Il tempo non sempre è galantuomo (per il datore di lavoro)

Per aversi tacito consenso diretto a risolvere il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18032 depositata il 14 settembre 2015. Il caso. Un ex dipendente postale ricorreva al Giudice del lavoro lamentando la nullità del termine apposto ai contratti sottoscritti con il proprio datore di lavoro in relazione ai periodi 15 ottobre 1998 - 7 dicembre 1998 e 22 marzo 1999 - 31 maggio 1999. Domanda che, sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello, veniva ritenuta infondata atteso che il ricorrente aveva atteso 7 anni prima di intraprendere l’azione giudiziaria ed, al momento di cessazione di entrambi i rapporti, aveva accettato senza riserve il trattamento di fine rapporto. Contro la sentenza di secondo grado il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando un unico motivo. Il tempo, da solo, è irrilevante. In particolare, ad avviso del ricorrente, il rapporto de quo non avrebbe potuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, atteso che il mero silenzio non assume alcuna rilevanza sul piano giuridico, a meno che la condotta della parte possa essere apprezzata – unitamente ad altre circostanze – quale oggettiva manifestazione di una volontà abdicativa. Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. Ê infatti ormai pacifico, quantomeno nella giurisprudenza di legittimità, il principio per cui nel lavoro a tempo determinato la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché una tale risoluzione possa configurarsi, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso [ ] nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà di porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro tra le tantissime Cass. nn. 23057/2010 2279/2010 . L’azione di nullità è imprescrittibile. Ciò, prosegue la Corte, anche considerato che l’azione diretta a far valere la nullità del termine si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex artt. 1418 e 1419, comma 2, c.c., di natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege ” del rapporto a tempo determinato ancora tra le tantissime Cass. nn. 26935/2008 20390/2007 23554/2004 . In un tale contesto, ad avviso della Cassazione, sarebbe dunque illogico che il tempo, in sé e per sé considerato, possa produrre l’estinzione di un diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti . Ai fini della risoluzione per mutuo consenso del contratto, pertanto, appare necessario che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere interpretate come manifestazione di una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro Cass. nn. 15403/2000 4003/1998 . Ê, infine, onere del datore di lavoro allegare, prima, e provare, poi, la sussistenza di tali circostanze Cass. nn. 16303/2010 2279/2010 15624/2007 . Accettare il trattamento di fine rapporto non significa nulla. Infine la Corte, aderendo a numerosi ad avviso di chi scrive, non condivisibili suoi precedenti, chiarisce che non sono circostanze decisive rispetto alla prova del suesposto intento risolutorio né l’accettazione del TFR né la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine come nemmeno lo è, in questo senso, la condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 aprile – 14 settembre 2015, n. 18032 Presidente Di Cerbo – Relatore Berrino Svolgimento del processo T.G. chiese al Giudice del lavoro di Matera che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ai contratti di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. stipulati in relazione ai periodi 15/10/98 - 7/12/98 e 22/3/99 -31/5/99 ai sensi dell'all. 8 del CCNL 26/11/1994. Rigettata la domanda, il T. propose appello e la Corte d'appello di Potenza, con sentenza pubblicata in data 29.1.09, rigettò l'impugnazione. Considerato che il ricorrente aveva atteso sette anni prima di intraprendere l'azione giudiziaria e che all'atto della cessazione del rapporto aveva accettato il T.F.R. senza riserve, la Corte ritenne che quest'ultimo avesse prestato adesione alla risoluzione del contratto e che, quindi, non vantasse un interesse al suo ripristino. T.G. ha proposto ricorso per cassazione con un solo motivo, cui ha resistito la società Poste Italiane s.p.a. con controricorso. La società postale ha depositato, altresì, memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente si da atto che il collegio ha autorizzato la redazione della presente sentenza in forma semplificata. Il ricorrente si duole, anzitutto, della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1372 cod. civ., in quanto il rapporto di lavoro non avrebbe potuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso dato che il mero silenzio assume rilevanza sul piano giuridico nel senso di tacita dichiarazione allorché la condotta della parte contrattuale possa essere apprezzata come oggettiva manifestazione di volontà Nel contempo, il ricorrente denunzia la carenza di motivazione in quanto il giudice di merito non ha indicato da quali ulteriori elementi abbia dedotto la volontà delle parti di ritenere definitivamente cessato il rapporto di lavoro. Il ricorso è fondato. Invero, la più recente giurisprudenza di questa S.C. - cui va data continuità - è ormai consolidata nello statuire che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo dovendosi, peraltro, considerare che l'azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, di natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege del rapporto a tempo determinato cui era stato apposto illegittimamente il termine. Nella specie, relativa ad una pluralità di contratti a tempo determinato conclusi tra un aiuto arredatore e la RAI S.p.a., la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio ha ritenuto che correttamente la Corte di merito avesse dichiarato la nullità del termine apposto, restando priva di rilievo la mera inerzia tenuta dal lavoratore per oltre un anno e mezzo, dalla scadenza del termine dell'ultimo dei cinque contratti intervenuti Cass. 15.11.2010 n. 23057 conf. Cass. 1.2.2010 n. 2279 . Ancora, Cass. n. 9583/2011 ha ribadito che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo . In senso conforme si vedano, altresì, Cass. 10.11.2008 n. 26935 Cass. 28.9.2007 n. 20390 Cass. 17.12.2004 n. 23554 Cass. 11.12.2001 n. 15621 ed innumerevoli altre. Aggiunge, ancora la cit. sentenza n. 9583/2011 che grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. ancora, in senso conforme, Cass. 2.12.2002 n. 17070 . Ebbene, tutte le sentenze citate hanno statuito che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o anche più, non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso. Aggiunge icasticamente Cass. n. 23501/2010, cit. D'altra parte, come è noto, l'azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell'art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso v. Cass., 15/12/97 n. 12665 Cass., 25/3/93 n. 824 . Comunque, consentendo l'ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l'azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l'estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell'imprescrittibilità dell'azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v. anche Cass., 2/12/2000 n. 15403 Cass., 20/4/98 n. 4003 . È, inoltre, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze v. Cass. sez. lav. n. 2279 dell'1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007 v., altresì, Cass. n. 23499/2010 cit. ed altre ancora . Riepilogando, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso . La sentenza impugnata ha erroneamente affermato un mutuo consenso alla risoluzione in base al mero decorso del tempo fra la scadenza del rapporto a termine e l'esercizio dell'azione in giudizio da parte del lavoratore e dalla incontestata accettazione del TFR da parte sua a tale ultimo riguardo, invece, questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio né l'accettazione del TFR né la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione . Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione dunque, anche tale contegno - contrariamente a quanto ritenuto dalla impugnata decisione - è inidoneo a far supporre un mutuo consenso allo scioglimento del rapporto lavorativo. In conclusione, si accoglie il ricorso e si cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione.