La qualifica di dirigente spetta al lavoratore che sia in tutto e per tutto l’alter ego dell’imprenditore

Ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, è necessario e sufficiente che sia dimostrato l’espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione ad uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, e non occorre una formale investitura trasfusa in una procura speciale, perché richiedere anche tale requisito significherebbe subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte.

Il caso. La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, ha riconosciuto il diritto di un lavoratore che aveva ricoperto la funzione di Vice Direttore e Coordinatore dell’Area affari ad essere inquadrato nella qualifica di dirigente di conseguenza era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato ai sensi dell’art. 24, legge n. 223/91. In particolare, la Corte territoriale aveva precisato che la clausola contrattuale, che subordinava l’attribuzione della qualifica dirigenziale all’esistenza di un riconoscimento formale da parte del datore di lavoro, doveva ritenersi nulla, poiché in contrasto con l’oggettività dell’inquadramento. Del pari, osservavano i giudici di secondo grado, la norma contrattuale faceva riferimento alla copertura in azienda di un ruolo comportante un elevato grado di professionalità, di autonomia, di potere discrezionale nell’esplicazione di funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine di realizzare gli obiettivi dell’azienda, in tal modo richiamando la nozione cd. ordinamentale di dirigente, secondo cui il tratto distintivo della qualifica dirigenziale rispetto a quella dell’impiegato con funzioni direttive è dato dall’ampiezza delle funzioni, estese per la prima qualifica all’intera azienda o ad un ramo autonomo di essa e tali da incidere, per effetto dell’autonomia e delle discrezionalità delle decisioni, sull’andamento della stessa azienda e che invece sono circoscritte, nella seconda ipotesi, ad un settore, ramo o servizio o ufficio. Nel caso in esame, il quadro delle funzioni ricoperte deponeva per l’esercizio di poteri di rilievo dirigenziale, essendo il lavoratore stato preposto ad un ramo autonomo dell’azienda ed essendo stato conferito incarico al ricorrente direttamente dall’Amministratore Delegato. Le caratteristiche del dirigente. La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte territoriale, richiamando il principio secondo il quale la qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda, assumendo la corrispondente responsabilità propria del dirigente apicale. Invece, l’impiegato con funzioni direttive è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità. La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto infondata la tesi che condiziona il riconoscimento della qualifica dirigenziale alla formale investitura trasfusa in ima procura speciale da parte dei vertici aziendali, poiché richiedere tale ulteriore requisito significherebbe subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, in violazione del principio di effettività.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 giugno – 16 settembre 2015, n. 18165 Presidente Macioce – Relatore Blasutto Svolgimento del processo La Corte di appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda proposta dall'ing. B.E.M. nei confronti dell'Italfondiario e, riconosciuto il diritto del ricorrente ad essere inquadrato nella qualifica di dirigente a far tempo dal 1.1.2000, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato dall'Istituto ai sensi dell'art. 24 della legge n. 223/91 sul presupposto dell'essere il B. inquadrato nella qualifica di funzionario con il grado di Vice Direttore e con la qualifica di Coordinatore dell'Area Affari per l'effetto, ha condannato l'appellata al pagamento delle differenze retributive e dell'indennità di mancato preavviso, nonché alla differenza tra il TFR corrisposto e quello dovuto in base al superiore inquadramento, oltre accessori. La Corte territoriale ha osservato che a non poteva essere accolta la tesi dell'appellata secondo cui la clausola contrattuale subordinava l'attribuzione della qualifica dirigenziale all'esistenza di un riconoscimento formale da parte del datore di lavoro se in tal senso dovesse interpretarsi la clausola contrattuale, questa sarebbe nulla, poiché in contrasto con l'oggettività dell'inquadramento, entro tali limiti dovendo essere inteso il rinvio operato dall'art. 