativa europea, o in ogni caso, una misura equivalente. La sezione Lavoro constata poi che la suddetta disciplina italiana sul contratto a causale nel settore delle Poste, prevedendo già delle disposizioni in tal senso tra cui la durata massima sembra in armonia con l’ordinamento comunitario. Nonostante emerga chiaramente l’orientamento della Corte, quest’ultima però decide di restare cauta e, al fine di scongiurare l’eventuale formarsi di contrasti interpretativi su una questione di particolare importanza come quella in oggetto, sceglie di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza interlocutoria 4 giugno – 18 settembre, n. 18149 Presidente Stile – Relatore Bandini Fatto e diritto Ritenuto che in causa RG n. 17638/2011 F.F.F. - Poste Italiane spa , udienza 4.6.2015, è stata disposta la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite come da ordinanza del seguente contenuto - la controversia investe la questione della dedotta nullità dei termini apposti a una successione di contratti di lavoro stipulati dalla Poste Italiane spa ai sensi dell'art. 2, comma 1 bis, dlvo n. 368/01, come modificato dalla legge n. 266/2005, con riferimento alla direttiva 1999/7Q/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 - l'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, di cui alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999, prevede, alla clausola n. 5 Misure di prevenzione degli abusi , che 1. Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle partì sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a a ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti b la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi c il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. la Corte di Giustizia CE, nella causa C-268/06, Impaci, ha statuito che 69 La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro impone agli Stati membri, per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, di adottare, in assenza di norme equivalenti nel diritto nazionale, una o più tra le misure da essa elencate. Le misure così elencate, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive per la giustificazione del rinvio di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi. 70 La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro, imponendo agli Stati membri l'adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure elencate in tale disposizione e dirette a prevenire l'utilizzo abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti , assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di tali abusi, pur lasciando ad essi la scelta dei mezzi per conseguirlo. 71 Ai sensi di tale disposizione, rientra infatti nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere a tal fine ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o ancora a norme in vigore equivalenti, pur tenendo conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori - questa Corte, in analoghe controversie cfr, Cass., n. 19998/2014 e le successive conformi , ha rilevato che la norma di cui all'art. 2, comma 1 bis, dlvo n. 368/01, contiene già in sé delle limitazioni e dei meccanismi di controllo individuabili in limiti temporali 6 mesi da aprile ad ottobre, o 4 mesi , nel rispetto di percentuali in relazione al numero dei dipendenti a tempo indeterminato e, infine, nell'obbligo di comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali l'art. 1, comma 40, legge n. 247/07, ha poi introdotto limiti temporali legati alla reiterazione dei contratti a termine, prevedendo una durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato che non possono superare il periodo complessivo di 36 mesi, comprensivo di proroghe e rinnovi indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro il successivo comma 43 del predetto articolo contiene una disposizione da valere in via transitoria per una graduale introduzione della norma di cui al precedente comma 40 tale norma, pur prevedendo che i contratti a termine stipulati prima dell'entrata in vigore della legge n. 247/07 ed in corso al 1.1.2008 proseguano, fino alla loro naturale scadenza, anche oltre i 36 mesi, senza che operi la conversione del rapporto di lavoro e che detta conversione in contratto a tempo, indeterminato diventi operativa solo a decorrere dal 31.3.2009 cioè decorsi 15 mesi dall'entrata in vigore della legge in data 1/1/08 , tuttavia sancisce anche che alla suddetta data del 31.3.2009, ai fini del computo dei 36 mesi, dovrà tenersi conto di tutti i periodi pregressi lavorati con il medesimo datore di lavoro dunque la conversione opererà solo decorsi 15 mesi dall'entrata in vigore della legge, ma la norma impone che a tale data siano considerati tutti i precedenti contratti intercorsi tra le parti, cosicché l'effetto della conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro opererà se la somma dei periodi di lavoro effettuati ed ancora da effettuare oltre il 1 aprile 2009 superi il limite dei 36 mesi il descritto meccanismo di cui alla disciplina transitoria introduce pertanto una forma di tutela dei lavoratori con contratti a termine in corso alla data dell'entrata in vigore della legge, in ordine ai quali non solo saranno conteggiati i contratti a termine precedenti, ma il periodo oltre il quale si determina la conversione viene ridotto al 31.3.2009, senza necessità, dunque, di attendere i 36 mesi a decorrere dall'entrata in vigore della legge 1.1.2008 - è stata pertanto ritenuta, in forza della suddetta interpretazione della normativa di riferimento, la sussistenza nell'ordinamento nazionale di specifiche disposizioni che, in relazione alla conclusione di plurimi contratti a tempo determinato ai sensi dell'art. 2, comma 1 bis, dlvo n. 368/01, pongono limitazioni dirette a stabilire la durata massima totale di tali rapporti di lavoro, in conformità a quanto previsto nell'art. 5, punto 1, dell'accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE, traendone la conclusione della legittimità del termine apposto ai contratti di lavoro anche successivi al primo in tema di successione di contratti di arruolamento a tempo determinato ai sensi dell'art. 326 cod. nav., la Corte di Giustizia UE, con sentenza del 3.7.2014, resa nelle cause riunite 0-362/13, C-363/13 e C-407/134, ha statuito, per quanto qui specificamente rileva, che la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavora a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che preveda la trasformazione di contratti di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato unicamente nel caso in cui il lavoratore interessato sia stato occupato ininterrottamente in forza di contratti del genere dallo stesso datore di lavoro per una durata superiore a un anno, tenendo presente che il rapporto di lavoro va considerato ininterrotto quando i contratti di lavoro a tempo determinato sono separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni ha peraltro osservato che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che i presupposti per l'applicazione nonché l'effettiva attuazione di detta normativa costituiscano una misura adeguata per prevenire e punire l'uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato - a seguito della suddetta sentenza della Corte di Giustizia UE, questa Corte, con sentenza n. 62/2015 non massimata , ha ritenuto che l'art. 326, ultimo comma, cod. nav., nel prevedere che la prestazione del servizio è considerata ininterrotta quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni, costituisce - in via generale e astratta - una misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, giacché la necessità di un intervallo di tempo superiore ai sessanta giorni fra un'assunzione a termine e quella successiva è tale, in linea di massima, da ostacolare una preordinata volontà di aggirare quanto previsto dalla fonte comunitaria, atteso che interruzioni superiori ai 60 giorni, non consentendo al datore di lavoro una valida programmazione dell'attività, disincentivano la frantumazione d'un unico reale rapporto di lavoro a tempo indeterminato in plurimi apparenti rapporti a termine - anche in relazione alla successione di contratti a tempo determinato stipulati ai sensi dell'art. 2, comma 1 bis, dlvo n. 368/01, come modificato dalla legge n. 266/2005, si pone la questione alla quale deve ritenersi che i precedenti specifici arresti di questa Corte abbiano sostanzialmente dato risposta affermativa se le ricordate previsioni di durata massima totale dei contratti a tempo determinato successivi, ancorché riconducibili all'ambito della clausola 5, punto 1, lett. b , dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, di cui alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999, costituiscano tuttavia una misura adeguata per prevenire e punire l'uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, dovendo al riguardo considerarsi che dette misure sono contemplate in presenza di una disciplina generale art. 5, comma 3, dlvo n. 368/01 che, in caso di riassunzione a termine, contempla, perché il contratto successivo non sia da considerarsi a tempo indeterminato, intervalli tra un contratto e l'altro considerevolmente più brevi, di dieci o venti giorni a seconda della durata del contratto precedente - trattasi di questione di massima di particolare importanza, essendo inerente a un contenzioso di natura seriale già cospicuo e destinato verosimilmente ad ulteriore incremento, in presenza del quale appare necessario scongiurare l'eventuale formarsi di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità Considerato che anche nella presente causa si pone analoga questione. P.Q.M. La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.