Il principio di parità di trattamento non vieta ogni trattamento differenziato

In materia di pubblico impiego privatizzato, il principio di parità di trattamento vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate nell’ambito della contrattazione collettiva.

Lo ha confermato la Cassazione – Sez. Lav., con la sentenza n. 18096, depositata il 15 settembre 2015. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da alcuni dipendenti del Ministero per i beni culturali inquadrati nell’area C, posizione C3 già 9ª qualifica funzionale , al fine di ottenere l’equiparazione del trattamento stipendiale a quello attribuito al personale del ruolo ad esaurimento parimenti confluito nell’area C. I giudici di merito hanno respinto le domande dei lavoratori, rilevando che l’art. 13 CCNL inseriva nell’area C i livelli dal VII al IX nonché il personale ad esaurimento, ma tale circostanza non aveva determinato alcuna parificazione dal punto di vista del trattamento economico. Tanto più che, per il personale del ruolo ad esaurimento, una postilla in calce precisava che nell’area C è compreso anche il personale ad esaurimento che conserva il proprio trattamento economico” . Pertanto, ad avviso della Corte territoriale, tale differenziazione non era incoerente, né violava l’art. 45, d.lgs. n. 165/2001 e, comunque, risultava giustificata. Avverso alla decisione di merito, i dipendenti proponevano ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 45, d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 13 CCNL e sostenendo che essi svolgevano e/o erano tenuti a svolgere mansioni e funzioni identiche a quelle dei colleghi del ruolo ad esaurimento. Legittimo il diverso trattamento stipendiale tra il personale appartenente a ruolo ad esaurimento e gli altri dipendenti della ex 9ª qualifica funzionale. La pronuncia in commento richiama i numerosi precedenti sul medesimo argomento ed, in particolare, le pronunce secondo cui la distinzione in termini stipendiali fra il personale appartenente a ruolo ad esaurimento e gli altri dipendenti della ex 9ª qualifica funzionale tutti ormai inseriti nell’area contrattuale C dai CCNL 12/2/1999 e 12/6/2003 , lungi dal determinare una violazione di legge da parte della contrattazione collettiva, costituisce, anzi, attuazione della norma transitoria sancita dall’art. 69, co. 3, d.lgs. n. 165/2001, in virtù della quale il personale delle qualifiche ad esaurimento di cui agli artt. 60 e 61, d.P.R. n. 748/1972 e successive modificazioni ed integrazioni e quello di cui all’art. 15, l. n. 88/1989 – i cui ruoli sono stati contestualmente soppressi a far data dal 21/2/1993 – conservano le medesime qualifiche ad personam cfr., ex plurimis , Cass., n. 22437/2011 . Ciò significa che tali qualifiche costituiscono una consapevole eccezione legislativa rispetto all’assetto ordinario, eccezione prevista dallo stesso testo il d.lgs. n. 165/2001 cui appartiene la norma art. 45 che i ricorrenti assumono essere stata violata o falsamente applicata. Pertanto, la doverosa interpretazione sistematica impedisce l’invocata estensione del trattamento stipendiale corrispondente a tali qualifiche sopravvissute ad personam, pena lo svuotamento dello stesso portato precettivo della summenzionata previsione transitoria. Il principio di parità di trattamento opera solo a livello individuale. Come chiarito dalla costante giurisprudenza di legittimità, l’art. 45, d.lgs. n. 165/2001 non vieta ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, ma solo quelli contrastanti con specifiche previsioni normative, restando escluse dal sindacato del giudice le scelte compiute in sede di contrattazione collettiva Cass., n. 10105/2013, n. 1037/2014 e n. 22437/2011 . In materia di pubblico impiego privatizzato, infatti, il principio espresso dall’art. 45, d.lgs. n. 165/2001, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo, non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete. Avendo deciso in conformità a tali principi, la pronuncia di merito risulta, dunque, immune dalle censure mosse dai ricorrenti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 giugno – 15 settembre 2015, n. 18096 Presidente Macioce – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo La Corte d'appello di Campobasso ha confermato la sentenza del Tribunale di Campobasso di rigetto della domanda proposta da D.T.D. ed altri, dipendenti del Ministero per i Beni Culturali inquadrati nell'area C, posizione C3 già nona qualifica funzionale , di equiparazione del trattamento stipendiale a quello attribuito al personale del ruolo ad esaurimento parimenti confluito nell'area C. La Corte ha rilevato che l'art. 13 del CCNL inseriva nell'area C i livelli dal VII al IX nonché il personale ad esaurimento che tuttavia da tale circostanza non conseguiva alcuna parificazione dal punto di vista del trattamento economico che infatti per il personale del ruolo ad esaurimento una postilla in calce precisava che nell'area C è compreso anche il personale ad esaurimento che conserva il proprio trattamento economico . La Corte ha osservato che tale differenzazione non era incoerente, né violava l'art. 45 dlgs n 165/2001 e, comunque,risultava giustificata. Avverso la sentenza ricorrono i lavoratori formulando un motivo diviso in tre sub motivi. Resiste il Ministero