2095 c.c. alla disciplina contrattuale b la norma contrattuale di settore, del resto, faceva riferimento alla copertura in azienda di un ruolo comportante un elevato grado di professionalità, di autonomia e di potere discrezionale nell'esplicazione di funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine di realizzare gli obiettivi dell'azienda, in tal modo richiamando la nozione c.d. ordinamentale di dirigente, secondo cui il tratto distintivo della qualifica dirigenziale rispetto a quella dell'impiegato con funzioni direttive è dato dall'ampiezza delle funzioni, estese per la prima qualifica all'intera azienda o ad un ramo autonomo di essa e tali da incidere, per effetto dell'autonomia e delle discrezionalità delle decisioni, sull'andamento della stessa azienda e che invece sono circoscritte, nella seconda ipotesi, ad un settore, ramo o servizio o ufficio c nel caso di specie, il ricorrente aveva svolto, dall'ottobre 1999 all'aprile 2001, mansioni di coordinatore dell'Area Affari, in sostituzione del dirigente dr. G. , che si era dimesso in tale Area erano confluiti le attività del Servizio Crediti e del Servizio Commerciale e ad essa appartenevano circa settanta unità nella sua qualità di coordinatore dell'Area Affari, il ricorrente aveva assunto anche il coordinamento e il controllo operativo dell'attività delle strutture periferiche della Filiale di Milano, degli Uffici di rappresentanza di Verona e di Bologna, nonché delle cinque rappresentanze di Pescara, Ancona, Napoli, Bari e Catania d il quadro delle funzioni ricoperte deponeva per l'esercizio di poteri di rilievo dirigenziale, essendo il ricorrente stato preposto ad un ramo autonomo dell'Azienda, quale l'Area Affari che incorporava il Servizio Clienti e il Servizio Commerciale, con il relativo personale, servizi che, nell'ambito di un Istituto di credito, con tutta evidenza, si occupano di attività fondamentali per l'Azienda e le cui funzioni incidono, pertanto, immediatamente sugli obiettivi e sulle finalità primarie dell'Istituto e l'incarico era stato conferito al ricorrente direttamente dall'Amministratore delegato dell'Istituto, alle cui dirette dipendenze il ricorrente era posto, svincolato dalla dipendenza gerarchico funzionale dal Direttore Generale l'attività dell'appellante, al di là delle linee generali tracciate dall'Amministratore delegato, era del tutto autonoma e discrezionale inoltre, l'appellante partecipava, al pari degli altri dirigenti, ai comitati di Direzione presieduti dall'Amministratore delegato l'ing. B. aveva alle proprie dipendenze funzionali risorse del suo stesso livello di inquadramento e coordinava più funzionari preposti a unità organizzative costituenti, nel loro complesso, un settore autonomo dell'Istituto f pure dall'esame delle declaratorie dei profili di cui al CCNL poteva riscontrarsi che le caratteristiche della posizione occupata dal ricorrente non erano riconducibili a quelle esemplificate nel livello dei quadri direttivi g inoltre, non solo il G. , ma anche i precedenti responsabili del Servizio erano tutti dirigenti pertanto, se è vero che non esiste nel nostro ordinamento un principio di parità intersoggettiva, è altresì vero che la situazione sopra descritta evidenziava che tale servizio era stato considerato fondamentale dall'Azienda, tale da richiedere che allo stesso fossero preposti dei dirigenti h in conclusione, il licenziamento era inefficace in quanto la legge n. 223/91 non era applicabile al ricorrente in ragione della qualifica dirigenziale, essendo tale figura estranea al personale soggetto alla procedure di mobilità, ai sensi del rinvio disposto dall'art. 24 all'art. 4, comma 9, della stessa legge. Per la cassazione di tale sentenza la soc. Italfondiario propone ricorso affidato a due motivi, il primo dei quali articolato in otto quesiti di diritto. L'intimato resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando violazione di legge e di contratto collettivo, articola plurimi quesiti di diritto, del seguente tenore 1 se la sentenza impugnata violi gli artt. 112 cod. proc. civ. e 2077 cod. civ. per non avere posto a base della verifica di congruità dell'inquadramento dell'ing. B. le declaratorie dell'art. 2 del CCNL 1.12.2000 per i Dirigenti Aziende di Credito e dell'art. 66 del CCNL 11.7.99 per i Quadri Direttivi Aziende di Credito, avendo invece fondato il raffronto su una c.d. nozione ordinamentale di dirigente da essa stessa dettata ed individuata 2 se contrasti con l'art. 2 del CCNL 1.12.2000 per i Dirigenti Aziende di Credito la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la non necessarietà della formale qualificazione come dirigente da parte dell'Azienda 3 se sia conforme agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione all'art. 2 CCNL 1.12.2000 per i Dirigenti Aziende di Credito, la sentenza impugnata laddove ha escluso la considerazione dei poteri decisionali e la formale investitura da parte dei vertici aziendali dalle condizioni di riconoscibilità della qualifica dirigenziale 4 se sia in contrasto con l'art. 112 cod. proc. civ. la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la nullità dell'art. 2 CCNL 1.12.2000 per i Dirigenti Aziende di Credito nella parte in cui condiziona l'attribuzione della qualifica dirigenziale alla formale investitura da parte dei vertici aziendali 5 se sia in contrasto con gli artt. 414 e 112 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. la sentenza impugnata laddove ha ritenuto pacifico, senza oggettivi riscontri, che il B. avesse svolto dall'ottobre 1999 all'aprile 2001, mansioni di coordinatore dell'Area Affari, in sostituzione del dirigente dr. G. , che si era dimesso che in tale Area fossero confluiti le attività del Servizio Crediti e del Servizio Commerciale e che ad essa appartenessero circa settanta unità che, nella sua qualità di coordinatore dell'Area Affari, il ricorrente avesse assunto anche il coordinamento e il controllo operativo dell'attività delle strutture periferiche della Filiale di Milano, degli Uffici di rappresentanza di Verona e di Bologna, nonché delle cinque rappresentanze di Pescara, Ancona, Napoli, Bari e Catania 6 se violi l'art. 2697 cod. civ. la sentenza laddove ha fondato l'attribuzione della qualifica dirigenziale al B. sulla base dei suddetti elementi senza che il dipendente ne avesse offerto la prova rigorosa 7 se violi l'art. 2112 cod. civ. la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l'Area Affari il cui coordinamento fu temporaneamente assegnato al B. costituisse ramo autonomo dell'azienda 8 se violi gli artt. 414 e 345 cod. proc. civ. la sentenza per non avere rilevato il carattere nuovo delle deduzioni svolte in grado di appello dall'ing. B. in ordine alla asserita generalizzata dipendenza dei Quadri da dirigenti dell'Azienda, alla asserita responsabilità di coordinamento del dott. C. e dell'ing. Bo. ed all'asserito coordinamento di non meglio indicati funzionati che sarebbero stati preposti a funzioni costituenti a loro volta settori autonomi dell'Istituto. Nel contesto del medesimo primo motivo si denuncia carente motivazione in ordine alla asserita nullità della clausole contrattuali, all'interpretazione dei tratti distintivi della dirigenza secondo la definizione contrattuale e/o ordinamentale, all'accertamento delle funzioni svolte nei termini riferiti nella sentenza impugnata. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 46 CCNL 11.7.99 e dell'art. 2109 cod. civ. violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. omessa pronuncia in ordine al capo della domanda accolto dal giudice di appello avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 4.551,53 a titolo di indennità sostitutiva di ferie non godute. L'Istituto aveva dedotto in primo grado, con eccezione reiterata in appello, che, con la comunicazione del recesso, era stato altresì disposto che il B. fruisse delle ferie residue a partire dal 2.4.2001, ma il dipendente aveva denunciato l'insorgere di una malattia, consistente in sindrome depressiva , con la stessa decorrenza e con durata superiore a quella delle ferie. La sentenza aveva mancato di considerare che la fruizione delle ferie non può essere sospesa dalla malattia se non nei casi in cui la patologia sia di natura tale da impedire il recupero psico-fisico da parte del lavoratore. Il ricorso è infondato. Quanto alle questioni che vertono sull'interpretazione delle norme dei contratti collettivi, il relativo esame resta precluso dalla improcedibilità ai sensi dell'art. 369 cod. proc. civ., secondo comma, n. 4, per mancato deposito del testo integrale del CCNL 1.12.2000 per i Dirigenti Aziende di Credito, contenente le disposizioni che formano oggetto delle censure ciò in particolare per i quesiti di diritto di cui ai punti da 1 a 4 che precedono. In ogni caso, è infondata la tesi che condiziona il riconoscimento della qualifica dirigenziale alla formale investitura da parte dei vertici aziendali. Come affermato da Cass. n. 5809 del 2010, ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, è necessario e sufficiente che sia dimostrato l'espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione ad uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, e non occorre anche una formale investitura trasfusa in una procura speciale, perché richiedere anche tale requisito significherebbe subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte. Per il resto, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio v. tra le tante, Cass. 27464 del 2006 secondo cui la qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello c.d. dirigente apicale da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità c.d. pseudo-dirigente . L'accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni necessarie per l'inquadramento del funzionario nell'una o nell'altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione Cass. sent. n. 27464 del 2006 cit . Nella specie, il riconoscimento della qualifica dirigenziale è stata condotta dalla Corte di appello con motivazione adeguata e priva di vizi logici, mentre la censura vertente su presunte carenze motivazionali tende ad un riesame del merito della vicenda v. quesito di cui al precedente punto 5 , al pari dell'altra censura vertente sull'apprezzamento degli elementi di fatto sulla cui base è stato ritenuto che l'Area Affari costituisse un ramo autonomo censura di cui al punto 7 . La questione punto 6 relativa alla violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ. è inammissibile. Secondo Cass. n. 15107 del 2013, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ., configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la censura che investe la valutazione attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360. Quanto alla censura relativa alla violazione del principio di cui all'art. 345 cod. proc. civ. per il presunto carattere di novità di alcuni elementi apprezzati dal giudice di appello punto 8 , deve rilevarsi l'inammissibilità sia per difetto di autosufficienza art. 366 n. 3 cod. proc. civ. , non avendo la società ricorrente descritto la vicenda processuale con riferimento alla asserita introduzione solo in appello delle circostanze su cui si appunta la censura, sia per la mancanza di corrispondenza testuale tra le circostanze menzionate nel quesito e il tenore della motivazione. In ordine al secondo motivo, con cui si lamenta contestualmente vizio di omessa pronuncia in ordine ad una questione che si assume riproposta dall'Italfondiario in appello ex art. 346 cod. proc. civ., nonché violazione dell'art. 2109 cod. civ. e delle disposizioni contrattuali di settore art. 46 CCNL , deve rilevarsi l'incompatibilità tra la denuncia di error in judicando per violazione di norme di diritto sostanziale art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - la quale presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l'abbia risolta in modo giuridicamente o logicamente errato, verificabile in base al solo esame della sentenza impugnata – e la doglianza afferente l'omessa pronuncia del giudice di secondo grado sulla stessa questione, che attiene ad un error in procedendo, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, verificabile dal giudice di legittimità mediante l'esame degli atti del giudizio di merito v. ex plurimis , Cass. nn. 22759/2014, 1196/2007, 24856/2006, 3190/2006, 1701/2006, 27387/2005, 14003/2004 . In ogni caso, deve osservarsi che il principio della sospensione delle ferie per malattia insorta durante il relativo periodo, stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 616 del 1987, opera ogni qualvolta la fruizione delle ferie risulti pregiudicata in concreto dalla malattia e che spetta al datore di lavoro, una volta che la malattia sia stata certificata, l'onere di provare l'inesistenza di tale pregiudizio Cass. n. 15768 del 2000, n. 8408 del 1999 . Nella specie, non è stato neppure dedotto da parte ricorrente di avere offerto la prova della compatibilità tra la malattia denunciata dal dipendente e il godimento delle ferie, in relazione alla funzione di recupero psico-fisico cui queste sono preordinate. Il ricorso va dunque respinto. Le spese del giudizio di legittimità, regolate secondo soccombenza, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi e Euro 100,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese forfettarie e accessori di legge.