per i beni e le attività culturali. Il Collegio ha disposto motivazione semplificata. Motivi della decisione I ricorrenti denunciano violazione degli artt. 45 dlgs n 165/2001, 20 DPR n 266/1987, 69 Dlgs n 165/2001 ex art. 25, comma 4, dlgs n. 29/1993 , 13 CCNL comparto ministeri 98/01 art. 3 e 36 Cost, art. 2103 cc. Lamentano che la sentenza impugnata ha violato l'art. 45 dlgs n 165/2001 e che essi svolgevano e/o erano tenuti a svolgere mansioni e funzioni identiche a quelle dei colleghi del ruolo ad esaurimento. Il ricorso è infondato. La questione sottoposta all'esame di questo Collegio è identica ad altre già reiteratamente esaminate e decise da questa Corte, con costante orientamento cfr Cass. n 11982/2010 n22437/2011 n 9313/2013 n 25057/2014 . Come statuito da Cass. n. 22437citata, la distinzione in termini stipendiali fra il personale appartenente a ruolo ad esaurimento e gli altri dipendenti della ex 9 qualifica funzionale, tutti ormai inseriti nell'area contrattuale C dai CCNL 12.2.99 e 12.6.03, lungi dal determinare una violazione di legge da parte della contrattazione collettiva, costituisce, anzi, attuazione della norma transitoria contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, in virtù della quale il personale delle qualifiche ad esaurimento di cui al D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, artt. 60 e 61 e successive modificazioni ed integrazioni e quello di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 15 i cui ruoli sono contestualmente soppressi a far data dal 21.2.93, conserva le qualifiche medesime ad personam ciò significa che tali qualifiche costituiscono una consapevole eccezione legislativa rispetto all'assetto ordinario, eccezione prevista dallo stesso testo il D.Lgs. n. 165 del 2001 cui appartiene la norma art. 45 che i ricorrenti assumono essere stata violata o falsamente applicata. Dunque, la doverosa interpretazione sistematica impedisce l'invocata estensione del trattamento stipendiale corrispondente a tali qualifiche sopravvissute ad personam, pena lo svuotamento dello stesso portato precettivo della summenzionata previsione transitoria, in un capovolgimento del normale rapporto tra norme transitorie e disposizioni a regime che comporterebbe un sostanziale e inedito allineamento in termini di conseguenze sul piano retributivo delle seconde alle prime. Inoltre, più volte nella giurisprudenza di questa Corte è stato affermato cfr. Cass. Sez. Lav. 18.6.08 n. 16504 Cass. Sez. Lav. 19.6.08 n. 16676 Cass. Sez. Lav. 10.3.09 n. 5726 Cass. Sez. Lav. 12.3.09 n. 6027 Cass. Sez. Lav. 27.5.09 n. 12336 , con orientamento cui va data continuità, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 cpv. non vieta ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, ma solo quelli contrastanti con specifiche previsioni normative, restando escluse dal sindacato del giudice le scelte compiute in sede di contrattazione collettiva. In altre parole, il principio di parità di trattamento nell'ambito dei rapporti di lavoro pubblico, sancito dal cit. art. 45, vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in quella sede. A fortiori non sarebbe ipotizzabile nel caso di specie un contrasto della pattuizione collettiva con il meno esteso principio di non discriminazione, inidoneo a vietare ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, rilevando sotto tale profilo solo le specifiche previsioni normative contenute nell'ordinamento v. in tal senso, Cass. n. 22437/11 cit. . Tali principi sono stati ribaditi da Cass. 29.4.13 n. 10105 conf. Cass. 20.1.14 n. 1037, Cass. 13.1.14. n. 472 in materia di pubblico impiego privatizzato, il principio espresso dall'art. 45 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell'autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l'applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete principio affermato in controversia vertente sulla distinzione in termini stipendiali prevista dalla contrattazione collettiva fra il personale appartenente a ruoli ad esaurimento di ispettore generale o di direttore di divisione del Ministero dell'economia e gli altri dipendenti della ex IX qualifica funzionale, tutti ormai inseriti nell'area contrattuale C dai c.c.n.l. del 12.2.99 e del 12.6.03 . La motivazione della impugnata sentenza ha deciso in conformità ai principi suddetti e risulta dunque immune dalle censure che le sono state mosse. Né vi sono elementi che giustifichino l'esonero di questa Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l'assolvimento della funzione assegnatale dall'art. 65 dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 e succ. modificazioni, ma di rilevanza costituzionale, essendo anche strumentale al suo espletamento il principio, sancito dall'art. 111 Cost., dell'indeclinabilità del controllo di legittimità delle sentenze di assicurare l'esatta osservanza, l'uniforme interpretazione della legge e l'unità del diritto oggettivo nazionale. In conclusione, il ricorso va respinto con condanna dei ricorrenti in solido a pagare le spese del presente giudizio. La presente sentenza è stata redatta in forma semplificata così come autorizzato dal Collegio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare le spese del presente giudizio liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.